La modernità tecnologica ha reso possibile qualcosa che le vecchie generazioni non conoscevano, la popolarità. Se un uomo ordinario acquisiva notorietà normalmente era per un fatto grave di cronaca; la celebrità rimaneva una prerogativa aristocratica e al di là di una discendenza fortunata coincideva con qualche virtù. Essere riconosciuti voleva dire emergere per qualità, impegno, sagacia, attitudine; comportava una dote che altri non avevano. La comunicazione di massa ha appiattito le differenze, omologato i linguaggi, livellato al basso le abilità. Anche l’istruzione di Stato ha contribuito alla spersonalizzazione sulla base di un astratto principio di uguaglianza che ha finito per mortificare la qualità. La popolarità ha dato l’opportunità all’ultimo disperato di affiorare all’interno di una massa di individui senza nome. I linguaggi della comunicazione, conformati quel tanto che basta a raggiungere il maggior numero di persone, tendono a una lingua media e mediocre che deve indurre a consumare prima che a conoscere o raccontare. In economia si dice che la richiesta muove l’offerta e un popolo educato dalla televisione di Stato, dall’istruzione di Stato, dalla lingua dello Stato (di questo Stato) non è in grado di discriminare tra un prodotto che ha valore e l’altro. Emergono i mediocri, i miserabili, i nullafacenti e i nullaesistenti; non meraviglia che politici e imprenditori di dubbio gusto abbiano l’approvazione e un seguito popolare. Personalmente non li distinguo dai tronisti della De Filippi, ma è un problema mio. Se la richiesta è quella, l’offerta non può che compiacerla. La mediocrità dell’informazione e delle derrate culturali, l’inefficienza di chi ha un incarico pubblico dipendono dalla contrazione del livello di coscienza, di erudizione, di lungimiranza di un popolo che ha perso le radici della civiltà inseguendo il sogno della celebrità. Un sogno appunto in cui anche il più inetto tra gli individui possa identificarsi, annullare le alterità e ottenere il successo fino a credersi stocazzo; costringendo a un’emigrazione che l’Italia non conosceva, quella che porta all’espatrio uomini e donne che parlano di cultura, di scienza, di diritto in paesi nei quali essere famosi è magari bello, ma conoscere, elaborare idee, innovazioni, scoperte è comunque meglio. Ci siamo adagiati nella banalità della lingua e siamo contenti così, con quattro soldi tra mani e il desiderio di spenderli nei luoghi del piacere, che sono poi il cimitero della nostra coscienza.
Categoria: concorsi di bellezza
L’ESTATE
L’estate più che una stagione è un’emozione; coincide con la chiusura delle scuole, le città deserte, il rumore degli zoccoli sul catrame. Una volta comportava una pausa lunga dal lavoro, ma i tempi si sono ristretti. Ci accorgiamo dell’estate dal numero di uxoricidi, perché il caldo amplifica le insofferenze domestiche, dai furti in casa, le code sull’autostrada, dai piedi che salutano dai finestrini. La pubblicità progresso che ricorda di non abbandonare i cuccioli all’autogrill e di andare a riprendere nonna alla casa di riposo. Giusto per mettere in valigia qualche rimorso. Totò, la commedia sexy che un moderato eccitamento lo provoca, ma nel modo giusto, gradito dalle signore che si lusingano con qualche inaspettato risveglio; l’abbronzatura rende più belli e una volta che la pelle è color amaranto ci sentiamo insolitamente desiderati. Estate vuol dire palestra, la prova costume, estenuanti sedute dall’estetista che si prende cura delle negligenze, adipe o punti neri. La pancia dentro, aspirata ai limiti del verosimile, perché il confronto coi giovanotti ancora integri nell’anatomia è inevitabile. Le infradito; io le bandirei ma le portano tutti. Costumi sgambati per le donne, che scoprono di essere belle e sempre comunque lo sono, orgogliosamente sfacciate nell’esporre la mercanzia reclusa durante l’anno; pantaloncini per gli uomini con annessa carenza pilifera al polpaccio, che tradisce mesi di fustigazione del pedalino. L’odore della crema, i discorsi da ombrellone, io quella me la farei e io il bagnino me lo sono fatto, la cellulite che pare essere una piaga sociale, le fantasie erotiche mugugnate a bocca stretta mentre le mogli sono distratte da altro. Un libro, le chiacchere con l’amica, il pianto del bambino che strilla il rancore per mamma in una spiaggia affollata. Papà che mette a dura prova il miocardio correndo dietro a una palla, con quel dolore al fianco a ricordargli inesorabile che non ha più l’età. L’estate comporta il sudore, le magliette appiccicate come una seconda pelle, il pesce, l’anguria non più fortunatamente sotterrata ed esumata dalla battigia, le finestre aperte. le zanzare. Quelle sono immancabili ad avvertirci del cambio di stagione. Ma l’estate è soprattutto fantasia, immaginazione, evasione; un sogno e un desiderio non pronunciato. Come un bacio che si dà così, perché ogni tanto è bello rimanere senza fiato.
