Le mamme professano un idealismo nascosto; non sempre conoscono Hegel, ma quella che mettono in pratica è un’autentica Filosofia dello Spirito. Ragionano secondo sillogismi e non importa che la premessa sia sbagliata, la conclusione ha sempre una logica e deve avere riscontro nella realtà. In tutto il processo naturalmente il loro Io è presente e anche laddove subentri un elemento di disturbo, come può essere un’altra femmina, questa deve comunque rispecchiarle in profondità fino all’assimilazione. Quel che reale non è razionale ma relazionale, e i limiti della relazione sono stabiliti a priori dalle loro necessità. Qualcuno la chiama edipica questa cosa, in realtà affonda le radici nell’ontologia e nella constatazione di un perpetuo ruolo materno nella storia individuale. E infatti le mamme rimarcano di continuo la loro presenza sottolineando l’assenza del padre; non c’è nichilismo nella visione di una madre e il nulla rimane fuori dalla porta. Non per niente le sentiamo ripetere: “Chi è?” e quando rispondiamo: “Nessuno” le irritiamo mettendo in crisi un sistema filosofico che non riesce ad assorbire il concetto di assenza, del vuoto, del niente. Le mamme riempiono; sono meravigliosamente sazianti nei loro esercizi quotidiani. Riempiono i mobili, le stanze, le case con oggetti inutili e di dubbio gusto; ma anche la gondola di Venezia a centrotavola rientra in quell’ordine di cose che conferma la presenza. E che da buon idealiste identificano con la loro. Non si tratta di feticismo per gli oggetti, ma di un bisogno ontologico: il soprammobile è e non può non essere, tertium non datur. La mia ad esempio conservava tutto e nulla valeva il mio desiderio di tornare alle cose stesse; aveva rivestito gli oggetti di un valore affettivo e non vedeva che quello. Io però sono un fenomenologo e devo avere avuto il rifiuto edipico; svuotare gli oggetti del contenuto culturale voleva dire svuotarli da quella presenza. Cosa che mia madre percepiva inequivocabilmente; sospendevo il giudizio ma era subito pronta a intervenire con il suo. “La gondola è una schifezza”. “Guardala bene, è bellissima”. E insistendo nella disputa aveva vinto lei; non tanto per inettitudine del sottoscritto alla diatriba filosofica con un domestico eleata in bigodini, ma perché i fenomenologi sono così, sospendono il giudizio e quando serve anche le parole. Perché con una madre non puoi dialogare, ti è concesso solo di deporre le armi della dialettica e rinvenire che quel che è reale è anche e sempre matriarcale.
In “Gli itaGliani, tombeur de femmes”
com’è che con mio figlio invece vince sempre lui?
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vuol dire che ha una straordinaria capacità dialettica e una mamma amorevolmente remissiva
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Diagnosi corretta.
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Vorrei capire, essendo madre di due maschi ( 40 e 35 anni): perchè generalizzi?
Di contro, per esempio, io tendo a fare pulizia delle cose che ingombrano e amo la dialettica.
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in realtà non parlavo delle mamme, che sono adorabili. I tuoi ragazzi sono fortunati 🙂
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Non voglio dire che siamo adorabili, ma non capivo, tutto qui.
Il “mestiere” del genitore è un’erta.
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a chi lo dici, lo so bene. Comunque il discorso era sulla scienza, come nascono le certezze o le idee. Ho sfriculiato l’argomento come fanno alcuni filosofi americani. Un abbraccio alle mamme, che fanno un lavoro meraviglioso
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Mi è garbato molto il tuo discorrere…avrei dato un contributo maggiore se non fossi stata raffreddata.
Hai costruito uno spazio degno di nota, Giancarlo.
Sei come me campano o sbaglio?
Hai digitato un termine dialettale.
😉
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sono di Milano, ma scrivo in romanesco e in altri dialetti, mi diverte e puoi dire cose che in italiano sono improponibili. Quello campano poi è particolarmente gradevole, a tratti comico
.
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Sì, il dialetto si presta.
Te lo dico da linguista mancata.
Vorrei avere più vite per conoscere sfumature del reale che, ahimè, sfuggono…
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ti mando un link https://www.youtube.com/watch?v=S4eb8l99xp4
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Mercì
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andiamo a cena, appena torno mi guardo il tuo blog; ho visto cose molto interessanti. Un abbraccio, Marzia
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ma quello è il lupo cattivo, l’ombra, il perturbante. Più che da Jung sono però partito da Barthes
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E’ la prima volta che leggo che i fenomenologi sospendono il giudizio.
Siete da osservare, decisamente. 🙂
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la chiamo epoché… sospensione, tornare alle cose stesse
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La chiami o si chiama?
Non son tignosa, chiedo venia.
Mi piace capire. 🙂
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