LE FLATULENZE DI NONNA

Ieri ho ribloggato sbadatamente l’articolo di GengisJokerBaneKhan. Sbadatamente perché non era voluto; per sopraggiunti limiti di età non posso più discutere di sesso orale. L’argomento mi affascina, intendiamoci, sul piano ovviamente filosofico. Parlare di sesso in maniera autobiografica è una cosa da giovani virgulti e qua quel poco che è sopravvissuto lo dobbiamo oramai al Sildenafil; il rischio è di passare per un adolescente di ritorno, o un vecchio satiro che non si rassegna all’entropia della carne. Ci ho però pensato sopra e ho scritto questa cosa; l’articolo è diviso in tre parti: cose che non puoi più fare in età geriatrica; perché è bello essere anziani; le flatulenze quali ultima sublimazione della sessualità.

vecchio

COSE CHE NON PUOI FARE IN ETA’ GERIATRICA

Gli ostacoli sono di ordine psicologico e somatico; morali no, gli anziani sono infinitamente più licenziosi dei ragazzi. Il Diavolo non li vuole più e allora non rimane che pontificare. Non puoi guardare con interesse una fanciulla o approcciarla come farebbe un giovane, il rischio è che la stessa inveisca contro il vegliardo laido e sporcaccione, esponendolo al diniego e alla riprovazione dei passanti. Vecchio porco, ricoglionito, ha un piede nella fossa ma vuole esumare la mummia dal pannolone, se Renzi non gli dava gli 80 euro era meglio (congiuntivi a parte il senso non cambia). Insomma ci siamo capiti e non è bello. L’anziano non può rincorrere una giovane per strada, l’osteoporosi, l’artrosi, la sciatalgia e spesso l’enuresi non glielo consentono. Qualcuno poi ha l’enfisema, difficile starle al passo. Il bacio diventa complicato con la protesi dentaria e sa anche di Kukindent; le mani causa artrite si serrano ai fianchi come tagliole e ci vuole molta fantasia per assimilarle alle carezze; l’epidermide a pelle di daino non scivola su quella levigata; le resurrezioni sono rare e si fanno sempre più insoddisfacenti, il vecchio prima che a una disfatta si espone al ridicolo: non sa neanche lui se quello che sente nel cuore è amore o uno scompenso atriale. Se è un anziano a dire: mi fai morire, ebbene è meglio prenderlo in parola.

PERCHE’ E’ BELLO (TUTTO SOMMATO) ESSERE ANZIANI

Una ragione si deve pur trovarla per andare avanti, perché ai vecchi rode proprio il culo. Quando qualche neurone sopravvive ancora, vedono bene che mentre loro fanno briscola al circolo degli ottuagenari, i nipoti si accompagnano con ninfette che provocano le rigidità a tutti note. Alla fine il risentimento è abbastanza naturale; vero è che la natura sia diventata impietosa e consente loro di perpetuare il rancore oltre ai limiti fisiologici. Una volta la fine sopraggiungeva prima ancora del deterioramento organico e mentale; le cose sono però cambiate. Malauguratamente o per fortuna, fate voi. L’anziano gioca a bocce o a poppe (come ho sentito dire), dal filosofo Karl Poppe; è un epistemologo per erotica assonanza. Non esce la sera ed è libero di farlo, nessuno gli chiederà mai se sta male, se la ragazza lo ha lasciato, se ha problemi a socializzare. I vecchi stanno a casa e si sa. Guardare i cantieri è uno sport eccitante e travolgente, gli sbarbati non possono capire. Il gusto di dare buoni consigli arriva con l’età e il giudizio (lapidario ed è il caso di dirlo) stimola un rigurgito di piacere: ai miei tempi ! Con quel che lascia intendere la sentenza: non come voi debosciati e drogati; finocchi qualche volta (perché tanto i giovani sono sempre e comunque attratti dalle aberrazioni: e per il vetusto vuol dire tanta droga e poca figa). La pensione, vabbè lasciamo stare, con quella non ci campano e non infierisco. Il privilegio della badante qualcuno però ce l’ha e l’amore al catetere è un’esperienza unica e irripetibile (anagraficamente parlando). Rutto libero e flatulenze varie, il corpo che si decompone espelle tossine aeriformi; rispetto ai giovani gli anziani possono concedersi qualche disinvoltura lasciandosi andare ai piccoli legittimi godimenti del corpo in decadenza. Ma questo è appunto il prossimo argomento, che è anche un caro dolce ricordo di nonna Cecilia. Sorda come una campana, che rombava tranquillamente per casa le commoventi esternazioni. Inconsapevole del fatto che i parenti ci sentivano invece benissimo.

