COMUNICATO UFFICIALE AMPAS

Questo il comunicato ufficiale dell’AMPAS 

Ognuno è liberissimo di informarsi sui social e con la tv criminale di Formigli, ma qualcuno dovrà andare in galera.

“l 23/2 come Ampas (la nostra associazione di medici di segnale che conta ad oggi 721 medici) avevamo diffuso un comunicato volto a contenere almeno in parte le scene di panico e di saccheggio dei supermercati a cui stavamo assistendo. Oggi, 7/3, la situazione è in evoluzione e ci sembra giusto aggiornare la nostra posizione per fornire il nostro contributo, ove richiesto.

Riportiamo i dati della protezione civile al 6/3:

I positivi al coronavirus censiti in Italia oggi sono 3916, con una crescita rispetto a 24 ore di fa di 620 casi. Dei positivi 1060 sono in isolamento, 2394 ricoverati con sintomi, 462 in terapia intensiva. Si registrano 109 nuovi guariti (in totale 523). Le vittime, ha aggiunto Borrelli, sono in totale 197: 49 in più rispetto a giovedì. Età delle vittime: da 62 anni a 95 anni, con diverse patologie pregresse. Età media 81 anni.

Riepilogando e arrotondando:

4000 persone positive ai tamponi

200 decessi

(Dato che sicuramente crescerà nelle prossime settimane).

Qualche riflessione, se possibile pacata e serena:

I tamponi fatti non sono a tappeto sulla intera popolazione, ma solo su casi sospetti, entrati a contatto con sintomatici, ecc. Il che significa che, con tutta probabilità il numero di individui che hanno incontrato il virus in una delle sue varianti (ad ora tre identificate), è di gran lunga superiore. Avendo il virus dell’influenza stagionale una diffusione ad oggi stimata in 5.632.000 persone (settima settimana 2020, dati Epicentro/ISS), è pensabile che il Covid-19, che pare avere una contagiosità maggiore, abbia incontrato un numero di gran lunga superiore ai 4000 casi ad oggi riscontrati. Ciò rende la letalità di Covid-19, già bassa, ancora più bassa.
Chiamare chi è positivo al tampone “contagiato” ci pare gratuito allarmismo. Se ciascuno di noi, durante l’incontro quasi inevitabile con il virus influenzale stagionale, fosse marchiato come “contagiato” e contato ogni giorno in diretta TV come probabile condannato a morte, il terrore e il panico si impadronirebbero del paese, ancora più di adesso. Suggeriamo di usare: “entrato in contatto” con il virus. L’80% e più di coloro che “entrano in contatto” con il virus non hanno sintomi rilevanti.
Mortalità (decessi/popolazione) e letalità (decessi/infetti): l’influenza stagionale quanti decessi conta? Qui diverse fonti fanno stime diverse. L’Istat parla di 663 morti DIRETTE per influenza, ma anche di 13.516 da polmonite, e moltissime altre per comorbilità. Antonino Bella, del dipartimento malattie infettive dell’istituto, parla di 8000 casi circa, sommando però azione diretta (i 633) e azione indiretta (comorbilità con polmoniti, cardiopatie, cancri, immunodepressione). Salta agli occhi di chiunque che i 200 decessi ad oggi rilevati per Covid-19 siano praticamente tutti (se si escludono 2-3 casi dubbi) del tipo indiretto, cioè deceduti CON il virus e non PER il virus, con una media di 81 anni di età e spesso numerose comorbilità. Una vita è sempre una vita, e su questo non ci piove. Vogliamo solo rilevare la tremenda sproporzione tra gli 8000 decessi, per i quali nessuno si preoccupa, e i 200 portati senza rispetto in mondovisione. Questa la relazione tra virus influenzale ordinario 2019-2020 e Covid-19: 8000 a 200. Dunque chi contesta coloro che dicono che Covid-19 è solo una normale influenza ha ragione. È molto meno letale (ad oggi) di una normale influenza. Quel che sarà domani lo scopriremo, ma intanto rileviamo che per nessun’altra sindrome similinfluenzale sono mai state messe in campo procedure simili (blocco città, zone rosse, sospensione di ogni attività scolastica o sociale) anche a fronte di contagiosità o letalità molto maggiori.
Contagiosità: Covid-19 si situa su un livello di contagiosità superiore a quello della normale influenza (R0 circa 2,5 contro 1,3 dell’influenza ordinaria) ma su livelli molto più bassi rispetto per esempio al morbillo (R0=15). Un contagio rapido con bassa letalità, come da nozione diffusa in infettivologia, è indice di un basso rischio globale. In altre parole significa che nonostante la veloce diffusione l’organismo è in grado, nella stragrande maggioranza dei casi, di rispondere efficacemente.
Tropismo d’organo: questo e’ un aspetto che si e’ delineato con maggiore nitidezza in questo mese dal momento che la classe medica sta apprendendo sul campo le caratteristiche tipiche del virus stesso; ed occorre, a tal proposito, riconoscere che si tratta di un virus con tropismo d’organo (nella fattispecie polmonare) piu’ profondo rispetto alla consueta influenza. Questo ci mette nella condizione di affermare che l’evoluzione dei dati clinici dimostra che questa virosi, per alcuni soggetti, è più potente (anche se meno letale) di altre virosi precedenti, perché, in caso di complicanza polmonare, richiede posti in rianimazione liberi e non intasati. Questo e’ fondamentale. È un aspetto per il quale in modo pacato e sereno ognuno di noi può fare qualcosa. Non significa averne paura. Significa averne consapevolezza serena. Occorre avere prudenza nello “spalmare” nel tempo nel modo piu’ soft possibile il normalissimo contagio. Le persone da casa, con un comportamento pacato, sereno, e prudente possono fare la loro parte in modo che chi opera in prima linea non abbia problemi nel garantire prestazioni come la ventilazione invasiva e soprattutto permetta un più celere ripristino della fisiologica funzionalità respiratoria ai soggetti in miglioramento. E’ prioritario e utile moderare gli ingressi in ospedale in modo che i guariti aumentino e si riduca nel tempo il contagio di altre persone.
Ospedali: a sentire le singole drammatiche testimonianze sembra che tutti gli ospedali siano in grave crisi. La protezione civile però ieri ci dice, per il tramite del commissario, dott. Angelo Borrelli, che “Non ci sono criticità nei nostri ospedali, compresi quelli della Lombardia che sono oberati di lavoro. È già in atto il piano di potenziamento delle terapie intensive e sub intensive”. In Cina stanno addirittura smantellando gli “ospedali d’emergenza” che avevano messo in piedi in pochi giorni. Il grande affollamento delle terapie intensive, dunque (peraltro frequente anche negli anni scorsi in questo periodo), pare essere dovuto in gran parte ad un “eccesso di prudenza” degli operatori, sotto pressione, che spesso trattengono in ospedale, invece di rimandarli al proprio domicilio, i casi positivi e sintomatici, ma non a rischio. È importante che chi si è ammalato ma non si trovi realmente in gravi condizioni, non vada ad affollare i PS ma sia seguito a casa sotto l’assistenza del proprio medico. Sembra infatti che il fabbisogno di ossigeno per i pazienti che presentano polmonite interstiziale sia più lungo (2-3 settimane) rispetto a quello previsto per le complicanze della normale influenza (1 settimana). Anche questo contribuisce a sottrarre posti-letto. Che impediscono poi l’assistenza normale di tutti quei pazienti, anche gravi, che stanno soffrendo per cause diverse e rischiano di non trovare posto e assistenza. Un grazie di cuore comunque va ai nostri medici che, a rischio infezione e (causa stress e burn-out) spesso non immunutariamente superprotetti, svolgono il loro lavoro in condizioni di affollamento tutt’altro che ideali. Se si pensa a quanto noi medici si sia maltrattati in corsia da pazienti violenti, da cause legali e da turni massacranti, speriamo che questa emergenza possa ridare dignità al lavoro del medico, che non deve essere più visto come un semplice esecutore di linee guida. Ogni singola storia è sempre terribile e drammatica, e non saremo noi a sminuirne la portata. Ci stringiamo ai colleghi in prima linea e ai pazienti che lottano per la vita: siamo (siamo sempre stati) una sola cosa con la loro umana sofferenza.
Altre cause di morte: sempre dal database ISTAT aggiornato al 2017 rileviamo come vi siano OGNI GIORNO questi decessi:
638 per infarti/ictus (232.000/anno)

