Benvenuti su Facebook, il social razzista che dà lezioni di morale

Ieri con RedBavon e Cuoreruotante abbiamo parlato della censura su Facebook. Qualcuno ha scritto Facebook, chi è? Con ironia antifrastica e siamo d’accordo: è il nulla riempito di niente con il vuoto attorno. Tuttavia è un fenomeno sociale vastissimo, numericamente impressionante con due miliardi di iscritti; l’azienda americana li chiama account, ma sono persone con diritto di pensiero e di parola. Red l’ha chiarito benissimo nell’analisi che segue.

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post che rispetta le norme dalla comunità Facebook

Santissimo Zuckerberg! Scusa la volgarità!

“Scusa la volgarità? E perché? “
“Quello ogni cosa è peccato! È capace, vede il punto esclamativo … cos’è ‘sta cosa; l’uomo con il puntino sotto, è peccato, noi ci mettiamo con le spalle al sicuro. Scusa le volgarità…”
(cit. dalla lettera a Savonarola di Benigni e Troisi in “Non ci resta che piangere”)

Di RedBavon

La censura di Facebook si è abbattuta sulla bacheca di Giancarlo e ha eliminato il post che indirizzava all’insano contenuto pubblicato in terra di WordPress, frutto della spremitura di tastiere di Cuoreruotante, Giancarlo e me. Motivazione: “contenuto pornografico”.

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il nostro post censurato per pornografia

La motivazione fa ridere per almeno tre ragioni:

  1. Non è un articolo ma un link al post su WordPress e le righe di presentazione scritte da Giancarlo sono tutto fuorché “pornografiche”. Abbiamo le prove: l’immagine del post di Giancarlo è sopravvissuta nella mia bacheca. (NdA: Giancà due sono le cose: hai una “reputation” sotto lo sporco delle suole delle scarpe oppure, come direbbe il Marchese del Grillo, io non sono “un cazzo”.).
  2. La commedia sexy all’italiana è classificata come sotto-genere della commedia all’italiana e non nel genere “hardcore” o “XXX. Solo per adulti”.
  3. Non è necessario nemmeno scomodare il gotha della critica cinematografica, ma è sufficiente avere visto qualche film per capire che qualche tetta e culo al vento non fanno “pornografia”: basta fare una passeggiata sulla battigia d’estate, assistere in TV a un qualsiasi show di varietà o passare davanti a un cartellone pubblicitario.

Dall’autorevole Treccani la definizione di “pornografia”: trattazione o rappresentazione (attraverso scritti, disegni, fotografie, film, spettacoli, video ecc.) di soggetti o immagini ritenuti osceni, fatta con lo scopo di stimolare eroticamente il lettore o lo spettatore.

Se ne desume che lo scultorio posteriore della Cassini o il giunonico seno della Fenech siano ritenuti dai moderatori di Facebook come “osceni” e che lo scopo del nostro articolo fosse di “stimolare eroticamente il lettore.”.

Chiunque abbia letto anche solo le righe di Cuoreruotante, che apre il trittico di contributi, può comprendere che il moderatore, fan di Tomas de Torquemada, è fuori come una fioriera sul balcone  del decimo piano oppure ha molti più problemi di noi tre con la lingua di Dante.

Gli altri due contributi sono scritti da due autori maschi e, dato il tema, il moderatore potrebbe attendersi, come minimo sindacale, almeno della “pruderie”: a parte un lessico più libertino e qualche fotogramma che esalta le decantate doti delle attrici, si tratta di un tributo a un genere che ha fatto storia nel nostro cinema e, stilisticamente, è un divertissement (il mio) e un piccolo saggio (quello di Giancarlo).

Con i suoi due miliardi di utenti (fonte Ansa.it 28 giugno 2017), è chiaro che Facebook  è di fronte a una sfida senza precedenti e, comunque, di portata titanica. La società di Mark Zuckerberg, quasi senza accorgersene e nonostante una folta schiera di detrattori e concorrenti, è diventata tra i messa media l’organizzazione più grande e a più ampia diffusione nel mondo.

Due miliardi di individui compresi nell’ampio spettro di varia umanità anche avariata con le loro capacità di intrattenere, informare, emozionare, meravigliare, rattristare, disgustare, annoiare, terrorizzare.

Si stima che il Community Operations Team, la squadra di moderatori di Facebook, forte di 4.500 operatori, per lo più sotto pagati (leggi Underpaid and overburdened: the life of a Facebook moderator – The Guardian, 25 maggio 2017), deve prendere visione di oltre 100 milioni di contenuti ogni mese; ciò significa che ogni moderatore ha mediamente un carico giornaliero di 741 post e, calcolando 8 ore lavorative, ha meno di un minuto per singolo contenuto. In questo minuto scarso deve farsi un’idea e sentenziare sulla conformità ai “Community Standards”, ovvero le regole auto-definite dalla società.

Mark Zuckerberg ha dichiarato che intende rafforzare il Community Operations Team con altre 3.000 risorse; applicando lo stesso calcolo a un numero di contenuti costante (in realtà sono in aumento vista la tendenza alla crescita di nuovi iscritti), il moderatore avrebbe finalmente poco più di minuto per esaminare un singolo contenuto. A leggere certe esternazioni di politici italiani in un minuto io ho problemi a capirli nel loro italiano, che quando va bene è in “politichese”. Di sicuro non ho le caratteristiche adatte per candidarmi a uno dei tremila nuovi posti di lavoro per il Community Operations Team.

La prima reazione quando Giancarlo mi ha comunicato della censura del nostro post non è stata esattamente compita, mi sono lasciato andare a strali dall‘educato “bacchettoni” al – Parental advisory. Explicit Content – “cazzoni“. Interloquire con chi ha deciso di censurare è impossibile perché la piattaforma è “social” fino a un certo punto; diventa “asociale” se vuoi rivolgerti alla società che la amministra. Mi sovviene nuovamente la famosa frase del Marchese del Grillo: “Ah… mi dispiace. Ma io so’ io… e voi non siete un cazzo!“.

Facebook non ha politiche trasparenti, sopratutto nell’applicazione. La prova è nei numerosi e grossolani errori in sono incorsi.

Gli abbagli clamorosi nell’applicazione della censura per i soli contenuti “sessualmente espliciti” si sprecano.

Lo scorso marzo Facebook blocca una pubblicità. Se il moderatore avesse avuto un po‘ più di tempo si sarebbe accorto che la pubblicità era una collezione di opere d’arte e che l’immagine ritenuta offensiva fosse il dipinto “Women Lovers” di Charles Blackman. Giudicate voi l‘”oscenità”:

02_Women Lovers by Charles Blackman

A settembre dell’anno scorso la toppa più clamorosa:

una delle foto più iconiche mai scattate, nota come “Napalm girl”, che valse il premio Pulitzer al fotografo, Nick Ut, cade sotto la sciagurata mannaia della censura Facebook. Kim Phuk, la bimba all’epoca ritratta nella foto, fece sapere che era rattristata da tale notizia. La foto viene ripristinata dopo la prevedibile e legittima gogna mediatica. Una figura barbina per Facebook tanto che Zuckerberg cita tale macroscopico errore nel suo discorso-manifesto “Building Global Community” pubblicato a febbraio, ne trae spunto per dedicare un capitolo intero e circa un migliaio di parole sul tema “Inclusive Community”.

Zuckerberg è ancora lì sul suo dorato piedistallo, il post citato nel momento in cui scrivo “piace” a 100.597 utenti, ha 14.940 condivisioni e conta 7.000 commenti.

Ho i miei dubbi che il moderatore che ha censurato “Napalm girl” lavori ancora per Facebook.

03_Napalm girl-nickut

Secondo Zuckerberg, Facebook sarà un social network con sempre maggiore enfasi sui rapporti umani, promuovendone le interconnessioni. Tale dichiarazione è stridente, se non contraddittoria, con quanto invece succede ogni giorno sulla piattaforma: linguaggio violento, discriminatorio, cyber-bullismo, un campionario male assortito di crudeltà, frustrazione e miseria (dis)umana.

Al di là del linguaggio violento (il pistolotto sull’ “Online Disinhibition Effect” ve lo tiro un’altra volta), la vera questione è se gli utenti siano in sintonia con l’”ambiente” in cui interagiscono, se si sentano a proprio agio nel perimetro fissato dalle regole auto-definite dalla società, dichiarate in modo generico e applicate, come da esempi riportati decisamente più famosi del nostro, con una buona dose di arbitrarietà.