MINISTORIA DEL BAGNO E DEI SUOI INDISPENSABILI ACCESSORI
SULL’IGIENE PERSONALE ET I MODI DI NETTARSI
(da Consigli, amenità e facezie sopra l’esercizio del
GABINETTO
L’interesse per lo gabinetto et la funzione sua non è affatto recente. Erasmo da Rotterdam ad exempio nel secolo Sedicesimo cogitava sulle funzioni corporali, consigliando di coprire con un colpo di tosse il suono sgradevole di un peto (“Sostituite le scoregge con un colpo di tosse”), et di non salutare nessuno mentre sta urinando o defecando. La storia della stanza da bagno è però antichissima. Già i primitivi portavano i resti organici vicino a qualche fonte di acqua corrente; fu però nelle isole Orkeney, in Scozia, che diecimila anni fa si costruirono le prime tubature idrauliche per portare gli escrementi fuori dalle abitazioni. Et così per la prima volta la gente poteva andare di corpo nelle case, senza la necessità di uscire all’aperto. In Oriente l’igiene era una specie di culto, tanto che dal 3000 a.C. molti edifici avevano lo bagno privato (in Pachistan sono stati trovati bagni pubblici e privati muniti di condotti in terracotta et rubinetti per lo flusso dell’acqua). I più elaborati tra i bagni antichi appartenevano alle famiglie reali del palazzo di Cnosso, a Creta (2000 a.C.). I nobili minoici pare infatti che si dilettassero in vasche riempite et svuotate da condotti in pietra, poi sostituiti da tubi di ceramica. Le tubature trasportavano acqua calda e fredda, mentre lo palazzo era dotato di una latrina con serbatoio (il primo water closet della storia); tale serbatoio era progettato per raccogliere la pioggia et in sua assenza in modo tale da potersi riempire a mano. In Egitto le comodità de lo bagno subirono un notevole miglioramento; nel 1500 a.C. le case degli aristocratici avevano tubature in rame attraversate da acqua calda e fredda, et l’immersione nelle vasche prese un significato quasi religioso. Con la legge mosaica gli ebrei (nel regno di Davide et Salomone furono costruiti nella Palestina complicati impianti idrici pubblici) fecero dell’igiene nientemeno uno dei componenti essentiali della halakah.
WATER CLOSET CON SCIACQUONE
Questa imprescindibile comodità dell’età moderna era già in uso dalla famiglia reale minoica 3500 anni fa. Dopo una moltitudine di experimenti, fu solo nel 1596 che Sir John Harrington ideò una “perfetta latrina” per la regina Elisabetta, sperando di rientrare nelle grazie sue dopo che era stato espulso da corte per avere fatto circolare dei romanzi volgari. Lo suo gabinetto comprendeva un serbatoio sistemato sopra l’impalcatura, un rubinetto azionato a mano, una valvola che scaricava le lordure in un pozzo nero. Harrington cadde però nella tentatione di un altro libro, che intitolò “The metamorphosis of Aiax”. L’umorismo irriverente dell’opera irritò nuovamente Elisabetta che lo bandì una volta per tutte assieme alla sua inventione. Et così bisogna arrivare al 1775 per trovare lo primo brevetto di Water con sciacquone; ad opera di un matematico et orologiaio britannico Alexander Cumming. Tale congegno differiva dal precedente per una fondamentale innovatione: il modello di Harrington si collegava direttamente al pozzo nero senza che ci fosse un contenitore d’acqua ad evitare il ritorno degli odori (cosa che la stessa Elisabetta lamentava); nel perfezionamento di Cumming lo tubo di scarico si curvava invece sotto la tazza, in modo da tamponare le esalazioni. Benché di innegabile utilità et di semplice applicazione, ci vollero tuttavia ancora vent’anni prima che il W.C. sostituisse lo vaso da notte.