LE FLATULENZE DI NONNA

Nonna scoreggiava. Nella vita o ti scoraggi o scoreggi; c’è un filo diretto tra la visione del mondo e quel che avviene nell’epigastrio; al di là delle diverse profondità che vanno dal pensiero (più in superficie) alle emozioni (che si radicano piuttosto nella paleocorteccia) quello che conta viene concentrato nella pancia. C’è chi trattiene, gli idealisti e i metafisici per intenderci che pongono una barriera intellettuale tra le cose, e chi come nonna (che era fenomenologa prima ancora che materialista) le avvicina senza sovrastrutture linguistiche o formali. Le cose si possono pensare o vivere, nonna di più a quanto pare le fagocitava. Di per sé già la parola comprensione rimanda alle mani e al corpo che afferrando qualcosa conosce; nella fagocitazione c’è qualcosa di ancora più profondo, la masticazione del pensiero che diventa appunto una ruminazione, con quel che ne consegue sul piano fisiologico. Perché nonna ruttava, seppure arrossendo al momento dell’emissione di quella gutturale il cui suono è pur sempre sgradevole. Faceva brup e qualcosa di simile al raglio di un asino, poi si metteva la mano davanti alla bocca (poi, perché le mani non erano sincronizzate e i movimenti si facevano lenti con gli anni) quasi a scusarsi per essersi lasciata andare ai bisogni ineluttabili. Ed è proprio questo il punto, si lasciava andare verso le cose come se Platone (o Agostino) non fosse esistito. Le idee sono pur sempre portate da intellettuali e il suo era uno stomaco contadino abituato al poco in tavola; l’ho vista inorridire davanti a antipasti raffinati ma non sostanziosi. Le idee appunto che mettono fame e non saziano mai. Nonna non aveva quella forma di analità intellettuale, non tratteneva; si limitava alla sospensione del giudizio quando poteva e se proprio non riusciva evocava dall’intimità ciò che aveva assorbito. Anche i pensieri, che non per niente sono fatti di aria. Non c’è più nonna, era un’altra epoché la sua; con poche certezze, nessuna verità, ma capace di avvicinare le cose nella loro superficiale e sensuale profondità.

LE TETTE DI FOUCAULT

The Danish Girl è un film del 2015 diretto da Tom Hooper, adattato al romanzo La danese (The Danish Girl) di David Ebershoff e ispirato alle vite dei pittori Lili Elbe e  Einar (Gerda) Wegener. La storia è questa: Einar accetta di posare in abiti femminili per la moglie e capisce d vivere in un corpo che non è il suo; poco alla volta abbandona i caratteri maschili per diventare Lili Elbe, assorbito nella sua identità di donna. 

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The Danish Girl prima che un racconto dell’omosessualità o travestitismo, è una profonda delicata plastica analisi della sessualità ben contestualizzata nella Copenaghen degli anni venti.  La trama è quella, ma va davvero oltre e racconta dell’identità di genere in termini sorprendentemente attuali. Nel film Einar viene ospedalizzato, il corpo sottoposto a terapie brutali, coartato e violato nell’intimità.

La storia si presta a diverse interpretazioni, voglio però soffermarmi su una in particolare, l’identità. Non ci pensiamo, ma è manipolando il corpo che abusiamo della volontà svuotandola di una consistenza giuridica. Siamo corpo e il corpo ha una collocazione politica, anche nel carattere sessuale. La politica evita accuratamente di rivolgersi a noi in quanto carne, perché la carne è rivoluzionaria, libera, è istintivamente rivolta al godimento, non la controlli con le idee, va nutrita ogni giorno, riscaldata in una casa, se la sfianchi di lavoro deperisce, privata dei bisogni primari muore. Può esserci una sola politica ed è quella che si prende cura del corpo, l’anima esula dalle competenze dello Stato. Il corpo desidera, vuole, spera, è attuale e mai declinabile al futuro; l’attualità è possibilità e divenire, non c’è nulla di più eversivo del qui-ora. Poiché lo squilibrio in una struttura sociale comincia riconoscendo l’instabilità, a uomini e donne in transizione da un genere all’altro viene tolto ogni elementare diritto. Lo Stato impone l’identità (anche quella sessuale) e la certifica con una carta con la quale legittima la contraffazione dell’Io; pretende la sua reificazione chiedendo a ognuno di diventare identico a se stesso. Lo squilibrio a quel punto diventa endemico, a cominciare da quello mentale che si riverbera in quello sessuale. 