I sacrosanti e tanto cari principi di libertà di pensiero ed espressione su cui Internet è fondata vengono lanciati fuori dalla finestra quando non coincidono con gli interessi del “business”.

La censura è già un’espressione di controllo su una società che è reputata non in grado di auto-selezionare i contenuti adatti e pertanto ha bisogno di un organo di controllo super partes. E sappiamo quanto “super partes” sia vuoto di significato quando vi sono altissimi interessi economici e politici in gioco. Ogni riferimento all’”idolatria del denaro”(cit. Papa Francesco) del capitalismo selvaggio nonché alla censura fascista, nazista, comunista e di qualsiasi regime totalitario odierno è puramente voluto.

Nella fattispecie, i rischi di una censura applicata da un controllo privato ad opera di una società multinazionale sono già sotto gli occhi del cittadino, anche non utente social network: si pensi a quanto è stato riportato sull’influenza delle “fake news” durante la recente campagna elettorale statunitense e delle cosiddette “filter bubble”, cioè il tracciamento del comportamento online dell’utente con lo scopo di offrire contenuti coerenti con le sue preferenze.

Nessuno conosce gli algoritmi e le esatte politiche di Facebook (ma neanche di Google): non temo il rischio d’imbattermi in un contenuto non adatto se non addirittura “osceno”, perché così – fattane esperienza – la prossima volta saprò evitarlo. Ciò che temo è che non saprò mai ciò che è stato cancellato arbitrariamente da Facebook o da Google e considerato “non adatto” per me.

Io rivendico la mia libertà di scelta, oltre che di espressione. Io rivendico come utente della Rete la libertà che Internet ha nel suo DNA.

Se i moderatori di Facebook continuano in questa applicazione arbitraria di regole auto-definite dalla multinazionale di cui sono dipendenti, il rischio è che diventino dei moderni inquisitori.

È inutile negarlo: “Facebook is the king of the social media” (cit. Forbes, 23 marzo 2017). Facebook deve perciò ammettere che gioca un ruolo importantissimo per come decine di milioni di persone vedono il mondo intorno, per come comunicano. Pertanto, è responsabilità di Facebook attuare politiche sempre più trasparenti, con l’obiettivo di specificare il “perché” e il “come” prendono le decisioni se un contenuto è da cancellare e non deve essere visto da altre persone.

L’attuazione di linee guida dettagliate e trasparenti è anche un modo per l’utente per capire il proprio “perimetro” e dove ha sbagliato se il suo contenuto è stato eliminato. Nel nostro piccolo caso, l’evidenza è che la commedia sexy all’italiana e ciò che abbiamo scritto non è un contenuto né “sessualmente offensivo” né tantomeno “osceno”. Perché allora è stato eliminato?

È anche vero che se l’utente conoscesse nel dettaglio le “regole del gioco” potrebbe decidere di non essere più parte di quella “comunità” perché non le condivide e non si sente a proprio agio. Ciò chiaramente stride contro la carta-obiettivo che Zuckerberg ha estratto dal mazzo: “Conquista le due Americhe, Africa, Asia, Europa e un quinto continente a tua scelta”

Firmato:

Tre persone, tre personcine, noi siamo tre personcine per bene che non farebbero male nemmeno a una mosca…

QUESTA E’ LA POLITICA DI FACEBOOK 

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post che rispetta le norme della comunità

Di Giancarlo Buonofiglio

Non c’è solo la censura su Facebook (per gli inserzionisti è in programma un articolo sull’inutilità della pubblicità a pagamento su Fb). All’ingresso nella comunità si leggono due righe: Facebook è gratis e lo rimarrà per sempre. Gratis non vuol dire senza costi e vincoli. Avete presente i viaggi gratis delle aziende che vanno a prendere col pulmino i pensionati per vendere loro pentole e coperchi? Si tratta di quello. La multinazionale americana ha creato un ingranaggio mediatico per far soldi e li fa vendendo prodotti, il resto sono balle. I neuroassenti postano pensieri subilimi e poesie di altissimo livello, ovviamente tra un consiglio per l’acquisto e l’altro. Raccoglie il peggio della comunicazione, perché il peggio è quello sensibile alle proposte commerciali. Si tratta di un quarto della popolazione mondiale, numeri colossali; e se un quarto del pianeta si riversa in quella piazza virtuale i conti con il diritto, la politica e la democrazia dobbiamo pur farli. Non si può liquidare la questione: è casa mia e le regole le faccio io. Non si può fare quando a due miliardi di persone viene limitato o negato il diritto al pensiero e alla parola. Perché questo fa. Facebook è una multinazionale fuorilegge e legittima più dell’illegalità la barbarie: razzismo, omofobia, violenze e minacce morte la fanno da padrone. Il nazismo è apertamente tollerato e il fascismo sponsorizzato come l’espressione più alta dell’intelligenza umana. Il livello è quello ed è riduttivo parlare solo di pentole e coperchi, perché ZuckerMastrota fa politica su scala mondiale raccogliendo consensi tra gli individui socialmente disadattati e intellettualmente ipodotati. Ed è chiara la visione del mondo che ha: censura, razzismo, fascismo, un po’ di clericalismo che fa la sua porca figura, omofobia. Con molta retorica ovviamente e quella appunto è uno dei nomi della politica nella deriva autoritaria; la più feroce e pericolosa, svincolata dall’ideologia. Il mercato e il consumo, solo quello e prima di ogni cosa; i soldi, che si capisce meglio.

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post che rispetta le norme della comunità

Mi spiego con un esempio

E’ un po’ che sfoglio la pagina di un noto politico, per motivi professionali più che altro. Al principio assumevo dosi massicce di bicarbonato, poi mi devo essere assuefatto. Quel che accade nella lingua, e in particolare nel linguaggio comune, si riverbera nella vita. Su quel profilo Facebook il termine più ricorrente è invasione, negro (con la g), rom; segue extracomunitario, meridionale storpiato in merdanale, in leggera flessione Roma ladrona. Una ragione c’è, non si sputa nel piatto nel quale si mangia. Ricorrono i neologismi: sinistrato, cattocomunista (il più delle volte con la k), sinistronzo, sinistrotto, piddino, renzino. L’uso del neologismo ha una funzione particolare, tende a circoscrivere l’individuo in un gruppo e il gruppo in un luogo comune con una lingua incomprensibile fuori dal recinto. (Lo stesso accade con le degenerazioni neuronali o psicotiche.) Perché di quello si tratta, le mandrie si uniscono attorno al capobranco che promette ordine e qualche benevolenza. La parola ordine ha una natura apotropaica e curativa quando l’Io perde le sue funzioni. Le parolacce la fanno da padrone: caxxo (con la x), rottinculo, checca, negrodimerda, terrone qualche volta. La grammatica latita, ma si tratta di gente laboriosa, non di sfaccendati intellettuali che hanno tempo da perdere con i dettagli. I concetti sono ridotti al minimo: gravitano attorno a poche idee, confuse neanche tanto; la prima attorno alla quale ruotano le altre è la paura per l’uomo nero che ti tiene un anno intero (come nella filastrocca). La medicina che gli accoliti propongono è il rimpatrio, la galera, la frusta a volte per gli indesiderati. La dinamica della discussione è pressoché la stessa: il mentore scalda gli animi con una domanda retorica e l’esercito infuriato parte in battaglia. Non c’è posto per la discussione, la regola è che a casa nostra facciamo come ci pare e se non vi sta bene fora di ball. Il capitano commenta poco e quando compare sembra un bulletto di periferia che si mette alla guida fomentando la massa inferocita. Non stempera le animosità, istiga piuttosto con un’ironia che a lui sembra sottile, ma che non va al di là della volgarità di certi film anni ’70; la mandria fa muro e tutti insieme si riuniscono a mangiare polenta e osei. I luoghi comuni la fanno da padrone; un luogo comune è un pensiero che fa riferimento a un’abitudine culturale maturata nel sentire popolare. La realtà è un’altra cosa, ma quando c’è un limite cognitivo la comprensione viene filtrata da un’idea tanto diffusa da sembrare verosimile. La verosimiglianza è però lontana dalla verità, come la demagogia e la retorica dalla politica. Non si tratta solo di una disfunzione semantica indotta dalla mancata padronanza del vocabolario, ma di una profonda degenerazione neuroantropologica. Si sente nell’assenza del senso delle parole e appunto nel prevalere dei luoghi comuni. E vengo al punto: la demenza neurolinguistica è caratterizzata dalla perdita del significato e dal deterioramento cognitivo; è una manifestazione clinica della degradazione lobare frontotemporale, associata all’atrofia del giro temporale inferiore e medio.