483 per tumori (di cui 93 solo per cancro polmonare)

96 per Alzheimer e demenze (35.000/anno)

70 per traumatismi o avvelenamenti

64 per malattie dell’apparato digerente

62 per diabete

37 per polmonite

22 per influenza (indiretti+diretti)

11 per suicidio

10 per incidenti stradali (di cui 2 pedoni innocenti investiti)

6 per epatite

0,55 per Covid-19

Come scrive Riccardo Luna su Repubblica: “I dati sono implacabili, ma gli avverbi sono più insidiosi: se dico “già 100 casi di coronavirus” sto dicendo che il virus è più veloce del previsto; se dico “solo 100 casi” sto dicendo il contrario. L’ansia non nasce dai numeri ma dagli avverbi.”

Forse, per rispetto a tutti quei morti dimenticati (sono 1.343 al giorno) per infarto, cancro, diabete, demenza (tutte patologie EVITABILI con un adeguato stile di vita) potremmo evitare di fermare un intero paese, quando per aiutare costoro non abbiamo fatto nulla di nulla: nemmeno una tassa decente sullo zucchero, una riduzione dei fumi inquinanti o dei pesticidi, un divieto più rigido verso chi fuma. Tutte azioni che avrebbero portato migliaia e migliaia di morti in meno, con costi sociali di gran lunga inferiori.

8. Prevenzione: i medici di segnale, pur facendo uso di farmaci quando necessari, lavorano per aiutare le persone a conquistare ogni giorno la propria salute in modo naturale e senza soppressioni farmacologiche. Qualche suggerimento molto semplice per aiutare ed aiutarsi si può trovare al link https://www.dietagift.it/?p=7522 mentre sembra che governo e ministero della salute si concentrino solo sui, pur utilissimi, lavaggi delle mani e sulle “distanze sociali”. Vitamine, minerali e fitoterapici riportati nell’articolo riportano link documentali sulla loro efficacia antivirale. A ciascuno, con il proprio medico, studiare la linea d’approccio più consona.

Detto questo, sperando di avere esposto il nostro pensiero in modo pacato e scevro da polemiche inutili, in un momento in cui serve restare uniti e solidali, ci chiediamo se queste restrizioni sempre maggiori alle libertà individuali, nella illusoria speranza di fermare la diffusione di un virus abbastanza contagioso, ma per fortuna poco letale, non possano provocare al paese più danno di quanto non abbia già prodotto una gestione approssimativa delle prime pubbliche comunicazioni. Tale gestione, invece di dimensionare il problema (che c’è ed esiste, nessuno lo nega) all’interno dei suoi confini, ha trasformato il nostro paese (il primo a fare sistematicamente un alto numero di tamponi, anche ad individui asintomatici) nell’untore mondiale, con enormi disagi per aziende, persone, istituzioni.

Raccomandiamo a chi sta gestendo questa crisi, da medici, una estrema prudenza nell’imporre limiti alla vita e alla circolazione delle persone, con provvedimenti sproporzionati che possono fare ulteriormente crescere panico e timori sia in Italia che all’estero, generando oltre che povertà e recessione, anche, inevitabilmente, malattia.

Noi medici di segnale saremo in questo periodo costantemente in prima linea sia con i tanti nostri operatori oggi impegnati in corsia, sia attraverso una costante attenzione alla prevenzione e agli stili di vita che – a costo zero – potrebbero evitare tanti decessi e tanti lutti con un minimo di partecipazione ai nostri sforzi da parte di chi disponga del potere di legiferare in merito.

Tutti noi, uniti, mandiamo un grande abbraccio a chi sta soffrendo, a chi soffrirà, e a tutti coloro (dalle mamme costrette in casa dalla chiusura delle scuole, alle aziende – turistiche e non – che dovranno presto chiudere e licenziare) che da questa emergenza sono stati danneggiati.

Dovesse mai emergere la responsabilità di qualcuno che ha soffiato sul fuoco al momento giusto per scatenare questa situazione, al fine di ritrarne interessi specifici, saremo in prima linea per restituire giustizia a tutti coloro che oggi devono subire questa situazione senza alcuna colpa.

Restiamo a disposizione del ministero della salute, delle autorità, delle amministrazioni locali, per qualunque tipo di possibile collaborazione.

Il consiglio direttivo AMPAS”

Qualcuno dovrà andare in galera per procurato allarme, per aver distrutto l’economia del Paese, per sequestro di persona di milioni di italiani. Perché ci ha privato dei diritti costituzionali e della dignità.

VIDEO GUARDA VIDEO UFFICIALE

Apprendo che oggi 21 marzo, il video dell’AMPAS è stato oscurato su Youtube.

Terrorizzare – Fatto

Passo 1 rinchiudere – Fatto

passo 2: punire – Fatto

passo 3: censurare – Fatto

passo 4: jus primae noctis – in elaborazione

RAZZISMO E FRENASTENIA

Hanno sdoganato tutto in Italia, legittimando il peggio. Ora è il turno della frenastenia e del razzismo. Ma anche della grammatica e della sintassi imbarazzante; perché #Salvini e i fan è così che si esprimono, o meglio ruttano tra una gutturale e l’altra. Nei social come altrove.