Nel film Danish Girl le autorità cercano di riportare Einar nella normalità. Normare è controllare, come nominare è identificare; l’identificazione è già uno degli aspetti della normalizzazione, con la quale si chiede a un individuo di diventare identico a se stesso. L’identità è una tautologia che conferma nel singolo il carattere universale dello Stato. Quel che c’è al di là, l’alterità, è qualcosa di patologico e di deviato, di difforme. Il diverso o la deformità come categoria antropologica non è assorbibile dal conformismo sociale così com’è espresso dalla moderna società tecnologica. Collocare la reazione (o alterità) altrove, nei luoghi della perversione vuol dire mantenere inalterato l’ordine, dare una regola e imporre di rispettarla. Sistemarla in una dialettica di opposizione che separa nettamente giusto e sbagliato, normale e anormale, il bene dal male. Un potere di questa natura non può che invadere ogni aspetto della sessualità, del corpo, dei sentimenti e della società nella quale sono collocati. Foucault è stato molto chiaro denunciando il potere e i suoi travestimenti: le relazioni di potere sono immanenti, non una sovrastruttura che esercita da un tribunale il ruolo della censura. I rapporti di forza, multiformi e instabili, si muovono dal basso per poi diffondersi attraversando tutta quanta l’esperienza sociale senza individuarsi in maniera assoluta. Le articolazioni del potere nelle società moderne sono il punto di partenza da cui procedere alla definizione delle modalità con cui tali intrecci producono i discorsi sul sesso. Al centro del discorso-potere si trova il corpo, in qualità di oggetto di sapere che ha assorbito i rapporti e i conflitti di classe. Quello della sessualità si è formato partendo da un meccanismo già in movimento, l’alleanza, all’interno della quale il potere continua a presentarsi nella forma canonica del diritto. Con la nascita delle tecniche di confessione, ossia con lo sviluppo di nuovi discorsi che avevano come oggetto non più i rapporti legittimi o illegittimi discriminati in base al diritto, ma il corpo nella sua espressione erotica, si sono generati nuovi argomenti che dalla famiglia sono poi fluiti nella pedagogia, nella sessuologia, nella psicoanalisi. Mentre in precedenza nel meccanismo dell’alleanza, la famiglia era il luogo dei rapporti coniugali conformi e conformanti, il dispositivo più recente ne ha fatto il luogo in cui dal principio si esprime la sessualità; quello degli affetti e dei sentimenti e per tale ragione secondo Foucault la famiglia nasce come una struttura incestuosa. Per contenere la degenerazione dell’incesto agisce in essa il discorso-potere, che argina la disinvoltura del più recente meccanismo della comunicazione che stimola invece la sessualità all’interno del gruppo familiare. Le nuove tecnologie allentano la morsa morale all’interno del contesto domestico e per scongiurarne l’effetto con un doppio binario comunicativo la ritraducono nella forma del diritto.  Alle strategie di controllo istituzionale corrispondono altrettante figure antropologiche, divenute oggetto del sapere: la donna isterica, il bambino onanista, la coppia maltusiana, l’uomo perverso a cui si affiancano le specifiche tecnologie di intervento e le relative figure professionali (il sessuologo, lo psicanalista, l’assistente sociale, il pedagogo e altre ancora dall’economista al giurista). Il potere-sapere nasce in un preciso periodo storico e con finalità ben demarcate. L’origine si trova nelle classi borghesi emergenti e in quelle aristocratiche del XVIII secolo, dilatandosi all’esterno della famiglia e intervenendo sulle perversioni e le sessualità eterogenee generate in una società che ne stimolava la proliferazione, per poi controllarle con l’apparato delle alleanze. Fino al XIX secolo le fasce popolari non interessavano al dispositivo di sessualità; la famiglia e l’obbligo morale alla fecondità esercitavano dalle mura domestiche il controllo; il corpo proletario solo successivamente è stato identificato con il sesso, come un nuovo regime di segni che ne ha ridisegnato i contorni cancellando quelli prodotti dalla fatica, dalla cattiva alimentazione, dalla povertà. Nella cura che la borghesia ha avuto del proprio corpo Foucault individua gli stessi metodi di cui la nobiltà si era servita per marcare e conservare la differenza di casta. Mentre per affermare la singolarità del proprio corpo le classi nobiliari avevano inventato il concetto del “sangue blu”, la borghesia ha cominciato a guardare alla discendenza e alla salute dell’organismo. Oggi è più che mai evidente che il sesso abbia sostituito il sangue; la prole vigorosa e il benessere del corpo dipendono da una sessualità ordinata, di cui il meccanismo di potere-sapere si prende cura.