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post che rispetta le norme della comunità

Le persone affette presentano problemi nella denominazione e nella comprensione di parole, nel riconoscimento dei volti, delle cose, delle situazioni, della realtà; la predominanza del verbale o non verbale (e nel nostro caso delle gutturali che dominano sulle articolazioni mature della lingua) riflette l’accentuazione dell’atrofia cerebrale. Alla distruzione del linguaggio si accompagna quella della personalità e a seguire la dimensione democratica e sociale dell’individuo. L’aggressività, la violenza, l’odio sociale verso un fantasma immaginario e minaccioso è uno dei morfemi dello stato paranoico di un poveretto che ha smesso di desiderare in maniera sana e consapevole e ha cominciato a odiare.

Su Facebook è questa la regola ed è una regola politica, non l’eccezione. Il resto, il moralismo, le crociate contro il nudo, il noallaviolenzaalledonne e al bullismo sono solo la sottana dietro alla quale si nasconde il bimbo cattivo dopo le marachelle.

Caro Facebook …

Di Cuoreruotante

Sono Cuoreruotante. L’articolo che avete ingiustamente censurato porta anche la mia firma. Mi metto per un attimo nei panni di una persona ignorante, leggasi “colei che ignora”, e, cerco, sforzandomi, anche da ignorante, di estrapolare qualcosa di pornografico nell’articolo che abbiamo scritto. Non ci riesco. Abbasso l’asticella delle mie pretese, ancora nulla di vagamente pornografico. Mi ricordo di essere ignorante, allora vado a cercare il significato della parola “pornografia”. Da Wikipedia: La pornografia (dal greco πόρνη, porne, “prostituta” e γραφή, graphè, “disegno” e “scritto, documento” e quindi letteralmente “scrivere riguardo” o “disegnare” prostitute) è la raffigurazione esplicita di soggetti erotici e sessuali in genere ritenuti osceni ed effettuata in diverse forme: letteraria, pittorica, cinematografica e fotografica. Bene, ho capito e rileggo. Niente, non abbiamo scritto di prostitute o prostituzione, di atti osceni o indecenti.
Abbiamo dato risalto, con parole semplici e forbite, ad un genere di film prettamente comico, ma ad alto contenuto culturale. Non ci sono termini volgari, immorali o, vagamente, riconducibili ad essi.
Esistono gruppi su Facebook che inneggiano realmente alla prostituzione, che offendono (eufemismo) donne, bambini e chi non la pensa come loro. Trovo ingiustificato il vostro comportamento con la censura dell’articolo e il blocco dell’account di Giancarlo Buonofiglio. Vi invito a spiegarmelo, vi ricordo che io sono ignorante. Grazie

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QUIZZIAMOCI

Il nostro tempo verrà ricordato come quello dei quiz (o dei test, per dirla in un modo più professionale). Ce n’è di tutti i generi e per le diverse tipologie. Quelli per misurare il QI, la personalità, l’orientamento politico, il Rorschach; ne ho anche trovato uno che valuta la capacità di sopportazione al pecorino e ‘nduja mangiati a Ferragosto. I quiz sono semplici, danno risposte immediate e spesso compiacenti, forniscono qualche conferma e ognuno ha l’illusione di aver capito qualcosa di sé. I più gettonati sono ovviamente quelli di psicologia, sintetici, inconfutabili, veloci e l’oracolo si esprime in pochi minuti più che in anni di autoanalisi. Quelli che affondano nella sessualità sono parimenti ricercati: ti piace il sesso e quanto ti piace, come lo fai e dove lo fai, quante volte e perché. Con chi sembra irrilevante e sul perché il più delle volte tacciono. L’erotismo è indagato con questo insolito strumento che ha il carattere di soppesare la personalità in un contesto più ampio, diffuso, socialmente accettato. Qualcuno dopo i test si adegua alla sentenza, ma i più perseverano nelle abitudini; perché un test è solo un test e si fa più per curiosità che per una reale morbosità o interesse, mentre la vita è pur sempre un’altra cosa.

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Qualche tempo fa mi sono cimentato anche io coi quiz, scrivendone qualcuno. Uno in particolare (dal mio De rerum contronatura) lo riporto qua: sono domande per valutare il grado di omosessualità, latente o meno, nascosta o orgogliosamente palese. A margine ci sono anche le soluzioni.

DIVENTARE GAY IN DIECI LEZIONI - giancarlo buonofiglio

DOMANDE

1) Vi trovate in una camera d’albergo con una donna meravigliosa. E’ nuda, distesa sul letto, vi chiama. Cosa pensate?
a) Che cosa vuole da me?
b) Chissà se mi presta lo smalto
c) Certo che l’idraulico è proprio carino

2)Tornate prima dal lavoro. Vostra moglie è a cavalcioni sull’idraulico. Cosa fate?
a) Chiedete all’operaio il numero di telefono
b) Chiedete a vostra moglie chiarimenti sulle lezioni di ippica
c) Chiedete di partecipare

3) Cosa fate prima di un rapporto sessuale?
a) Leggete la biografia su Maria Goretti
b) Telefonate ad un amico e chiedete come comportarvi
c) Telefonate all’idraulico
d) Non avete mai avuto un rapporto sessuale

4) Che cosa fate dopo un rapporto sessuale?
a) Ricominciate
b) Abbracciate la vostra compagna
c) Abbracciate l’idraulico
d) Non avete mai avuto un rapporto sessuale

5) Cos’è l’orgasmo?
a) Un programma di studio universitario (tale Programma Orgasmus); come lo chiamano gli studenti
b) No…n..lo..sa…p……ete!!!
c) E’ quell’intensa sensazione di piacere che provate quando pensate all’idraulico

6) Dove si trova il punto “G”?
a) Di sicuro tra la “f” e la “h”
b) Nella regione periuretrale della parete vaginale anteriore
c) Sul glande
d) Sull’idraulico

7) Quali sono le dimensioni medie del clitoride?
a) 1 mm
b) 1 cm
c) 18 cm (?)

8) Quale parte del corpo vi eccita di più in una donna?
a) Le scarpe
b) Il seno
c) La sacca scrotale (?)

9) Che metodo contraccettivo usate?
a) Il profilattico
b) La pillola (?)
c) Il coito interrotto

10) Quale di questi animali ad ogni singola eiaculazione produce 1 litro di liquido seminale?
a) L’uomo
b) Il maiale (non per caso è chiamato “porco”)
c) L’idraulico (non per caso ci state assieme)

11) Quale delle seguenti disfunzioni è la più frequente nel sesso maschile?
a) Eiaculazione precoce
b) Difficoltà erettiva
c) Difficoltà a distogliere lo sguardo dal televisore
d) Eccessiva lubrificazione vaginale che provoca difficoltà a contenere il pene (?)

12) La fantasia erotica più comune nei maschi è:
a) Andare in giro senza mutande
b) Guardare due femmine che fanno all’amore
c) Leonardo di Caprio

13) Quali sono le vostre zone erogene?
a) Il pene soprattutto
b) La vagina (?) soprattutto
c) In centro, vicino piazza S. Babila

14) I preliminari sono per voi:
a) Un modo sicuro per convincere la vostra compagna a stirarvi le camicie
b) Una scusa per arrivare tardi al lavoro (del tipo: “Mi scusi direttore se ho fatto tardi, ma mia moglie stamattina ha richiesto i preliminari”)
c) Quei 15 minuti a fine partita che precedono i tempi supplementari

15) La pratica più richiesta alle prostitute è:
a) Il sesso orale (da non confondere con il turpiloquio; nel senso che se la fanciulla si limita ad insultarlo il cliente è più che legittimato a non pagare)
b) Il sesso anale (scegliendo con oculatezza la meretrice; nel senso che se la fanciulla è dotata di un clitoride che supera i 18 cm il cliente è più che legittimato a non abbassarsi i pantaloni)
c) Il sesso vaginale (richiedendo alla passeggiatrice serietà e deontologia; nel senso che se la fanciulla vuole farlo accoppiare con una borsa da viaggio -è ad esempio straniera e confonde la parola vagina con valigia- il cliente è più che legittimato a mandarla a cagare)
d) Il sesso manuale (pretendendo una rigida ortodossia; nel senso che se la fanciulla vuole limitarsi ad infilargli le dita negli occhi o a pettinarlo il cliente è più che legittimato a iscriverla a un corso accelerato di sessuologia)
e) Il sesso strano (mettendo da subito un limite alla perversione; nel senso che se la fanciulla pretende non solo di frustarlo ma di cospargerlo di benzina e di dargli fuoco; il cliente è più che legittimato a rivolgersi all’ autorità)