Il termine ricorrente è invasione, negro (con la g), rom; segue extracomunitario, meridionale storpiato in merdanale, in leggera flessione Roma ladrona. Una ragione c’è, non si sputa nel piatto nel quale si mangia. Ricorrono i neologismi: sinistrato, cattocomunista (il più delle volte con la k), sinistronzo, sinistrotto, piddino, renzino. L’uso del neologismo ha una funzione particolare, tende a circoscrivere l’individuo in un gruppo e il gruppo in un luogo comune con una lingua incomprensibile fuori dal recinto. Lo stesso accade con le degenerazioni neuronali o psicotiche. Perché di quello si tratta, le mandrie si uniscono attorno al capobranco che promette ordine e qualche benevolenza. La parola ordine ha una natura apotropaica e curativa quando l’Io perde le sue funzioni. Le parolacce la fanno da padrone: caxxo (con la x), rottinculo, checca, negrodimerda, terrone qualche volta. La grammatica latita, ma si tratta di gente laboriosa, non di intellettuali che hanno tempo da perdere con i dettagli. I concetti sono ridotti al minimo: gravitano attorno a poche idee, confuse neanche tanto; la prima attorno alla quale ruotano le altre è la paura per l’uomo nero che ti tiene un anno intero (come nella filastrocca). La medicina che gli accoliti propongono è il rimpatrio, la galera, la frusta a volte per gli indesiderati. La dinamica della discussione è pressoché la stessa: il mentore scalda gli animi con una domanda retorica e l’esercito infuriato parte in battaglia. Non c’è posto per la discussione, la regola è che a casa nostra facciamo come ci pare e se non vi sta bene fora di ball. Il Capitano commenta poco e quando compare sembra un bulletto di periferia che si mette alla guida fomentando la massa inferocita. Non stempera le animosità, istiga piuttosto con un’ironia che a lui sembra sottile, ma che non va al di là della volgarità di certi film anni ’70; la mandria fa muro e tutti insieme si riuniscono a mangiare polenta e osei. I luoghi comuni la fanno da padrone; un luogo comune è un pensiero che fa riferimento a un’abitudine culturale maturata nel sentire popolare. La realtà è un’altra cosa, ma quando c’è un limite cognitivo la comprensione viene filtrata da un’idea tanto diffusa da sembrare verosimile. La verosimiglianza è però lontana dalla verità, come la demagogia e la retorica dalla politica. Non si tratta solo di una disfunzione semantica indotta dalla mancata padronanza del vocabolario, ma di una profonda degenerazione neuroantropologica. Si sente nell’assenza del senso delle parole e appunto nel prevalere dei luoghi comuni. E vengo al punto: la demenza neurolinguistica è caratterizzata dalla perdita del significato e dal deterioramento cognitivo; è una manifestazione clinica della degradazione lobare frontotemporale, associata all’atrofia del giro temporale inferiore e medio.

Le persone affette presentano problemi nella denominazione e nella comprensione di parole, nel riconoscimento dei volti, delle cose, delle situazioni, della realtà; la predominanza del verbale o non verbale (e nel nostro caso delle gutturali che dominano sulle articolazioni mature della lingua) riflette l’accentuazione dell’atrofia cerebrale. Alla distruzione del linguaggio si accompagna quella della personalità e a seguire la dimensione sociale dell’individuo. L’aggressività, la violenza, l’odio sociale verso un fantasma immaginario e minaccioso è uno dei morfemi dello stato paranoico di un poveretto che ha smesso di desiderare in maniera sana e consapevole e ha cominciato a odiare.

#estinguetevi

RAZZISMO: IDEOLOGIA O UROLOGIA?

fontana

“La razza bianca è a rischio”. Niente di nuovo, la sparata di Attilio , candidato dalla Lega alla Regione, si inserisce in un contesto di degrado politico e culturale che si va sempre più diffondendo. Razzismo e xenofobia primeggiano su Tv, giornali e soprattutto sui social. Gli uomini in età geriatrica (le donne mitigano per lo più con buon senso) risultano maggiormente infervorati; hanno un linguaggio bellico, fomentano gli animi, sono agguerriti, eccitati. Si sente la pulsione risorgimentale ed è una cosa buona che torna a premere nel pannolone. Ci sono ottuagenari che spingono la gente a scendere in trincea; chi fa le barricate e chi rispolvera l’eskimo: qualcosa dobbiamo fare, scrivono su Facebook. Già dobbiamo fare, che in Italia vuol dire armiamoci e partite. La rivoluzione che si consuma nell’epica delle parole, brandendo i post come baionette; altra cosa difficile da capire quando hai l’artrite alle dita. Va tutto bene però, e questi rigurgiti di vita sono legittimi e commoventi nelle salme decomposte. Una volta con l’età si acquisiva saggezza temperata da eleganza, qua siamo alle rivolte della prostata. La natura fino a qualche anno fa aveva compassione: portava via gli uomini a quarant’anni e un senso forse c’era; prendeva i corpi prima che degenerassero nella carne e nella mente. La vita si è allungata ed è un bene, ma con quel che ne consegue sul piano dell’entropia neuronale. 

 

 

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Un tempo la vecchiaia era una garanzia di saggezza; oggi esplode come una rabbia mal contenuta nel pannolone. Non è ideologia quella che mingete su Facebook, si tratta piuttosto di urologia. Lo dico ai vecchietti infervorati pronti a fare le barricate come ai tempi della fulgida giovinezza. Il corpo perde colpi e la dentiera costa un patrimonio; riponete il catetere della discordia. Ve la prendete con gli oppressi e difendete l’oppressore: la guerra per la quale lottate è generata dalla vostra geriatrica incontinenza.

“LAVORARE GRATIS”

Jovanotti:Lavorare gratis è un’esperienza formativa“. Per non deluderlo questa mattina ho scaricato da un sito pirata il suo ultimo cd. Tutti buoni a fare i liberisti con la precarietà degli altri.

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Siamo persone, caro Jova, non onlus. Se lavoriamo ci pagate. E’ ora di finirla con uno Stato che chiede l’impegno etico ai cittadini mentre invia le letterine di Equitalia. Il capitalismo italiano distribuisce non secondo bisogni o necessità. Si mette in tasca i proventi e li porta dall’altra parte del mondo. Più che il merito premia la furbizia, non produce benessere generale. Il capitalismo italiano genera schiavi e non cittadini, è il cancro dello Stato. Niente a che vedere con il normale liberalismo europeo o anglosassone; ostacola l’iniziativa privata, contrasta la concorrenza, impedisce il libero mercato e la circolazione di idee e merci. Sono una decina e hanno in mano l’economia del Paese; si definiscono imprenditori ma sono in realtà volgari rubagalline.

 

FACEBOOK censura le idee e spilla soldi con la pubblicità

“Io rivendico la mia libertà di scelta, oltre che di espressione. Io rivendico come utente della Rete la libertà che Internet ha nel suo DNA.” RedBavon

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L’articolo censurato (foto di RedBavon)

Di Giancarlo Buonofiglio

FACEBOOK, la cloaca del pensiero che latita, dell’insulto con rutto libero, della morale delle mutande madide di polluzioni, il coacervo del razzismo e del fascismo de noartri, il social che oscura i seni ma non rimuove post omofobi e minacce di morte l’ha fatto ancora. Questa volta ha censurato l’articolo scritto con RedBavon e Cuoreruotante sulla Commedia Sexy perché “contiene evidenti contenuti pornografici”. Avevo pubblicato il documento su Morelli e anche quello è stato cancellato per le medesime inemendabili ragioni. Ora tutto si può imputare allo psichiatra, ma non che abbia la faccia da culo. Quel social è un’accozzaglia di rigurgiti intestinali, tollerati fino a quando non esprimono un’idea; le fotografie sono la sottana dietro alla quale si nasconde una censura che non ha il coraggio per dichiararsi tale. Perché di quello si tratta. E per quanto riguarda il nudo: non ho mai capito il criterio col quale la comunità dei neuroassenti discrimini le immagini. L’esposizione della carne non manca, pur ritagliata in alcune parti. Il seno è tollerato, il capezzolo no. Il fondoschiena si può esporre; a quanto pare non ha una definizione oscena e non disturba il comune sentire. E’ interessante questa attenzione al ritaglio da macelleria; per metonimia la parte prende a significare il tutto e il corpo sezionato si presenta come il simulacro di significati che non ha. A vederla così sembra che l’interesse pornografico vesta il corpo piuttosto che spogliarlo con un abito di contenuti che ha la consistenza e la realtà dei fantasmi che affollano una mente malata.