CARTA IGIENICA
La prima carta igienica viene messa in commercio in America nel 1857, da Joseph Gavetty. Il prodotto, che era in pacchi con fogli singoli, non ebbe lo successo sperato. Gli americani sembra infatti che preferissero i ritrovati de la stampa: cataloghi dei grandi magazzini, giornali, opuscoli, foglietti pubblicitari (che tra l’altro fornivano un utile materiale di distratione). Nel 1879 Walter Alcock provò in Inghilterra a lanciare la moda della carta igienica nella forma dei rotoli a strappo, ma la morale vittoriana non accettò di pubblicizzare un accessorio tanto intimo et imbarazzante. Sempre in America nel 1880 due fratelli newyorkesi, Edward e Clarence Scott, riuscirono alla fine ad imporre il prodotto sul mercato (soprattutto ad alberghi et ristoranti che stavano ristrutturando le latrine per accogliere i nuovi water closet con sciacquone). La carta degli Scott, che era al principio marrone, si trasformò presto nella prestigiosa Waldorf Tissue (detta ScotTissue), portando su ogni rotolo la scritta “morbida come l’antico lino”. Le prime pubblicità erano rispettose della sensibilità de lo pubblico, fino a che dopo la prima guerra mondiale non cominciarono a girare messaggi di questo tipo “Hanno una bella casa, ma la loro carta igienica fa male!”.
SALONI DI BELLEZZA (TERME)
I romani nel II secolo a.C. fecero dei bagni un ritrovo sociale, dotandoli di giardini, negozi, biblioteche, palestre et sale di lectura. Ad exempio nelle terme di Caracalla si praticavano cure per la salute et la bellezza. Ci si poteva cospargere di oli e abbandonarsi ai maxaggi; godere di bagni caldi, tiepidi o freddi; depurarsi con la sauna; curare i capelli; fare ginnastica nella palestra. Era anche possibile acquistare profumi e cosmetici, dedicarsi alla lectura o ascoltare conferenze, mentre in un’altra sala gli schiavi servivano il cibo et versavano lo vino. Anche se dal principio uomini et donne frequentavano terme separate, in seguito si diffuse la moda dei bagni misti. Tale abitudine continuò per qualche tempo anche dopo l’editto di Costantino (dal principio i bagni non avevano quel carattere promiscuo che presero invece con l’età rinascimentale, quando la parola “bagno” cominciò a significare tanto il bagno quanto lo bordello), finché la nuova religione cristiana non iniziò ad imporre la politica sua (nel 500 d.C. la moda delle terme era oramai decaduta).
SALVIETTE DI CARTA
Uno sbaglio di produzione del 1907 in una fabbrica, portò alla inventione delle prime salviette di carta a strappo. La carta igienica degli Scott proveniva da una cartiera et arrivava nei rotoli, che poi venivano tagliati e ridotti in pacchi formato bagno. Accadde una volta che una partita fosse difettata; poiché il prodotto non era buono per essere usato come carta igienica, uno degli Scott ebbe l’idea di farne delle salviette. Messi in commercio nel 1907, i primi fazzoletti usa et getta erano chiamati Sany-Towel.