16) Il seno per voi è:
a) Un discutibile ornamento
b) Un utile passatempo
c) Un incubo scolastico (seni e coseni)
d) Peccato che l’idraulico ne sia sprovvisto

17) Il termine bondage indica un tipo di piacere estremo ricercato per la pericolosità; qual è nel sesso la cosa che più vi attrae, ma che ad un tempo temete?
a) Irrompere in un confessionale mimando un rumoroso orgasmo come la protagonista del mitico Hanry, ti presento Sally
b) Vestirsi con una maglietta rosa con su scritto “baciami stupido” ed entrare in un circolo di neonazisti
c) Guidare a fari spenti nella notte, per vedere se è poi tanto difficile morire
d) Indossare l’ampallang, il tubetto di metallo che i nativi del Borneo inseriscono nel glande per migliorare il piacere del partner
e) Comprare le fragole all’uranio che il supermercato svende con l’offerta 3X2 per fare tutte le cose che avete visto in 9 Settimane e mezzo

18) Narra la leggenda di un tale che andato a cercarsi nel deserto si perse. Pregò che qualcuno lo cercasse. Nessuno lo cercò. Scoprì allora che cercarsi è bene, ma essere cercati è comunque meglio. Se voi foste quel tale, da chi vorreste essere cercato?
a) Da un gruppo Balint di signore in cura per ninfomania
b) Da Monica Bellucci
c) Da una guida turistica
d) Dal sottoscritto (parliamone)
e) Dall’idraulico

19) E’ meglio un uovo oggi… che:
a) Un ovulo domani
b) Il cugino Filippo (citazione purtroppo autobiografica) dopodomani

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RISPOSTE

DOMANDE 1-2-3-4-5-6-7-8-9-10
Prevalenza di risposte A: a voi il sesso non interessa. Ma siete comunque ricambiati. Probabilmente da piccoli al chirurgo che vi praticava il taglio del prepuzio deve essere scappato di mano il bisturi, o l’ostetrica al momento della vostra nascita può avere tirato la parte sbagliata, che ora necroticamente conservate in un barattolo di formaldeide assieme al cordone ombelicare. Magari siete vittima di un errore cromosomico o di una natura matrigna, forse addirittura lo scherzo di un Dio col senso dell’umorismo. Sta di fatto che Heidi rispetto a voi sembra un’erotomane, e se non vi chiudete in convento siete comunque sulla strada per fondare un partito politico. Una curiosità: come avete risposto alla domanda numero 4?

Prevalenza di risposte B: non siete un uomo ma un complesso vivente di contraddizioni; la dimostrazione che non solo Dio c’è, ma che probabilmente ci odia. Oscillate infatti tra l’universo femminile e quello maschile nell’indecisione più completa. Ma non è un problema grave. Forse anzi è addirittura un vantaggio dal momento che il sabato sera avete il doppio delle possibilità di rimorchiare. La cosa che stupisce della vostra personalità è il fatto che non proviate imbarazzo nell’indossare con il gessato blu e la cravatta i tacchi a spillo o le calze a rete. Qualche distonia sarebbe bene correggerla, perché, lo capite anche voi, che uno scaricatore di porto villosiso, con la barba incolta e dei bicipiti che fanno invidia a Mastrolindo, non può parlare con la voce di una soprano, né tanto meno ancheggiare come la Fracci. Insomma, quando vi assentate dal lavoro dovete per forza giustificarvi dicendo che avete le vostre cose?

Prevalenza di risposte C-D: probabilmente non avrete avuto il tempo nemmeno di leggere i risultati del test impegnati come siete a correre dietro all’idraulico. Anche se vi chiamate Umberto, avete moglie e figli e le vostre gonadi continuano a produrre testosterone in quantità industriale. Bravi. Una sola raccomandazione: se alle domande numero 7 e 8 avete risposto C fareste bene ad iscrivervi ad un corso di anatomia.

DOMANDE 11-12-13-14-15-16-17-18-19-20
Prevalenza di risposte A-B: va bene che a voi dell’universo femminile non può fregarne di meno, ma uno sforzo per non passare da deficienti potreste farlo. Ricordatevi che in genere i maschi non hanno problemi di lubrificazione vaginale (risposta D alla domanda numero 11). Sciocchini.

Prevalenza di risposte C-D-E-F: siete rimasto uno spermatozoo, per quanto un po’ cresciuto e alle soglie del quarto decennio. Ma uno spermatozoo molto particolare, l’unico che quando veniva lanciato nel corpo della femmina (ricordate?) invece di dirigersi verso l’ovulo cercava di fecondare gli altri spermatozoi. Tanto tempo è passato da allora, vissuto ai margini di una comunità virile e guerriera che vi ha tenuti a distanza; eppure nonostante tutto parte di quell’istinto primitivo dovete averla conservata. E’ solo cambiato l’oggetto del vostro desiderio; e se una volta correvate dietro ad amorfi animaletti che assomigliano a Claudio Bisio, oggi più pragmaticamente rincorrete quelli che lo ricordano per fenotipo e morfologia.

Risposta G: caro Filippo, è inutile che fai il test sotto falso nome, ti ho riconosciuto. Non hai motivo di vergognarti, tanto più che sono a conoscenza dei tuoi gusti sessuali. Fin da piccolo, ricordi? Quando giocavamo a nascondino e tu candidamente dicevi: “Se mi trovi mi puoi violentare; se non mi trovi sono nell’armadio”.

 

(Ed. Cartacea alla pagina)

LE ANIME NON MORTE

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Nel discorso amoroso “tu sei tutto per me” è un’espressione che compare di frequente. Apparentemente gratificante per l’altro, rivela però una certa morbosità. Il significato di questo “tutto” compromette la stabilità della scena, mettendolo in realtà ai margini l’altro. I significati non sono semplici segni, hanno origine nella disposizione mentale del parlante e diventano di uso comune, danno luogo ad una rappresentazione della realtà; di per sé sono elementi sensibili alle ingerenze emotive e psicologiche, per somiglianza o contiguità (metafore o metonimie), per timologia o ellissi dei nomi. Possono quindi trasformare quello che è vero, rivelando una struttura paranoica; ma ciò dipende dal soggetto nella relazione che instaura con l’Altro. In essa Lacan vede amplificata la struttura di significati che non riesce a controllare, al punto che il suo essere dipende da quello che avviene nel campo dell’Altro. Nella paranoia l’Io è più parlato che parlante, è abitato e perseguitato da ciò che dice questo Altro assoluto; a dominare sono il suo automatismo e il suo linguaggio. L’attenzione del paranoico è rivolta essenzialmente all’Altro, da cui deriva il senso dell’oppressione e della persecuzione. Se la paranoia dimostra l’importanza della struttura sull’Io, nel senso che il soggetto dipende da ciò che avviene nell’Altro, l’isteria determina il desiderio come un piacere insoddisfatto. La paranoia racconta la dipendenza del soggetto dal ruolo dell’Altro, quanto l’isteria il desiderio come desiderio inappagato. Tra paranoia e isteria, rimane comunque sempre l’Io nella sua dipendenza dall’ordine dato dall’Altro. Posto così il desiderio dimostra la prevalenza nella struttura paranoica del significato sul segno, del significante che domina nella lingua e sulla realtà. Il segno è l’elemento fondamentale della comunicazione, ma è il significato ad articolare la relazione, che può essere scollata o meno dal reale sulla base della dominanza dei significanti che si muovono nell’Altro. Dopo la lezione di Jakobson, Levi–Strauss ha fornito un modello all’antropologia basato sulla linguistica strutturale e in particolare sulla fonologia. Con l’analisi del mito e poi del racconto ha concentrato l’attenzione sulla narrazione (e quindi sull’enunciazione); da cui lo sviluppo della narratologia, che puntava l’interesse sulle proprietà strutturali del linguaggio letterario, sulla sintassi delle strutture narrative e non sulla semantica o sulla rappresentazione della realtà. A sua volta R. Barthes, nell’articolo Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, escludeva la referenza, considerandola subordinata in letteratura. La funzione del parlare o raccontare non è di rappresentare, ma di costituire uno scenario verosimile; per giustificare questa posizione Barthes rimandava a Mallarmè, sottolineando che il linguaggio si sostituisca al reale, rimarcando la sua necessità. La realtà frammentata nel linguaggio paranoico viene sostituita dal significato del “sei tutto per me”. Se sul piano linguistico e relazionale tale significato diventa assoluto e pone ai margini la realtà, su quello sessuale è devastante manifestando una natura fortemente patologica. Con la massima “il rapporto sessuale non esiste”, Lacan mostra che nel rapporto sessuale l’uomo cerca di scongiurare il godimento femminile percepito come insaziabile. Gli uomini sono angosciati dal senza limite del corpo femminile e da una domanda d’amore che si presenta senza fondo. Lacan in una lezione del Seminario XVIII (1971) afferma che per un uomo la donna è l’ora della verità, in quanto espone l’uomo a qualcosa che non può controllare. Il “senza fondo” appunto, il vuoto di un piacere illimitato. Da “tu sei tutto per me” a “sono tutte puttane” il passo è breve. Quando gli uomini affermano che la donna sia una puttana cercano di ridurre l’incomprensibilità del piacere femminile. Provano a controllare la tensione che tale infinitezza comporta. Questo tipo di linguaggio dimostra la struttura paranoica della personalità. L’uomo o ha l’erezione o non ce l’ha, una donna può fingere e recitare. L’enunciato “sono tutte puttane” è un modo per esorcizzare l’angoscia indotta dall’infinito femminile. Alcuni uomini vivono la sessualità non solo come un esercizio di dominio, ma come difesa per arginare ciò che spaventa nella sessualità della donna. L’innamoramento è l’antitesi di questo tipo di amore angosciato e semanticamente malato. E’ vita non morte, non per niente il suo anagramma è “anima non morte”. Non ancora impostato rigidamente nei significati, il significante è ancora libero di fluttuare ordinando il discorso. Non è detto che le orecchie percepiscano la parola innamoramento; nell’eccitazione scombinano le lettere per similitudine, assonanza, metafore o metonimie. E ciò che l’innamorato sente in uno scenario sano che integra l’Altro piuttosto che subirlo, non è tanto l’amore quale “sei tutto per me”, narcisistico presagio paranoico di morte (il “ritorno del morto”, R. Barthes) che si muove nelle parole, ma l’interesse per l’altro come una cosa viva, mobile, tipica appunto delle anime non morte.