Non c’è che un modo per ricostruire un minimo di diritto e se non li tocchi nel portafoglio questi non capiscono: EVITARE DI PAGARE LE INSERZIONI A FACEBOOK. (Che oltrettutto servono quanto una scatola di preservativi in un ospizio di centenari*.) L’azienda americana non è un social, ma un contenitore di avventori a cui il ZuckerMastrota della comunicazione propone tra i ciaone e le foto dell’amatriciana pentole e coperchi. Se gli articoli vengono generosamente ricondivisi, Facebook al di là dei contenuti li cancella perché a quel punto bisogna pagare (ti condividono? Dacce e sordi, che si capisce meglio); se i post (li chiama così con un neologismo di dubbio gusto) sono al di là della media intellettuale bovina blocca l’account. Di calcio puoi parlare, un’idea non la devi proporre (altrimenti è appunto pòrne.) Non ho mai postato un nudo e mi contestano infatti la pornografia. Questa volta è toccata a me, ma è una cosa che riguarda tutti; e se oggi censurano il mio pensiero domani toccherà al vostro.

[*A breve il mio articolo sull’inutilità delle inserzioni a pagamento su Facebook]

Seguono i commenti di Redbavon e Cuoreruotante.

Santissimo Zuckerberg! Scusa la volgarità!

“Scusa la volgarità? E perché? “
“Quello ogni cosa è peccato! È capace, vede il punto esclamativo … cos’è ‘sta cosa; l’uomo con il puntino sotto, è peccato, noi ci mettiamo con le spalle al sicuro. Scusa le volgarità…”
(cit. dalla lettera a Savonarola di Benigni e Troisi in “Non ci resta che piangere”)

di RedBavon

La censura di Facebook si è abbattuta sulla bacheca di Giancarlo e ha eliminato il post che indirizzava all’insano contenuto pubblicato in terra di WordPress, frutto della spremitura di tastiere di Cuoreruotante, Giancarlo e me. Motivazione: “contenuto pornografico”.

La motivazione fa ridere per almeno tre ragioni:

  1. Non è un articolo ma un link al post su WordPress e le righe di presentazione scritte da Giancarlo sono tutto fuorché “pornografiche”. Abbiamo le prove: l’immagine del post di Giancarlo è sopravvissuta nella mia bacheca. (NdA: Giancà due sono le cose: hai una “reputation” sotto lo sporco delle suole delle scarpe oppure, come direbbe il Marchese del Grillo, io non sono “un cazzo”.).
  2. La commedia sexy all’italiana è classificata come sotto-genere della commedia all’italiana e non nel genere “hardcore” o “XXX. Solo per adulti”.
  3. Non è necessario nemmeno scomodare il gotha della critica cinematografica, ma è sufficiente avere visto qualche film per capire che qualche tetta e culo al vento non fanno “pornografia”: basta fare una passeggiata sulla battigia d’estate, assistere in TV a un qualsiasi show di varietà o passare davanti a un cartellone pubblicitario.

Dall’autorevole Treccani la definizione di “pornografia”: trattazione o rappresentazione (attraverso scritti, disegni, fotografie, film, spettacoli, video ecc.) di soggetti o immagini ritenuti osceni, fatta con lo scopo di stimolare eroticamente il lettore o lo spettatore.

Se ne desume che lo scultorio posteriore della Cassini o il giunonico seno della Fenech siano ritenuti dai moderatori di Facebook come “osceni” e che lo scopo del nostro articolo fosse di “stimolare eroticamente il lettore.”.

Chiunque abbia letto anche solo le righe di Cuoreruotante, che apre il trittico di contributi, può comprendere che il moderatore, fan di Tomas de Torquemada, è fuori come una fioriera sul balcone  del decimo piano oppure ha molti più problemi di noi tre con la lingua di Dante.

Gli altri due contributi sono scritti da due autori maschi e, dato il tema, il moderatore potrebbe attendersi, come minimo sindacale, almeno della “pruderie”: a parte un lessico più libertino e qualche fotogramma che esalta le decantate doti delle attrici, si tratta di un tributo a un genere che ha fatto storia nel nostro cinema e, stilisticamente, è un divertissement (il mio) e un piccolo saggio (quello di Giancarlo).

Con i suoi due miliardi di utenti (fonte Ansa.it 28 giugno 2017), è chiaro che Facebook  è di fronte a una sfida senza precedenti e, comunque, di portata titanica. La società di Mark Zuckerberg, quasi senza accorgersene e nonostante una folta schiera di detrattori e concorrenti, è diventata tra i messa media l’organizzazione più grande e a più ampia diffusione nel mondo.

Due miliardi di individui compresi nell’ampio spettro di varia umanità anche avariata con le loro capacità di intrattenere, informare, emozionare, meravigliare, rattristare, disgustare, annoiare, terrorizzare.

Si stima che il Community Operations Team, la squadra di moderatori di Facebook, forte di 4.500 operatori, per lo più sotto pagati (leggi Underpaid and overburdened: the life of a Facebook moderator – The Guardian, 25 maggio 2017), deve prendere visione di oltre 100 milioni di contenuti ogni mese; ciò significa che ogni moderatore ha mediamente un carico giornaliero di 741 post e, calcolando 8 ore lavorative, ha meno di un minuto per singolo contenuto. In questo minuto scarso deve farsi un’idea e sentenziare sulla conformità ai “Community Standards”, ovvero le regole auto-definite dalla società.

Mark Zuckerberg ha dichiarato che intende rafforzare il Community Operations Team con altre 3.000 risorse; applicando lo stesso calcolo a un numero di contenuti costante (in realtà sono in aumento vista la tendenza alla crescita di nuovi iscritti), il moderatore avrebbe finalmente poco più di minuto per esaminare un singolo contenuto. A leggere certe esternazioni di politici italiani in un minuto io ho problemi a capirli nel loro italiano, che quando va bene è in “politichese”. Di sicuro non ho le caratteristiche adatte per candidarmi a uno dei tremila nuovi posti di lavoro per il Community Operations Team.

La prima reazione quando Giancarlo mi ha comunicato della censura del nostro post non è stata esattamente compita, mi sono lasciato andare a strali dall‘educato “bacchettoni” al – Parental advisory. Explicit Content – “cazzoni“. Interloquire con chi ha deciso di censurare è impossibile perché la piattaforma è “social” fino a un certo punto; diventa “asociale” se vuoi rivolgerti alla società che la amministra. Mi sovviene nuovamente la famosa frase del Marchese del Grillo: “Ah… mi dispiace. Ma io so’ io… e voi non siete un cazzo!“.

Facebook non ha politiche trasparenti, sopratutto nell’applicazione. La prova è nei numerosi e grossolani errori in sono incorsi.

Gli abbagli clamorosi nell’applicazione della censura per i soli contenuti “sessualmente espliciti” si sprecano.

Lo scorso marzo Facebook blocca una pubblicità. Se il moderatore avesse avuto un po‘ più di tempo si sarebbe accorto che la pubblicità era una collezione di opere d’arte e che l’immagine ritenuta offensiva fosse il dipinto “Women Lovers” di Charles Blackman. Giudicate voi l‘”oscenità”:

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Women Lovers

A settembre dell’anno scorso la toppa più clamorosa:

una delle foto più iconiche mai scattate, nota come “Napalm girl”, che valse il premio Pulitzer al fotografo, Nick Ut, cade sotto la sciagurata mannaia della censura Facebook. Kim Phuk, la bimba all’epoca ritratta nella foto, fece sapere che era rattristata da tale notizia. La foto viene ripristinata dopo la prevedibile e legittima gogna mediatica. Una figura barbina per Facebook tanto che Zuckerberg cita tale macroscopico errore nel suo discorso-manifesto “Building Global Community” pubblicato a febbraio, ne trae spunto per dedicare un capitolo intero e circa un migliaio di parole sul tema “Inclusive Community”.