RASOIO
Gli uomini si rasavano lo viso già ventimila anni fa servendosi di conchiglie et pietre di selce affilate. Tali strumenti furono perfezionati con l’intervento del ferro et del bronzo. Egizi, greci e romani si radevano quotidianamente (fu il termine romano “barba” a dare origine alla parola “barbiere”). Nelle americhe gli indiani usavano strapparsi i peli della barba uno a uno, utilizzando gusci di molluschi bivalvi come pinzette. Le donne per lungo tempo si sono invece servite della fiamma della candela, sostituita (dopo una serie di attrezzi parimenti dolorosi e abrasivi) nel secolo XIX dal moderno rasoio. Nella nostra cultura lo pelo è stato in generale bandito dalla parti visibili della femmina, eccetto sulla testa, nelle ciglia e nelle sopracciglia (vedi ad exempio H. Bazin, La mort du petit cheval) come surrogato di quella zona che Sigmund Freud chiama il “continente nero”. Ma sull’argomento gli storici dello pelo non sempre concordano nello giudizio, essendoci taluni che chiedono alle compagne loro non solo di fare bella mostra di gambe et ascelle virili, ma di ornarsi abbondantemente le pudende con le zolle di Venere (come puoi leggere nel libro Je suis renvoyé, di Marcel Ayme). Anche tu pertanto, amica mia, potrai secondo lo gusto tuo et lo piacere de lo cliente imbellettarti in quella parte di cui non è lecito dire, a conditione però che il pectiniculus non sia di impedimento al coito. Come è detto in quell’aneddoto che mi fu narrato personalmente da un gentiluomo di cui non faccio lo nome
“Il quale, intanto che si stava con una dama bellissima e di qualità, e le menava stoccate rudi, si sentì a un tratto pungere così forte nei genitali, ch’ebbe mille difficoltà a portare il suo lavoro a compimento. Ma, com’ebbe finalmente terminato, volle tastare il luogo puntuto: e scoprì che costei aveva tutt’intorno alla sua vulva una corona di petali talmente lunghi, ispidi e pungenti, che avrebbero potuto servire a qualche scarpaio in luogo di setole.”
DENTIFRICIO
Lo dentifricio fu inventato in Egitto 4000 anni fa. Fortemente abrasivo, era realizzato in pietra pomice polverizzata et mischiata all’aceto di vino; la mistura veniva poi passata sui denti con un bastoncino da masticare. Per quanto rustico, lo dentifricio egiziano era certamente più gradevole di quello romano che era fatto di urina umana (nella forma liquida veniva anche usata come collutorio). Le donne romane altolocate pagavano fior di sesterzi per l’urina portoghese, dato che era ritenuta la più forte di tutto lo continente. Il piscio, come elemento delle paste dentifricie e dei risciacqui orali, continuò ad essere usato anche nel secolo XVIII. La caduta dell’Impero romano comportò invece l’arresto delle cure alla bocca. Per cinquecento anni le persone anestetizzarono le sofferenze con intrugli caserecci et extrazioni improvvisate. Gli scritti del persiano Rhazes, nel decimo secolo, segnarono il ritorno dell’igiene dentale; egli fu infatti lo primo medico a raccomandare l’otturazione delle cavità. Allo scopo utilizzava un impasto simile alla colla, composto di allume (ammoniaca e ferro) et lentischio, una resina extratta da una pianta della famiglia del mogano. Benché la sostanza per l’otturazione fosse valida, trapanare una carie richiedeva comunque l’abilità del medico, un’attrezzatura adeguata et un coraggio grandissimo da parte de lo paziente. Il principale problema dei trapani era la rotazione, che era manuale, lenta et dolorosa. Il primo trapano meccanico è del XVIII secolo (munito di un meccanismo rotatorio interno); seguì quello a pedale che aveva però l’inconveniente di surriscaldarsi nella rotazione.
SULLA BIANCHEZZA DEI DENTI
In Europa bisogna aspettare lo secolo quattordicesimo per la rinascita dell’igiene dentale. Nel 1308 i barbieri-chirurghi si unirono in corporazioni; oltre alle estrazioni si adoperavano nello sbiancare i denti (ma anche nel fare la barba, tagliare i capelli et praticare lo salasso). L’operazione consisteva in una limatura dello smalto et in un tampone di acquaforte a base di acido nitrico. Si può immaginare, dopo un simile trattamento corrosivo, quanto dovesse proliferare il marciume della bocca. La pulizia con l’acido continuò fino al XVIII secolo, seminando carie e dolori insopportabili tra la gente.
Per quanto riguarda il fluoro, le cose stanno così: nel 1802, nel napoletano, alcuni dentisti osservarono delle macchie scure sui denti dei pazienti; scoprirono che le macchie erano originate da una interazione tra lo smalto e la quantità di fluoro contenuta nell’acqua della zona. Solo decenni dopo fu chiaro che i denti macchiati erano per quanto sgradevoli privi di carie. Presero allora moda le caramelle a base di fluoro, addolcite con miele, mentre i dentifrici vennero arricchiti dello prezioso minerale.