Da FRAMMENTI DI UN MONOLOGO AMOROSO (L’AMORE TRA L’IMMAGINARIO E IL REALE)

L’AMORE E’ UNA GRAVE MALATTIA MENTALE (Platone)

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Nei suoi percorsi l’amore finisce per diventare il sentimento degli oppressi e diventa oppressione nei soggetti più deboli. Svincolate dal contesto le pulsioni vengono convogliate nell’altro e questo altro finisce per assorbire emozioni, desideri, fantasie che non sono collocabili altrove. Si tratta in sostanza di una concentrazione di bisogni primari che hanno altra natura oltre a quella banalmente fisiologica della riproduzione e del piacere; qualche volta si mantengono su binari adeguati, altre diventano ossessioni. Le ossessioni ancora una volta sono concentrazioni, raggruppamenti emotivi che rendono il campo affettivo instabile e conducono all’implosione. La causa è storica e sociale, ma fare i conti con qualcosa di così esteso non è semplice e la psicoanalisi non viene in aiuto, si dimostra a volte di ostacolo accentrando l’attenzione sul soggetto piuttosto che sulle dinamiche che lo temprano. Platone scriveva che l’amore è una grave malattia mentale; là dove dovrebbe rompere le catene e rendere quel che chiama anima leggera, diventa un carico che appesantisce l’oggetto, invade soffocandolo il soggetto, stravolge la relazione irrompendo con un sovraccarico emotivo che non le appartiene. Perché l’amore non può essere un peso e deve passare fluidamente da un corpo all’altro; la regola kantiana rimane fondamentale, trattare l’altro come un fine e mai come un mezzo. Non può esserci nulla di intenzionale, l’amore non ha nessuna finalità e non può essere una compensazione. Se è un bisogno rimane inappagato, quando è una domanda non trova risposta. Riporre in un altro individuo la conferma a attese mortificate, porta alla deflagrazione del rapporto, non risolve i bisogni del soggetto, provoca nell’oggetto repulsione e fuga. A quel punto chiamiamo amore quella che è in realtà una ritorsione, rivelandosi per quello che è: concentrazione e violenza sull’altro. L’ultima perversione concessa da uno stato che fa detonare tra le mura domestiche impulsi che hanno spesso un carattere economico, storico e sociale.

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SESSO E PULSIONE DI MORTE IN INTERNET

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Freud si è occupato della pulsione sessuale soprattutto in relazione alla conflittualità con l’Io, rinvenendo la causa del sintomo nel conflitto pulsionale. La libido, sostiene Freud, può assumere varie strade, fino a mutare in una ritorsione contro l’Io: trasformando l’amore in odio, il piacere di guardare in esibizionismo, il sesso in esasperazioni (spostando la relazione erotica in un altro luogo libero dal campo dell’Io, come avviene appunto in internet dove il contesto è più dinamico e meno vincolato). Oltre a trasformarsi nel suo contrario, la pulsione assorbita nell’immaginario di una relazione virtuale è libera di fluttuare volgendosi anche contro il proprio corpo, oltre che sull’Io; meccanismo non difforme, per quanto ridefinito nella modernità tecnologica, dal masochismo tradizionale. Il fenomeno può manifestarsi coi fatti e più spesso con le parole. Nel qual caso è più che mai corretto parlare di sublimazione della pulsione, spostamento dell’eros nell’altra scena, in un non luogo appunto della lingua e del discorso. La pulsione è sublimata nella misura in cui è deviata verso una nuova meta tendente all’esclusione degli oggetti reali socialmente valorizzati (il marito/la moglie, il contesto sociale). Il processo è automatico e permette un’adeguata scarica delle pulsioni sessuali e aggressive altrimenti minacciose per l’Io.

1) Sublimando il desiderio in un non luogo con non-persone di non-relazioni, la soddisfazione del piacere può avvenire senza disturbare il principio di realtà (ragione per cui spesso le persone che fanno sesso in internet non si incontrano nella vita reale; il sogno non deve diventare un bisogno e l’altro deve rimanere confinato nell’immaginario). E’ piuttosto diffuso come fenomeno; si fa sesso in rete sfogando la libido su uno schermo, con persone che sono surrogati e non vita reale. La morale è protetta dal non incontro genitale, l’Io dal non avere dato un corpo e un nome all’altro; mentre il piacere assume la forma di una letteratura, di un sogno. Tutto questo diventa inesorabilmente rimozione.

Pulsione di morte e masochismo.

Con “Al di là del principio del piacere” e “Io e l’Es” Freud introduce il concetto di pulsione di morte. La pulsione di morte si contrappone alla pulsione di vita, che comprende la pulsione sessuale e quella conservativa. L’istinto di morte non è direttamente osservabile, pur essendo dominante in alcuni soggetti. Freud lo individua nella coazione a ripetere, nel sadismo e nel masochismo che definisce primario. Come un’ecolalia nel discorso. Un masochismo che non nasce dalla paura della punizione per gli impulsi sadici ma che diventa bisogno autopunitivo. La sofferenza non deriva più dal conflitto tra la pulsione sessuale e la sua repressione, ma dal bisogno di sentire dolore, la cui soddisfazione è considerata fonte di piacere e appagamento.

2) Internet, dove la relazione viene spostata in un’altra scena, ha consentito al principio di morte una maggiore fluidità ad irrompere nell’Io senza rimozione e sacrificio pulsionale. Reich (e poi Marcuse) obietta che il discorso di Freud è viziato da un concetto destoricizzato della civiltà, configurando il principio di realtà come una mistificazione. Come in un teatro dove in scena sale finalmente il desiderio, questo tipo di relazione immaginaria originata da una pulsione distruttiva, consente tuttavia all’Io una buona aderenza alla realtà. L’adesione a un principio di realtà fragile, contaminato dalla pulsione di morte, è però precaria e virtuale. Il disagio persiste anche dopo il ritorno nella vita reale.

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Da Frammenti di un monologo amoroso (l’amore tra l’immaginario e il reale)

SCUSI, MA LEI E’ ETERESESSUALE?