Zuckerberg è ancora lì sul suo dorato piedistallo, il post citato nel momento in cui scrivo “piace” a 100.597 utenti, ha 14.940 condivisioni e conta 7.000 commenti.

Ho i miei dubbi che il moderatore che ha censurato “Napalm girl” lavori ancora per Facebook.

03_Napalm girl-nickut (1)
Napalm girl

Secondo Zuckerberg, Facebook sarà un social network con sempre maggiore enfasi sui rapporti umani, promuovendone le interconnessioni. Tale dichiarazione è stridente, se non contraddittoria, con quanto invece succede ogni giorno sulla piattaforma: linguaggio violento, discriminatorio, cyber-bullismo, un campionario male assortito di crudeltà, frustrazione e miseria (dis)umana.

Al di là del linguaggio violento (il pistolotto sull’ “Online Disinhibition Effect” ve lo tiro un’altra volta), la vera questione è se gli utenti siano in sintonia con l’”ambiente” in cui interagiscono, se si sentano a proprio agio nel perimetro fissato dalle regole auto-definite dalla società, dichiarate in modo generico e applicate, come da esempi riportati decisamente più famosi del nostro, con una buona dose di arbitrarietà.

I sacrosanti e tanto cari principi di libertà di pensiero ed espressione su cui Internet è fondata vengono lanciati fuori dalla finestra quando non coincidono con gli interessi del “business”.

La censura è già un’espressione di controllo su una società che è reputata non in grado di auto-selezionare i contenuti adatti e pertanto ha bisogno di un organo di controllo super partes. E sappiamo quanto “super partes” sia vuoto di significato quando vi sono altissimi interessi economici e politici in gioco. Ogni riferimento all'”idolatria del denaro”(cit. Papa Francesco) del capitalismo selvaggio nonché alla censura fascista, nazista, comunista e di qualsiasi regime totalitario odierno è puramente voluto.

Nella fattispecie, i rischi di una censura applicata da un controllo privato ad opera di una società multinazionale sono già sotto gli occhi del cittadino, anche non utente social network: si pensi a quanto è stato riportato sull’influenza delle “fake news” durante la recente campagna elettorale statunitense e delle cosiddette “filter bubble”, cioè il tracciamento del comportamento online dell’utente con lo scopo di offrire contenuti coerenti con le sue preferenze.

Nessuno conosce gli algoritmi e le esatte politiche di Facebook (ma neanche di Google): non temo il rischio d’imbattermi in un contenuto non adatto se non addirittura “osceno”, perché così – fattane esperienza – la prossima volta saprò evitarlo. Ciò che temo è che non saprò mai ciò che è stato cancellato arbitrariamente da Facebook o da Google e considerato “non adatto” per me.

Io rivendico la mia libertà di scelta, oltre che di espressione. Io rivendico come utente della Rete la libertà che Internet ha nel suo DNA.

Se i moderatori di Facebook continuano in questa applicazione arbitraria di regole auto-definite dalla multinazionale di cui sono dipendenti, il rischio è che diventino dei moderni inquisitori.

È inutile negarlo: “Facebook is the king of the social media” (cit. Forbes, 23 marzo 2017). Facebook deve perciò ammettere che gioca un ruolo importantissimo per come decine di milioni di persone vedono il mondo intorno, per come comunicano. Pertanto, è responsabilità di Facebook attuare politiche sempre più trasparenti, con l’obiettivo di specificare il “perché” e il “come” prendono le decisioni se un contenuto è da cancellare e non deve essere visto da altre persone.

L’attuazione di linee guida dettagliate e trasparenti è anche un modo per l’utente per capire il proprio “perimetro” e dove ha sbagliato se il suo contenuto è stato eliminato. Nel nostro piccolo caso, l’evidenza è che la commedia sexy all’italiana e ciò che abbiamo scritto non è un contenuto né “sessualmente offensivo” né tantomeno “osceno”. Perché allora è stato eliminato?

È anche vero che se l’utente conoscesse nel dettaglio le “regole del gioco” potrebbe decidere di non essere più parte di quella “comunità” perché non le condivide e non si sente a proprio agio. Ciò chiaramente stride contro la carta-obiettivo che Zuckerberg ha estratto dal mazzo: “Conquista le due Americhe, Africa, Asia, Europa e un quinto continente a tua scelta”

Firmato:

Tre persone, tre personcine, noi siamo tre personcine per bene che non farebbero male nemmeno a una mosca…

Caro Facebook …

Di Cuoreruotante

Sono Cuoreruotante. L’articolo che avete ingiustamente censurato porta anche la mia firma. Mi metto per un attimo nei panni di una persona ignorante, leggasi “colei che ignora”, e, cerco, sforzandomi, anche da ignorante, di estrapolare qualcosa di pornografico nell’articolo che abbiamo scritto. Non ci riesco. Abbasso l’asticella delle mie pretese, ancora nulla di vagamente pornografico. Mi ricordo di essere ignorante, allora vado a cercare il significato della parola “pornografia”. Da Wikipedia: La pornografia (dal greco πόρνη, porne, “prostituta” e γραφή, graphè, “disegno” e “scritto, documento” e quindi letteralmente “scrivere riguardo” o “disegnare” prostitute) è la raffigurazione esplicita di soggetti erotici e sessuali in genere ritenuti osceni ed effettuata in diverse forme: letteraria, pittorica, cinematografica e fotografica. Bene, ho capito e rileggo. Niente, non abbiamo scritto di prostitute o prostituzione, di atti osceni o indecenti.
Abbiamo dato risalto, con parole semplici e forbite, ad un genere di film prettamente comico, ma ad alto contenuto culturale. Non ci sono termini volgari, immorali o, vagamente, riconducibili ad essi.
Esistono gruppi su Facebook che inneggiano realmente alla prostituzione, che offendono (eufemismo) donne, bambini e chi non la pensa come loro. Trovo ingiustificato il vostro comportamento con la censura dell’articolo e il blocco dell’account di Giancarlo Buonofiglio. Vi invito a spiegarmelo, vi ricordo che io sono ignorante. Grazie

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VERSI PER VERSI

I lettori sono personaggi immaginari creati dalla fantasia degli scrittori.
Achille Campanile

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OSTE DELLA MALORA

Si sarà capito, con l’alcol ho un buon rapporto, fa male ma non gli porto rancore. Mi sono impegnato con Red a lasciare una testimonianza di un personaggio della sua saga Batmancito (se non l’avete letta la trovate nel blog, 21 episodi narrati con fantasia tolkieniana e rara eleganza; non sempre le saghe fanno male e la sua è  limpidamente epica) a lui (e a me per indecorosa epatoautobiografia) molto caro, l’Oste. Nell’ultimo episodio il Locandiere è oramai agonizzante, ma Red non si rassegna a lasciarlo andare. Ha chiesto quindi ai blogger che hanno seguito la vicenda un atto di umano raccoglimento (non fiori ma opere di bene), una memoria, qualcosa capace di tenerlo in vita oltre il racconto stesso. E’ il destino dei protagonisti delle narrazioni, se sono ben costruiti vivono di vita propria e non conoscono la parola fine. Personalmente è una parola che detesto; la fine è il punto, il limite, il baratro oltre il quale non c’è che il nulla. Solo un uomo sobrio può concepire che qualcosa finiscal’alcolista per indomita ostinazione manca di quella perversione. I racconti si fanno con le virgole, è la vita a mettere il punto.  Red mi ha aperto la sua web-bettola con il garbo di un signore d’altri tempi, con/versando tra un (neanche tanto immaginario) bicchiere di rosso e l’altro come si fa nelle osterie, mentre il Taverniere riempiva le brocche. L’Oste: bonario, coi mustache alla francese del film Irma la Douce, un po’ di pancia, la calvizie camuffata da un riporto imbarazzante e il grembiule sudicio; complice e mai giudice di un’umanità che versa nel bicchiere i singhiozzi della giornata. Potevo insomma rinunciare a celebrare colui che è amico e compagno nello sconforto, il consulente matrimoniale, psicologo e all’occorrenza avvocato; che trascurando le transaminasi si prende cura delle malinconie con saggezza, qualche volta con misericordia e sempre con il sorriso?

