QUELLO CHE E’ REGALE E’ ANCHE RAZIONALE
Nelle favole i significanti abitano la narrazione, s’impadroniscono e modificano il racconto, identificano e contestualizzano i personaggi, prevalicano la scena. Il principe non ha un nome e la principessa è solo temporaneamente imprigionata nel corpo di una fanciulla popolare. L’atto precede la potenza e Cenerentola era di sangue blu, anche se non lo sapeva. Difficile trovare la regalità in ambienti degradati, ma nelle favole tutto è possibile. Il tutto prevale sulla parte, svilendo però i protagonisti in una metonimia che annulla le identità. L’identità si vanifica nei processi di identificazione superiori fino ad annullarsi. Svuotata la relazione di una reale affettività e privando l’altro di una realtà ontologica, predomina il significante regale che passa da un corpo all’altro, al di là delle differenze. Non c’è alterità, la domanda si restringe in una solitudine priva di desiderio e la richiesta d’amore è mediata da un eccesso che ordina la scena. In un tale campo privo di un (reale appunto) scambio affettivo non è più il piacere, ma il potere, l’idea, il blasone a passare da un corpo all’altro. Quello che è regale è anche razionale: cenere siamo ma Cenerentola diventiamo.
(Da Per me Biancaneve gliela dava ai sette nani)
Non credi che il significato vero della regalita’ nelle favole, vada inteso non come blasone, ma come elevatura d’animo e di intenzioni? e che magari agli occhi di un bambino possa risultare piu’ immediata la associazione delle idee principesche alla immagine del principe?
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E’ vero, il problema è che quell’immaginario finisce per diventare una visione del mondo; i bambini sono disincantati, gli adulti vogliono la favola. Il racconto crea un’abitudine, l’abitudine diventa un abito e poi un modo di vivere. E diamo per scontate cose che si possono mettere in discussione
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