Il corpo tra godimento e amore

Qualche tempo fa, a proposito della Donna Barbuta, si è sviluppata una discussione su erotismo e identità di genere; il problema si è poi dilatato dalla sfera sessuale a quella affettiva. E’ stato citato Lacan in modo però discutibile e artificioso. Al di là delle colte disquisizioni, il contenuto non cambia. Si è parlato infatti del tramonto del Nome del Padre in termini negativi, distruttivi e moralistici, facendo riferimento a un nostalgico ordine patriarcale dell’Io, del sesso e della società. Riproponendo nella triangolazione edipica la spaccatura tra piacere/godimento e amore. Per Lacan l’amante desidera nell’amato l’amalgama della sua mancanza. “Amare è dare quello che non si ha. Desiderare di avere un posto nel desiderio dell’altro”. E il riferimento all’assenza, al vuoto, alla domanda che completi l’ordine della catena amorosa risulta effettivamente determinante. Massimo Recalcati, ad esempio (non nuovo all’oggettivazione del pregiudizio e alle diagnosi di massa, com’è accaduto per il recente referendum, diagnosticando un disturbo nevrotico ai sostenitori del “no”), sulle orme del maestro francese pare abbia portato l’argomento su un terreno spinoso: “Uomini e donne vivono l’amore in modo diverso ma, secondo Lacan, tutti i modi di amare si muovono su uno sfondo comune, ovvero nell’impossibilità di generare un rapporto sessuale. Il corpo gode dell’uno. Non vi è rapporto tra due godimenti. La pulsione sessuale ci mette in rapporto soltanto col nostro desiderio”. Stimolando il dibattito e reazioni: “L’amore è la possibilità di supplire all’inesistenza del rapporto sessuale, di sopportare la propria solitudine”. Sempre rimarcando che la scomparsa del Padre, del significante fondamentale, l’assenza, porti a uno scollamento tra piacere e amore e in esso alla perdita dell’identità sessuale, dell’Io fino allo sfaldamento della civiltà; e che il soggetto appagato da un piacere immediato e quindi privato del desiderio diventi schiavo, senza volontà e di un godimento reale (rinvenendo nella tensione mancata verso l’Altro l’Es senza inconscio, senza legge, senza confine, senza movimento). Lo spunto polemico è stato come si è detto la transizione dall’identità di genere offerto dalla Donna Barbuta. Poco condivisibile, e di una certa grettezza, risulta la tesi secondo la quale questi corpi plurisessuati siano una compensazione alla dispersione e alla liquefazione dell’individuo nel caos di un godimento narcisistico (e quindi completo e assoluto nella ricomposizione androgina) immediato, considerando tali fenomeni incompatibili con il buon ordine sociale. Il ragionamento è ineccepibile sul piano formale e ben contestualizzato: l’esigenza di accelerazione di produzione e consumo imposta tende a selezionare un soggetto che si adatti e collabori allo sviluppo e all’incremento della società, un soggetto appiattito e recettivo, privo di volontà e senza desiderio o godimento. Questo è, appunto l’Es senza inconscio, senza legge. Ma non si può non storcere il naso quando si vede nella liberazione sessuale senza amore una degenerazione (parola reazionaria) in una schiavitù compulsiva priva di soddisfazione (“La sola liberazione sessuale degna di questo nome sarebbe quella di unire il corpo sessuale all’amore, rispettando la diversità dell’altro”); sottolineando peraltro che il volto barbuto di una drag queen non possa rappresentare l’emblema del rispetto della diversità dell’altro.

Perché non può?

Lacan, pur con tanti meriti, è un pensatore inadeguato alla comprensione di fenomeni (per quanto antichi) che corrono con la velocità del vento. Il suo è un mondo ancorato alla presenza, benché mutuata nell’assenza e nell’immaginario (l’immaginario, il simbolico rimangono presenti come domanda, desiderio, bisogno). E’ inadeguato perché dalla dissoluzione del significante primo non segue necessariamente quella dell’identità e dell’identità sessuale. La domanda, il desiderio rimane ma sciogliendosi senza corposità, organi, ideologia in contesti dinamici che non hanno più confini geografici o culturali. Il corpo del terzo millennio si svuota come si svuotano i contenuti appunto dell’Io, della mente, dell’inconscio. Non è una perdita dell’Io ma semmai un arricchimento. E’ un’opportunità sul piano sociale, giuridico, estetico e antropologico. Oggi non ha senso neanche il documento di identità; ma vai a spiegarlo a un funzionario statale che non siamo più quelli di ieri e che scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, che siamo e non siamo. La violenza è operata piuttosto dal funzionario; è lui a perturbare con l’imposizione di un ordine inesistente il disordine che si muove nell’essere delle cose, nell’imporre una presenza a quello che diviene, muta, si trasforma. La modernità nasce dall’assenza, dalla precarietà dell’essere, da uno svuotamento dell’Io e del corpo. Da una privazione ontologica. Dallo sfaldamento della storia, della cultura, dalla mancanza di Dio. Deleuze in questo è molto più avanti di Lacan. La rete in particolare ci ha disorganizzati, privati dei confini antropologici, giuridici, estetici e sessuali. La velocità aveva già cominciato il percorso destrutturante che in internet è diventato esponenziale. Il corpo è fluido, senza organi, la sessualità pure. Le idee corrono e nel percorso si modificano modificando l’ambiente, l’anatomia, la legge, il mondo, la lingua. Non mi pare che la società ottocentesca raccolta attorno alla triangolazione edipica del focolare domestico fosse migliore di quella attuale, e neanche più ordinata. Mi pare solo infinitamente più noiosa. E’ un momento di incontrollabile trasformazione del mondo, dell’Io, dell’identità anche sessuale, delle relazioni. Del pensiero e della teologia. Il presente è comprensibile solo a partire da una filosofia dell’avvenire; Deleuze aveva cominciato a sganciarsi dalle gerarchie ontologiche, postulando l’univocità dell’essere ma come una pluralità di enti, cogliendola senza universalizzarla in concetti. L’univocità dell’essere permette infatti all’arroganza dell’uno di fare in modo che gli “enti siano molteplici e differenti, sempre prodotti da una sintesi disgiuntiva, essi stessi disgiunti e divergenti, membra disjuncta” e a un tempo che “il senso sia, per tutti gli enti distinti, ontologicamente identico” (Badiou, Deleuze, Il clamore dell’essere). In questo senso la natura è vista come “produzione del diverso”, “somma che non totalizza i propri elementi”, non collettiva ma distributiva, non attributiva ma congiuntiva. “La Natura è precisamente la potenza, ma potenza in nome della quale le cose esistono una ad una, senza possibilità di radunarsi tutte nello stesso tempo, né di unificarsi in una combinazione che sarebbe adeguata ad essa o che l’esprimerebbe interamente in una volta sola”. Nel presentare il desiderio come il fluido che corre per neuroni e ram avrebbe abbracciato le annichilazioni prodotte dalla rete, consentendo al corpo desiderante di dilatarsi nel tempo e nello spazio. E’ stato insomma necessario un altro parricidio, da Lacan a Deleuze. L’essere è polivoco, differente, l’Io e la sessualità pure. Ma vai a spiegarlo al funzionario statale quando deve segnare sul documento d’identità il mio sesso, che già Aristotele non avrebbe saputo cosa scrivere nella casella.

Cos’è il desiderio? Il desiderio è il fluire di pulsioni, mirate per lo più al piacere, non caotiche ma contestualizzate all’interno di un ordine. “Desiderare è costruire un concatenamento, un insieme” dice Deleuze; poiché non si desidera mai veramente qualcuno o qualcosa, si desidera un insieme, un paesaggio nel quale è compreso anche l’oggetto del desiderio, la particolarità desiderata. Il desiderio implica una specie di costruzione e non è mai astratto, ma si sviluppa nel concreto del proprio contesto, insieme di paesaggio e di persone (“Si desidera in un insieme”). Il bere, ad esempio, non è mai desiderato per se stesso, al contrario si desidera anche il paesaggio del bere, il paesaggio in cui bere (in compagnia, dopo una delusione, quando si è tristi). Persino l’alcoolizzato crea relazioni nell’esclusività del suo desiderio, e questo perché il bere rimanda a un problema di quantità: quando si beve si vuole arrivare all’ultimo bicchiere, e “l’alcoolizzato è colui che non smette di smettere di bere”, di essere all’ultimo bicchiere. Il primo bicchiere ripete l’ultimo. Il desiderio fluisce di continuo nell’amore (come tra un bicchiere e l’altro) perché comincia da là; non si desidera quello che non si ama, come non posso volere quello che non conosco. E’ la parte eccessiva dell’amore, l’eccedenza che è però essenza, un’ubriacatura, un delirio che scompone ma anche ricompone: “Crediamo che l’inconscio non sia un teatro, un luogo dove Edipo e Amleto recitano perennemente la loro parte. Non è un teatro, bensì una fabbrica; è una produzione. L’inconscio produce. Funziona come una fabbrica ed è il contrario della visione psicoanalitica dell’inconscio come teatro dove si recita all’infinito il ruolo di Amleto o Edipo. Il secondo tema è il delirio, strettamente legato al desiderio, poiché desiderare è, in un certo modo, delirare. Se si prende un qualsiasi delirio, lo si guarda, lo si ascolta, ci si accorge che non ha niente a che vedere con ciò che pensa la psicoanalisi; non si delira sul padre o la madre, ma su tutt’altro. Il delirio – è il suo segreto – concerne il mondo intero” (Deleuze).