Questi aforismi etilici sono dedicati all’Oste, a Red e alle meravigliose storie che racconta e scrive sul suo blog.

 

oste

 

*L’uomo libero è scandaloso, spesso ubriaco, ha scarsa volontà ma anche tanta determinazione, è incerto e contraddittorio, pornografico a volte ma solo perché nulla ha da nascondere, osceno come quelli che indossano le stesse mutande per quattro giorni, sciatto, poco propenso al dialogo, di carattere e quando c’è è comunque un brutto carattere. Non conosce la vergogna e non ha pudore, sfrontato e genuino tradisce la debolezza solo davanti all’amore. E’ in cerca di purezza e la trova dove è di casa una passione.

*Un ricco e un povero sono seduti al tavolo e sopra ci sono dieci bicchieri di vino. Il ricco ne beve nove e dice al povero: guardati dal vicino che vuole rubarti il tuo.

*Il giudizio nasce dalla sobrietà, richiede una mente lucida e un cuore astemio. Chi giudica è freddo, indifferente, manca di una reale passione per la vita. E spesso è anche male informato.

*Il malinconico è angosciato dal bicchere vuoto, non lo tocca, osserva, non beve e lo lascia là. Manca dello spirito religioso che porta svuotarlo e della fede in qualcuno che comunque glielo riempia. L’empietà dell’astemio ha il tono dell’apostasia, ma anche della disperazione.

*Ci sono quelli che credono alla reincarnazione, alcuni alla trasformazione, altri ancora alla transustanziazione. Per quanto mi riguarda mi fermo alla fermentazione, a un Dio immanente ad alta gradazione. La mia metafisica è tutta qua e scorre nelle vie epatobiliari.

*E’ sufficiente un grado di moralità per mantenersi astemi, ma ci vuole una forte gradazione alcolica per sentirsi liberi.

*Quelli che hanno paura di ubriacarsi sono gli stessi che temono di innamorarsi, di difendere un’dea, di farsi carico di una passione. Sono quelli che dicono “solo un dito” quando qualcuno versa loro del vino. Misurano la vita con quel dito e giusto quello assaggiano.

*Appartengo a quelli che dicono “smetto quando voglio” e poi non vogliono. Ci dovrà pur essere un paradiso esclusivo per queste anime nobili che s’impegnano con una promessa e la mantengono.

*La normalità è un vino scialbo, a basso contenuto alcolico, adulterato e inconstitente al gusto; rimane sulla lingua e si sente nella testa più che altrove. Altra cosa è l’assoluto della follia, che passa dalla bocca e sconvolge il corpo senza alterarne l’equilibrio. Perché un buon vino transita per lo stomaco, ma arriva dolcemente al cuore.

*Mi piacciono le persone che nonostante tutto non finiscono mai di volersi bere.

*Le persone non sono indifferenti o prive di un carattere sociale. Spesso mancano di quella disposizione dello spirito che è il vino: più che aride sono a basso contenuto alcolico.

*Sono fiducioso, il bere trionfa sempre sul male.

*L’astemio è un ateo che ha paura di confrontarsi col silenzio del suo Dio.

*Il mio materialismo ha radici storiche ma non ideologiche, ha le sue ragioni nel vino. E’ un materialismo diabetico. La dialettica è cosa da uomini mansueti e con la glicemia in ordine, a me invece rode proprio il culo.

*La cirrosi non è una malattia, ma un traguardo (citaz.)