DENTIERE
Gli etruschi sono stati i più abili dentisti de lo mondo antico. Estraevano i denti cariati et li scambiavano con dentiere complete o parziali, in cui ogni dente era intagliato nell’avorio o nell’osso, mentre i ponti venivano fatti in oro. Quando una persona delle classi alte moriva, i denti buoni venivano asportati per essere incastonati sulle dentiere. La scientia di questo popolo nel campo dell’odontoiatria non è stata eguagliata fino al secolo XIX. Senza tenere conto della lectione etrusca, i dentisti medioevali insegnavano infatti che le carie erano provocate da vermi dei denti che scavavano per uscire; et era costume tra i ricchi di acquistare i denti buoni dai poveri, che venivano fissati su finte gengive in avorio. Queste dentiere erano agganciate alle gengive con dei fori praticati ne la carne; altre volte ci si serviva di molle per fissare l’arcata superiore, ma erano tanto robuste che bisognava fare una pressione continua per riuscire a chiudere la bocca. L’aspetto delle dentiere diventa più naturale con la Rivoluzione Francese, dato che i dentisti parigini realizzavano i denti in porcellana; in America tale abitudine venne adottata da Claudius Ash, che deplorava la moda di raccogliere i denti sui campi di battaglia. Mentre la porcellana migliorava l’aspetto dei denti finti, la gomma vulcanizzata (perfezionata a fine ‘800) aprì la strada alla prima base comoda su cui inserire la dentatura. Gli interventi furono un decennio dopo perfezionati con la scoperta dell’anestetico (protossido d’azoto).
Da Consigli, amenità e facezie sopra l’esercizio del meretricio e dei lupanari
Biancaneve e i sette vizi capitali
Ci raccontano favole e crediamo a tutto. Quello che non dicono è che Biancaneve gliela dava ai sette nani
Da PER ME BIANCANEVE GLIELA DAVA AI SETTE NANI
WEBSITE http://permebiancaneveglieladavaai7nani.jimdo.com/
MISS ITALIA: SE IL PAESE VA A PUTTANE…
SE IL PAESE VA A PUTTANE E SONO TUTTE A CASA TUA, FATTELA UNA DOMANDA…
Tante, troppe polemiche su una ragazza uscita vincente da un concorso di bellezza, di per sé vecchio e inutile. Gli intellettuali sbandierano il gonfalone dell’intelligenza e della cultura, le donne politicamente impegnate sono indignate, le femministe di ritorno scioccate. Guardiamola bene l’intelligentia italiana. Ricordo Lucio Colletti, studioso di tutto rispetto e marxista abbracciare il nuovo che avanzava (e il nuovo era Berlusconi), giornalisti lacchè deflorati per deontologia, Rutelli che appendeva il cappio in Parlamento nel nome della laicità dello Stato e che pro beneficio è diventato un integralista alla Torquemada, Dalema che passa per essere l’uomo più intelligente della politica nostrana, le cui profezie sono rimaste proverbiali (ad ogni elezione dal 1994 in poi se ne usciva con la frase: “l’Italia finalmente si è liberata del Giullare”, puntualmente smentito dai fatti, tanto che ad ogni vaticinio mi toccavo). La laicità dello Stato, argomento fondamentale, nessuno ne parla, pochi la vogliono. Si discute invece di una bella ragazza che incespica nell’italiano, non di migliaia di persone che ogni giorno sono mutilate nel diritto e nella dignità. Di mignotte in questo Paese ce ne sono eccome, ma non stanno sul podio di Miss Italia. Raccontano favole e lo sappiamo, ci vuole però la faccia tosta per trasformare Cappuccetto Rosso nel Lupo Cattivo. In Italia si va a puttane, è lo sport nazionale, ma di notte quando la moglie dorme e il prete è in sacrestia. Tanta troppa morale da parte di un Paese che ha il tasso più alto di evasione e che in Europa (per questo e non certo a causa di una bella figliola) è rimasto ai margini del diritto e della civiltà.
(Da Per me Biancaneve gliela dava ai sette nani)
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