Il desiderio si muove spostando la relazione affettivo/erotica in un altro luogo, svincola dal contesto culturale dell’Io, come avviene ad esempio nella rete. Oltre a trasformarsi può anche mutarsi nel suo contrario; la pulsione così spostata nell’immaginario di una relazione virtuale è libera di diluirsi oltre il proprio corpo, oltre l’Io; meccanismo/schizo che modifica il corpo ridefinendolo nella modernità tecnologica, mettendolo in uno stato di transizione anche biologica. Il fenomeno può manifestarsi coi fatti, e più spesso con le parole nella catena dei significanti. Nel qual caso non è corretto parlare di sublimazione della pulsione, spostamento dell’eros nell’altra scena, in un non luogo appunto dove delimitare la coscienza e nascondere il peccato. La catena e l’ordine dei significanti scorre lungo la rete con una velocità che deorganizza, disturba, non dà il tempo a una contestualizzazione morale, priva della colpa. Il processo è automatico e inconscio e permette un’adeguata scarica di quelle pulsioni sessuali e aggressive altrimenti minacciose e distruttive. Incastrata la pulsione nel principio di realtà in un non luogo, con non-persone, di non-relazioni, la richiesta del piacere può finalmente soddisfarsi senza intaccare il principio di realtà (ragione per cui molto spesso le persone che usano la sessualità in internet non si incontrano nella vita reale; il sogno non deve diventare un bisogno, e l’altro deve continuare ad essere confinato nell’immaginario irreale). E’ piuttosto diffuso come fenomeno; si fa sesso in rete sfogando la libido nell’immaginario di uno schermo, con persone che si amplificano dilatandosi oltre i confini egoici e sessuali. La morale è protetta da questo tipo di incontro, appunto dal non incontro genitale, l’Io dal non avere dato un corpo e una faccia all’altro, con la semplicità di un gioco e senza “rimorso”; mentre la perversione (vista da un’ottica morale) assume la forma di una letteratura, di un’anacronistica pedante prevaricazione ideologica.

Internet, dove la relazione affettiva viene spostata in un’altra scena, ha consentito al principio di morte di irrompere nell’Io senza rimozione e senza il sacrificio pulsionale. Reich (e poi Marcuse) obietta che il discorso di Freud è viziato da un concetto destoricizzato della civiltà, configurando il principio di realtà come una mistificazione. Si convince infatti che una nevrosi sorga dalla rinuncia alla soddisfazione, da un inappagamento sessuale. Da un frammentazione senza ricomposizione del desiderio. Tale origine viene trovata nell’”impotenza orgastica”, ovvero nell’incapacità di una completa scarica dell’eccitazione. L’energia vitale non liberata provoca un ingorgo nell’organismo (“stasi sessuale”) responsabile di fornire ai sintomi nevrotici una diffusione. Come in un teatro, dove in scena sale finalmente il desiderio, questo tipo di relazione destoricizzata e decolpevolizzata consente all’Io la soddisfazione della pulsione e una buona aderenza alla realtà. La realtà è oggi dinamica e in movimento, rizomatica, il corpo il perenne transizione, frammentato nella lingua al punto da concentrare la femminilità in una figura equivoca come la Donna Barbuta, l’Io in una continua tensione. La vita non è più quella domestica, ripetitiva, consumata nella relazione madre-figlio-padre, tanatologica che sapeva di incenso, ma anche nascostamente di zolfo. L’aderenza a un principio di realtà così fragile e inafferrabile, veloce, contaminato comunque sempre dalla pulsione di morte, è però non di meno precaria, a un passo alla dissoluzione. Il disagio persiste. Il collasso è sempre in agguato.

FRAMMENTI DI UN MONOLOGO AMOROSO - Giancarlo Buonofiglio

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COSA VUOL DIRE CONTRONATURA?

Oggi è la giornata mondiale contro l’omofobia. Ci sono parole che vanno a mordere nella carne piuttosto che nella testa. Sono locuzioni o esortazioni scollate dalla realtà; per quanto vuote fanno leva sulle emozioni e si legittimano nei luoghi comuni. Di norma le persone le assorbono come qualcosa di incontestabile e di vero; le idee prevaricano sulle cose e svuotano la lingua di una relazione col reale. Trovano una corrispondenza nella tradizione, nell’ideologia, nel qualunquismo a volte, spesso nel populismo. Non si tratta di universali, quelli un senso l’hanno, anche ante rem. Le demagogie (che sono oligarchie nascoste) parlano al popolo con retorica, estendendo il campo semantico, con largo uso di figure paradigmatiche, a significare gli oggetti e i modi di essere. La parola contronatura è una di queste; allude a una vaga e non precisata violenza al normale ordine delle cose. Di norma dalla natura ci difendiamo e non l’assecondiamo; assumiamo antibiotici per curare le polmoniti, seguendo l’ordine naturale si muore. Non lo dico all’elettore medio e mediocre italiano, che non capirebbe. Quello è abituato a nascondere la polvere sotto un tappeto di bugie e ha un cattivo gusto morboso, evidente nell’uso che fa della lingua. Ciò che non è reale, come il concetto di contronatura, ha preso per estensione a significare qualcosa che esiste unicamente nella testa di chi la natura la violenta con le parole. Vedendo il male ovunque, immaginando perversioni, eccitandosi quasi per pratiche sessuali avulse da quel piccolo mondo. E’ inutile citare Giovanni Crisostomo e la Quarta Omelia, o anche il Codice Teodosiano e Giustiniano, in merito alla sodomia; perché è di quella che stiamo parlando ed è quella che deve essere giudicata e punita, secondo quel che diceva santo Tommaso nella Somma Teologica (parte seconda II-II questione 154, le specie della lussuria). L’elettore medio e mediocre italiano vede la perversione dove non c’è, il male ovunque, esaspera il sesso di contenuti; è quella la sua maledizione. Non è in grado di concepire l’affettività, la pulizia di un sentimento, la normalità e legittimità di un amore. Non è capace perché si tratta di uomini e donne senza vita, limitati culturalmente, malati nel modo di pensare e di parlare, mutilati nella crescita, imprigionati in una lingua che fa di ogni cosa un peccato. Vivono di parole. E stanno male loro per primi, ma non lo sanno e non lo vogliono sapere. Io non so cosa sia contronatura, lo dico all’elettore medio e mediocre italiano; ma Formigoni e Alfano (che sono fini esegeti della materia e più di altri si ergono a paladini della natura) faccio fatica per estensione concettuale a inserirli nell’ordine naturale delle cose.