SIRI, JEANNIE, CORTANA E LE ALTRE

Ho un debito con Cuoreruotante e i debiti si pagano. Ho mancato di farle gli auguri in tempi ragionevoli e mi è toccata una penitenza; non è vendicativa e non è certamente una haters Cuore, infatti ha commutato la pena in un articolo sulla tecnologia. Quella però che più mi è ostica (e ostile), una relazione su Iphone, Android, Smartphone naturalmente dopo averli provati. Premettendo che uso un cellulare (li chiamo ancora così) coi tasti, comprato solo perché era pubblicizzato come telefono per anziani e che non mi porto dietro internet (l’idea di essere costantemente in una rete mi dà l’acidità di stomaco) la mia esperienza con questi aggeggi è stata la seguente.
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SIRI, la app dell’Iphone
Sembra che la Apple stia pensando di trasformare il software in una terapeuta. Con Siri ho parlato un paio di volte. Si tratta di una voce generata da un algoritmo e da una mente malata che risponde con tempestività alle domande. L’aggettivo malato (riferito al programmatore che ha sviluppato il dispositivo) non è offensivo, vuol dire distorto, alterato, deformato rispetto alle regole che una comunità si è data. La prima delle quali è la relazione con l’altro in un contesto di comunicazione in cui è assicurato prima ancora che la parola l’ascolto. Il problema di Siri è che non ascolta, non c’è una relazione anaclitica, non un passaggio di emozioni ma una corrente di parole, anzi fonetica rielaborata alla meno peggio da una computazione algebrica. Il software è semplice, binario, strutturato in bit e byte, 0 e 1 secondo una sequenza brutalmente logica che riduce al minimo l’articolazione decimale della lingua: se è non può non essere altrimenti il sistema si impalla. In sostanza: per parlare con Siri dobbiamo adeguare il linguaggio (e il flusso di emozioni) in bit e byte appunto modulandolo sul carattere del software. Che oltretutto (nel caso di Siri) è un caratteraccio. L’indole bisbetica mi provoca insofferenza con le persone, figuriamoci con le macchine; all’obiezione, che alla cpu del mio hard disk neuronale sembrava legittima: sei una cretina (e ammetto che il tono era insolente), mi ha risposto: non c’è bisogno di offendere. Permalosa come una suocera insomma. A questo punto mi tengo e litigo con la mia. Un’ultima annotazione: canta di merda, si trasforma in un razzo missile proprio non si può sentire.
Cito anche la fonte, così Cuore lo vede che mi sono preparato: https://goo.gl/jM1fAZ
LA MANUALITA’
Per me quei cosi non sono maneggiabili; problema mio e a quanto pare non ho il pollice opponibile, proprio non riesco a tenerli in mano. Tanto meno a pigiare i tasti. Vot: 3-4 non di più.
CYBERSESSO
E no, non ho provato. Come ho detto prima ho una manualità che fa disonore a Lamarck e poi non ho il pollice opponibile. Insomma la vedo dura. Però ho imparato una nuova parola: SESSEGGIARE. In serata dopo aver navigato come Ulisse, il canto delle sirene è arrivato. Ho trovato un messaggio in chat diretto e esplicito: “Ciao, ti va di sesseggiare?”. Ho analizzato la frase (e qua il perverso -ammetto- sono io): il ciao avvicina, assimila, familiarizza; ti va: ossia hai voglia di, cerchi sesso e vabbè il resto si capisce; sesseggiare è un neologismo giovanile, nato credo dalla Rete, che è un’altra lingua ed è bene ascoltarla perché sta modificando in profondità la struttura del linguaggio e quella mentale. La parola non mi piace ma non la trovo cacofonica, anzi; svincola il piacere dalla sua storia (che per la mia generazione era lunghetta: dal ti vuoi mettere con me a sentocheèvenutoilmomentodidareunasvoltaallanostrarelazione, e voleva dire proprio quello), circoscrive come tutti i termini nuovi in un gruppo e ritaglia dal resto del mondo. Con qualche rimpianto e per un fatto anagrafico appartengo tuttavia al resto del mondo, quello che per abitudine alla lingua non sesseggia. Perché il piacere parte da là (per quelli con la mia verecondia intendo), da parole che accarezzano e non graffiano. Ma i tempi cambiano e oggi si sesseggia e va bene così. Almeno finché non troverò in chat un messaggio pornografico del tipo: ciao, ti vuoi iscrivere al Pd? A quel punto comincerò piuttosto a sesseggiare.
DOWNLOAD
Per chi non lo sapesse vuol dire scaricare un file da internet. Ho aperto la pagina Twitter di Mario Adinolfi per fare il download di una sua foto (e sul perché stendiamo il velo pietoso, lenzuolo anzi vista la mole) e l’Iphone in autonomia l’ha salvata nel formato jpg-LARGE. Al software riconosco l’intelligenza nel riconoscere i formati (e gli sformati) e una buona dose di ironia.
NETIQUETTE
In Internet, con la parola netiquette si intende il complesso delle regole di comportamento volte a favorire il reciproco rispetto. Navigando sui social non solo ho imparato una nuova parola: UOMINISMO (per simmetria con femminismo) e il derivato uominicidio o maschicidio, ma soprattutto che le regole non le rispetta nessuno. O quasi. La storia sulla quale mi sono concentrato è questa: ad Arezzo una signora ha ucciso il marito con un mattarello e il popolo dei social si è espresso con improbabili neologismi. Ma non è questo che mi ha sconcertato (mi ero già rassegnato al ke, con la k), la Boldrini piuttosto. Lei che c’entra? I commenti che più mi hanno stupito sono i seguenti:
1) Come si definische questo omicidio? Presumo sia un UOMOINCIDIO. Il pendant del femmincidio. Solo per curiosità. Questo povero marito che male ha fatto?
2) Omicidio Boldrini, stupro Boldrini, violenza Boldrini, rapina Boldrini, terremoto ancora Boldrini….
Tesi: il pd con la crisi economica che ha creato sta uccidendo tutte le famiglie italiane
Antitesi: Sono le illusioni 5stelle che creano queste tragedie.
Sintesi: Un classico e poi i partiti sono tutti uguali
3) Ma non era meglio un piatto di tagliatelle ai porcini invece che fare arrabbiare tanto la moglie?
4) Cmque adesso boldrini e company non dicono cge bisogna fare una legge x proteggere gli uomini dalle donnne violente????
5): un altro maschilicidio
6) Finalmente un uominicidio!!
7) La moglie uccide il marito a botte di mattarello. Ci voleva (emoticon che ride)
8) Santa subito!
9) Ah, ecco a che servono quei bastoni de legno.
FAKE
Un fake è l’utente di un newsgroup, di un forum o di una chat, che falsifica la propria identità, spesso con lo scopo di danneggiarne la reputazione di qualcuno o di ottenere qualche vantaggio. Una fake news è una notizia falsa.
Aprendo pagine a caso in rete ho scoperto che è morto Paul Horner, Mr. Fake News. Il geniale inventore di bufale del web (in concorrenza con i giornali italiani, rispetto ai quali rimane comunque un dilettante.) Se n’è andato a 38 anni, così annuncia l’Huffingtonpost. Ma deve appunto essere un fake.
CYBERMOLESTIE
Nell’epoca del cybersesso non potevano mancare i cybergmolestatori. Ai miei tempi c’erano le bambole gonfiabili, da quel che vedo sono ora arrivate le cyborfanciulle. La vittima si chiama Samantha (una cybermora formosa decisamente sexy che costa solo 3000 sterline) e ha riportato danni gravi alle dita. E’ stata trovata sporchissima dopo la sua apparizione al Festival di Linz, ma la molestia si è limitata (pare) al palpeggiamento dei seni, delle gambe e delle braccia. Gli inquirenti non hanno rinvenuto tracce organiche sul corpo, le indagini sono però ancora in corso. Sembra comunque che la cybercreatura sia attrezzata per gemere quando quelle parti vengono maneggiate. Se ci sia stata complicità o mutuo consenso lo deciderà il giudice; trattandosi di una cyberdonna possiamo tuttavia supporre che il togato concederà ai cybersuini le attenuanti del caso.
Cito un’altra fonte, in modo che Cuore non mi annoveri tra i molestatori: https://goo.gl/Z5CsSF
Ed è il momento di trarre le conclusioni e di dare i voti: la tecnologia è bella e mi piace, mi piace meno chi la usa (sempre per via del deficit da pollice opponibile, che non mi ha fatto sviluppare le aree corticali ovviamente). Se si riduce a questo causa età geriatrica e sindrome da pannolone rimango fermo nella convinzione di Flaiano: la stupidità degli altri mi affascina, ma preferisco la mia.
Voto tecnologia: 9
Voto utenti generici (ma confesso che il voto basso è partorito dall’invidia per il dito prensile): 6
Voto utenti dei social (senza invidia): 1.
E con questo chiudo, cara dolce gentilissima Cuoreruotante, sperando di avere espiato, in ginocchio ma non sui ceci, su migliaia di microchip. Che è pure peggio.
Una domanda per te ce l’ho ed è più che altro un dubbio: non sarai anche tu una App?

LE ANIME NON MORTE

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Nel discorso amoroso “tu sei tutto per me” è un’espressione che compare di frequente. Apparentemente gratificante per l’altro, rivela però una certa morbosità. Il significato di questo “tutto” compromette la stabilità della scena, mettendolo in realtà ai margini l’altro. I significati non sono semplici segni, hanno origine nella disposizione mentale del parlante e diventano di uso comune, danno luogo ad una rappresentazione della realtà; di per sé sono elementi sensibili alle ingerenze emotive e psicologiche, per somiglianza o contiguità (metafore o metonimie), per timologia o ellissi dei nomi. Possono quindi trasformare quello che è vero, rivelando una struttura paranoica; ma ciò dipende dal soggetto nella relazione che instaura con l’Altro. In essa Lacan vede amplificata la struttura di significati che non riesce a controllare, al punto che il suo essere dipende da quello che avviene nel campo dell’Altro. Nella paranoia l’Io è più parlato che parlante, è abitato e perseguitato da ciò che dice questo Altro assoluto; a dominare sono il suo automatismo e il suo linguaggio. L’attenzione del paranoico è rivolta essenzialmente all’Altro, da cui deriva il senso dell’oppressione e della persecuzione. Se la paranoia dimostra l’importanza della struttura sull’Io, nel senso che il soggetto dipende da ciò che avviene nell’Altro, l’isteria determina il desiderio come un piacere insoddisfatto. La paranoia racconta la dipendenza del soggetto dal ruolo dell’Altro, quanto l’isteria il desiderio come desiderio inappagato. Tra paranoia e isteria, rimane comunque sempre l’Io nella sua dipendenza dall’ordine dato dall’Altro. Posto così il desiderio dimostra la prevalenza nella struttura paranoica del significato sul segno, del significante che domina nella lingua e sulla realtà. Il segno è l’elemento fondamentale della comunicazione, ma è il significato ad articolare la relazione, che può essere scollata o meno dal reale sulla base della dominanza dei significanti che si muovono nell’Altro. Dopo la lezione di Jakobson, Levi–Strauss ha fornito un modello all’antropologia basato sulla linguistica strutturale e in particolare sulla fonologia. Con l’analisi del mito e poi del racconto ha concentrato l’attenzione sulla narrazione (e quindi sull’enunciazione); da cui lo sviluppo della narratologia, che puntava l’interesse sulle proprietà strutturali del linguaggio letterario, sulla sintassi delle strutture narrative e non sulla semantica o sulla rappresentazione della realtà. A sua volta R. Barthes, nell’articolo Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, escludeva la referenza, considerandola subordinata in letteratura. La funzione del parlare o raccontare non è di rappresentare, ma di costituire uno scenario verosimile; per giustificare questa posizione Barthes rimandava a Mallarmè, sottolineando che il linguaggio si sostituisca al reale, rimarcando la sua necessità. La realtà frammentata nel linguaggio paranoico viene sostituita dal significato del “sei tutto per me”. Se sul piano linguistico e relazionale tale significato diventa assoluto e pone ai margini la realtà, su quello sessuale è devastante manifestando una natura fortemente patologica. Con la massima “il rapporto sessuale non esiste”, Lacan mostra che nel rapporto sessuale l’uomo cerca di scongiurare il godimento femminile percepito come insaziabile. Gli uomini sono angosciati dal senza limite del corpo femminile e da una domanda d’amore che si presenta senza fondo. Lacan in una lezione del Seminario XVIII (1971) afferma che per un uomo la donna è l’ora della verità, in quanto espone l’uomo a qualcosa che non può controllare. Il “senza fondo” appunto, il vuoto di un piacere illimitato. Da “tu sei tutto per me” a “sono tutte puttane” il passo è breve. Quando gli uomini affermano che la donna sia una puttana cercano di ridurre l’incomprensibilità del piacere femminile. Provano a controllare la tensione che tale infinitezza comporta. Questo tipo di linguaggio dimostra la struttura paranoica della personalità. L’uomo o ha l’erezione o non ce l’ha, una donna può fingere e recitare. L’enunciato “sono tutte puttane” è un modo per esorcizzare l’angoscia indotta dall’infinito femminile. Alcuni uomini vivono la sessualità non solo come un esercizio di dominio, ma come difesa per arginare ciò che spaventa nella sessualità della donna. L’innamoramento è l’antitesi di questo tipo di amore angosciato e semanticamente malato. E’ vita non morte, non per niente il suo anagramma è “anima non morte”. Non ancora impostato rigidamente nei significati, il significante è ancora libero di fluttuare ordinando il discorso. Non è detto che le orecchie percepiscano la parola innamoramento; nell’eccitazione scombinano le lettere per similitudine, assonanza, metafore o metonimie. E ciò che l’innamorato sente in uno scenario sano che integra l’Altro piuttosto che subirlo, non è tanto l’amore quale “sei tutto per me”, narcisistico presagio paranoico di morte (il “ritorno del morto”, R. Barthes) che si muove nelle parole, ma l’interesse per l’altro come una cosa viva, mobile, tipica appunto delle anime non morte.

Da FRAMMENTI DI UN MONOLOGO AMOROSO (L’AMORE TRA L’IMMAGINARIO E IL REALE)

I CAFONI CON LA MATITA ROSSA

Rispetto i libri, anche quelli pessimi; hanno l’ostinazione alla sopravvivenza, nonostante i limiti dello scrittore e la bassa spesso qualità del lettore. Questo è un Paese che punta il dito su chi esercita il diritto o il piacere alla parola e racconta, come può e come sa, ma sottovaluta la generale diffusa inabilità alla lettura. Un libro non è un oggetto come un altro, è qualcosa di radicale e richiede un pensiero non pregiudiziale, forte, ruvido, paradossale a volte. Sempre la lettura completa del testo piuttosto che il post di due righe arrangiate nei social, ma è chiedere troppo. Umberto Eco lo diceva apertamente e quello che è in realtà un limite dell’analfabeta di ritorno finisce per legittimarsi nei luoghi comuni della parola. L’analfabeta funzionale fa spesso gruppo in Rete, i proseliti agli incapaci non mancano mai. E così il popolo dei cafoni parte al linciaggio mediatico, come può e come sa. Sentire non è ascoltare e leggere non vuol dire comprendere. La medietà culturale, la scolarizzazione di stato e peggio ancora il pezzo di carta (dei famosi lettori forti: dieci libri all’anno) non legittima il giudizio, non sempre almeno, e non fa del lettore un critico letterario. Puoi sfogliare la gazzetta rosa ogni mattina, ma questo non fa di te un giornalista sportivo. Succede però, come nel calcio; tutti CT della nazionale, raffinati esegeti della morale, sottili esteti della musica o esperti di macroeconomia. Tanta sapienza, che dire, mi sconvolge nelle mani di un popolo che diserta le librerie e affolla le pizzerie. Nascondere la propria inettitudine (quando va bene) dietro al diplomino mi sembra vile e i cento libri di un corso universitario sono davvero poca cosa. La cultura è altro. Rispetto i libri perché non mi piace la medietà, perché amo il pensiero radicale, perché la parola va al di là dell’uomo che l’ha scritta. Ma soprattutto perché chi scrive qualcosa sa fare, criticare è facile quando non si fare nulla, oltre che organizzare gruppi di linciaggio sulle piattaforme sociali. Tanta animosità sulla scrittura e tanto troppo silenzio su cose che ogni giorno lasciano un segno reale stupisce ma neanche tanto. La vita lo sappiamo è un’altra cosa e ha la sua priorità, ma l’analfabeta funzionale non se ne occupa. Le parole graffiano, lasciano il segno, mordono, anche quelle scritte male; costano nulla, spesso meno di un cappuccino. Eppure il cappuccino si beve sempre e comunque; non ho mai visto il reso e raramente mi è capitato di vedere clienti insoddisfatti alzarsi e cambiare ristorante. I libri non vanno giù, non si bevono, rimangono sullo stomaco appunto perché sopravvivono sempre e comunque. Al di là della pessima sintassi di chi scrive, ma anche degli obiettivi limiti culturali di chi legge. Sui social non censurano i post neofascisti, se la prendono col pensiero e dovunque sentano odore di libertà; di norma è un buon segno, vuol dire che l’autore è decontestualizzato, che va al di là del chiacchericcio, che è svincolato dalla banalità della comunicazione. Ma è proprio là che l’analfabeta di ritorno, lo schiavo dei luoghi comuni dà il meglio di sé, mettendo la tonaca di un inquisitore che accende i roghi per ristabilire l’ordine e i ruoli. Lo stesso che spende venti euro la mattina al bar, tra grattini, sigarette e porcherie che ingurgita senza remore, ma che si limita a leggere i titoli dei libri, recensurandoli con due righe rappezzate appena su Facebook. La piazza degli italiani, aprendo come le vecchie signore di borgata le imposte per inveire a voce alta contro il malcapitato: perché per il cafone funzionale e analfabeta due euro per un libro sono comunque e sempre troppi.

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