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De rerum contronatura

FOUCAULT E IL DISCORSO-POTERE

Il potere non agisce dall’esterno sulle strutture della società limitandosi a evocare il proprio discorso e ad esercitarsi nei parlamenti o nei tribunali o ancora imponendo dall’alto un’ideologia; il potere-discorso non è sopra la società, ma dentro, produce le strutture che partecipano alle istituzioni (famiglia, lavoro, scuola, consultori), contorna il campo, definisce i ruoli circoscrivendo il perimetro dell’azione. Definire è rinchiudere, limitare, circoscrivere il pensiero all’interno di una catena di ragionamenti. Il potere non è una sovrastruttura che opera sugli elementi sociali da fuori; le relazioni di potere coesistono con le relazioni sociali, sessuali, economiche e hanno un ruolo attivo, conformante. Lo stesso rapporto di potere tra donne e uomini non deve essere interpretato come un asservimento della donna all’uomo, ma come l’azione del potere nell’organizzare i ruoli sessuali e sociali. Si comporta come certe categorie mentali che presiedono dando una forma alla intelligibilità della cosa. Il potere è articolato e tende a sedimentare; Foucault scrive che gli elementi del corpo sociale sono contemporaneamente coinvolti da più relazioni di potere. Tesi suggestiva e non lontana dal vero, se consideriamo la sovrabbondanza dei discorsi sul sesso. La morale borghese e quella cristiana da cui si è originata si delineano come morale della negazione e rimozione della sessualità, che è invece presente in ogni vivente. L’esasperazione è già una forma di detonazione. È con l’istituzione della confessione che ha inizio una fase di incremento di discorsi sulla sessualità con il compito di produrre una verità. Dal Concilio di Trento in avanti sapere e potere insieme rivelano la loro intenzione, che è quella di operare nei diversi campi della scienza una verità assoluta sul sesso, la quale diventa lo strumento principale su cui il potere definisce le strategie di controllo. La sessualità viene analizzata e spiegata in maniera riduttiva, trasformandosi in un dispositivo del potere, adattata alla strategia di oppressione sociale. Si tratta di un potere che specifica la propria autorità nelle istituzioni: la famiglia e l’educazione; la psichiatria, sessuologia, sociologia, pedagogia, che dall’infanzia passano all’individuo un’idea di normalità approvata socialmente e dunque giusta, a cui contrappongono quella di anormalità come qualcosa che appartiene alla follia. Normalità e giustizia vengono amministrate in maniera sinonimica dai diversi apparati dello stato, potere psichiatrico e potere giudiziario, alla cui origine si suppone una sola e identica verità fondante. È all’interno dell’identità sapere-potere che si legittima l’azione della repressione sociale sulla base del concetto di anormalità, istituendo le espressioni della sessualità come problemi che riguardano la morale, la comunità, la politica e l’economia. Ogni comportamento viene ricondotto alla sessualità e sottoposto al controllo dell’autorità legittimandone l’intervento e spesso l’abuso: contraccezione, controllo delle nascite, pratiche sessuali avulse dal contesto morale diventano materia della psichiatria e della sessuologia. La follia si pone come il luogo sociale nel quale collocare i soggetti considerati anormali, discriminati sulla base di comportamenti ritenuti indebiti. Non a caso è nell’Ottocento che vengono istituiti i manicomi e si sviluppa la psichiatria. La demarcazione tra razionale e irrazionale, normale e anormale, a cui si aggiunge la volontà di dare luogo a un discorso sul soggetto, ha istituito il legame tra potere disciplinare e sapere istituzionale. Il corpo diventa un oggetto di analisi e può essere manipolato; la scienza crea una frattura tra soggetto e corpo, che viene così oggettivato dal potere stesso. La dicotomia come si vede ricalca quella tra anima e corpo, dove l’etica dell’anima storicamente è servita a limitare il campo di azione del corpo; entrando nell’aspetto legislativo e dando luogo a una politica ideale piuttosto che reale, metafisica prima ancora che della natura o delle cose. Non può esserci azione politica se non riferita al corpo, l’anima e la teleologia esulano dalla giurisprudenza dello stato; ed è per questo che il potere promuove una condotta alta e idealistica dando alle istituzioni il compito di promuovere uno stato nascostamente etico. Lo abbiamo visto anche di recente sugli omosessuali e la legalizzazione delle unioni civili; le resistenze argomentative su cui hanno ricamato i detrattori avevano un carattere palesemente teologico. A cominciare dalla nozione di natura e contronatura, dimenticando che non diversamente dagli altri contenuti del pensiero anche la natura è un concetto e dunque qualcosa di culturale e non ontologico; in quanto tale sottoponibile alle leggi che ne regolano le funzioni, perfettibile come tutti i ragionamenti che tendono alla verità senza rivendicare il diritto di rappresentarla. Per questo Foucault parla di bio-potere, indicando col neologismo l’esercizio di controllo sul corpo e dal corpo sulla comunità, sentenziando le dinamiche sociali dell’individuo come ciò che consegue ai dispositivi in cui è immerso.

Da Gli italiani il sesso (la rivoluzione) lo fanno poco e male

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IL CORPO, IL DESIDERIO, LE DONNE

Il corpo femminile ipersessualizzato o desessualizzato sui cui scorre il desiderio diventa una funzione per lo scambio. La sua mistica erotica veicola quella della merce.

Il corpo è dominato prima che dalle idee dal desiderio. Come un ricettacolo su cui la comunità, tatuandolo o abitandolo con segni, cicatrici, vaccinazioni, battesimi lo rende portatore di un significato che annulla la sua disponibilità ad assumere un altro senso. Una volta trasceso nella mistica dei significati, il corpo non dice più nulla di sé, ma del significante che l’ha disegnato (e infatti il potere si mantiene fino a quando si fanno funzionare i corpi secondo un regime di segni, come nel segno della croce). Compito del significante dominante è quello di svuotare di senso tutti gli altri segni del corpo. E così nel segno che annulla ogni altro segno la riproduzione sessuale diventa riproduzione sociale, il corpo femminile (consegnato nel matrimonio) valore di scambio, in quanto corpo/merce dispensatore di piacere che garantisce la circolazione dei beni e le relazioni. La stessa differenza sessuale trascende il significato biologico e diventa esercizio per il potere. Il corpo soddisfa i suoi bisogni nelle cose; in esse tuttavia non c’è nessuna metafisica ma solo una trascendenza di significati che sedimentano in quello prevalente del patrimonio, della produzione e del consumo (“A prima vista una merce sembra una cosa triviale, ovvia; dalla sua analisi risulta invece che è una cosa imbrigliatissima, piena di sottigliezze metafisiche e di capricci teologici.” Marx). Il feticismo della merce nasce con l’ingresso della stessa nel mercato, dove le relazioni sociali si mascherano sotto forma di qualità (matrimonio, patrimonio, famiglia) e si deteriorano nel possesso. Il corpo femminile ipersessualizzato o desessualizzato sui cui scorre il desiderio diventa una funzione per lo scambio. La sua mistica erotica veicola quella della merce.

Libreria Hoepli

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CONSIGLI, AMENITA’ E FACEZIE SOPRA L’ESERCIZIO DEL MERETRICIO E DEI LUPANARI

Non esistono le prostitute; ci sono uomini che pagano il prezzo della propria solitudine. La prostituzione non è una categoria antropologica, ma il passaggio di denaro da una miseria all’altra.

Ci sono elementi di disturbo all’interno di un ordine; turbano il contesto ma lo mantengono stabile. Sono qualcosa di straordinario all’interno dell’ordinario; li troviamo nella fisica, nella lingua e in quegli aggregati umani che chiamiamo comunità. Non sempre manifestano una genialità nei contenuti, quelli non sono numericamente determinanti in quanto fuori dal comune e da ogni statistica, sono irrilevanti se collocati in uno spazio e un tempo ordinario, pur modificandone la struttura. I contesti sociali li producono per darsi una solidità. Gli emarginati, i solitari, gli esclusi servono a contornare i limiti delle norme, a dare un nome a quello che è giusto, accettabile, moralmente appropriato. Agostino nel De Ordine II, appuntava: “Togli le prostitute dalla società e ogni cosa verrà sconvolta dalla libidine” (“Aufer meretrices de rebus humanis, turbaveris omnia libidinus”; c. 4, 12). Riconosceva la funzione stabilizzante degli elementi esterni all’ordine morale di un contesto sociale. Il discorso è ampio perché tocca il piacere nella sua profondità; e sulla sessualità e dei modi di esercitarla non mancano ricerche minuziose. La prostituzione in particolare ha assorbito nel tempo questo tipo di connotazione; limita il piacere e lo colloca ordinandolo all’interno di un perimetro marginale, tollerato però dall’autorità; la cui funzione si delinea da sempre nel controllare l’espressione del piacere. E come sempre accade quando si tratta di ciò che procura alle emozioni l’intensità di un orgasmo, la sovrapposizione morale e il giudizio intervengono a riordinare l’eccesso. Le leggi fanno poi la loro parte, dimenticando che dietro a quel piacere rubato si nascondono le vite di donne trattate come fossero cose, attaccandolo ai loro corpi spogliati di un’identità il cartellino del prezzo.

Non esistono le prostitute; ci sono uomini che pagano il prezzo della propria solitudine. La prostituzione non è una categoria antropologica, ma il passaggio di denaro da una miseria all’altra.

Hoepli, Feltrinelli, Mondadori, Ibs

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