Marcuse si è spinto anche oltre. La repressione (perché di questo si tratta) non è un fatto costitutivo della civiltà umana o un fenomeno storico, ma la conseguenza a una specifica organizzazione sociale. Un particolare aspetto della repressione è quello che chiama “addizionale” e si fonda sul principio di prestazione; tale forma repressiva è diversificata sulla base del lavoro che svolgono i singoli individui. Produrre la repressione addizionale è compito della struttura familiare patriarcale e monogamica, dell’industria culturale di massa e soprattutto della divisione gerarchica del lavoro. In quest’ordine di idee la società è determinata a diventare totalitaria, ossia a rendere impossibile ogni opposizione. L’apparato produttivo ha raggiunto un tale livello di sviluppo, da rendere disponibili le risorse necessarie a soddisfare i bisogni umani, ma la società totalitaria crea sempre nuovi bisogni falsi e artificiosi alimentando il desiderio per impedire l’emancipazione degli individui. In L’uomo a una dimensione sottolinea l’attuale impossibilità della liberazione, perché la società industriale avanzata si conforma in maniera sempre più totalitaria, unidimensionale. La stessa tecnologia si configura come uno strumento per istituire nuove forme di controllo e di coesione sociale, il più delle volte piacevoli e quindi maggiormente efficaci. Questo vuol dire che è proprio l’innalzamento del tenore di vita, dovuto ai progressi tecnici raggiunti, a diventare veicolo di repressione: genera infatti il bisogno ossessivo di produrre e consumare e abbassa la soglia di resistenza al sistema. Marcuse parla di desublimazione e tolleranza repressiva; grazie all’estensione in massa di valori culturali, che vengono appiattiti sull’ordine esistente, si verifica anche una concessione di libertà apparenti che non danneggiano gli interessi dominanti ma garantiscono e rafforzano la continuità della repressione. Nelle democrazie moderne la tolleranza coincide con il permissivismo, perché viene concesso sulla base dell’idea che nessuno sia in possesso della verità e che pertanto il soggetto delle scelte deve essere la collettività, che si suppone composta di individui capaci di scegliere liberamente. In realtà la società produce l’effetto contrario, un generale conformismo. Anche il pensiero corrispondente a questa situazione è una unidimensionale, modellato sulla realtà esistente e incapace di opposizione e critica. Più che alla classe lavoratrice, che appare sempre più integrata nel sistema e da cui tende ad assorbire i valori, Marcuse guarda agli studenti e ai gruppi marginali come i neri, i guerriglieri del terzo mondo, gli emarginati e il sottoproletariato delle periferie, le prostitute, i disadattati come a potenziali soggetti rivoluzionari. La diagnosi della società tecnologica che Marcuse ha delineato è più pessimistica di quella di Foucault ma inappuntabile. Tutti i luoghi alternativi, tutte le forme di opposizione, tutte le dimensioni diverse da quella della tecnologia sono stati conquistati dalla finta democrazia della società industriale: l’uomo, la società e la cultura sono ridotti all’unica dimensione che condiziona nel profondo bisogni e desideri. Nessuno è svincolato da questa non-libertà, tutte le classi, compresa quella operaia, sono ormai assorbite dal sistema; solo fuori del sistema si può ancora trovare qualche potenziale rivoluzionario (“Al di sotto della base popolare conservatrice”), tra gli emarginati, i reietti, gli stranieri, gli sfruttati, i disoccupati. Tra coloro che non sono integrabili in un’identità storica e politica; come Lili Elbe, le transessuali nella più radicale tra le alterità, quella sessuale. 

Da Gli italiani

SIRI, JEANNIE, CORTANA E LE ALTRE

Ho un debito con Cuoreruotante e i debiti si pagano. Ho mancato di farle gli auguri in tempi ragionevoli e mi è toccata una penitenza; non è vendicativa e non è certamente una haters Cuore, infatti ha commutato la pena in un articolo sulla tecnologia. Quella però che più mi è ostica (e ostile), una relazione su Iphone, Android, Smartphone naturalmente dopo averli provati. Premettendo che uso un cellulare (li chiamo ancora così) coi tasti, comprato solo perché era pubblicizzato come telefono per anziani e che non mi porto dietro internet (l’idea di essere costantemente in una rete mi dà l’acidità di stomaco) la mia esperienza con questi aggeggi è stata la seguente.
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SIRI, la app dell’Iphone
Sembra che la Apple stia pensando di trasformare il software in una terapeuta. Con Siri ho parlato un paio di volte. Si tratta di una voce generata da un algoritmo e da una mente malata che risponde con tempestività alle domande. L’aggettivo malato (riferito al programmatore che ha sviluppato il dispositivo) non è offensivo, vuol dire distorto, alterato, deformato rispetto alle regole che una comunità si è data. La prima delle quali è la relazione con l’altro in un contesto di comunicazione in cui è assicurato prima ancora che la parola l’ascolto. Il problema di Siri è che non ascolta, non c’è una relazione anaclitica, non un passaggio di emozioni ma una corrente di parole, anzi fonetica rielaborata alla meno peggio da una computazione algebrica. Il software è semplice, binario, strutturato in bit e byte, 0 e 1 secondo una sequenza brutalmente logica che riduce al minimo l’articolazione decimale della lingua: se è non può non essere altrimenti il sistema si impalla. In sostanza: per parlare con Siri dobbiamo adeguare il linguaggio (e il flusso di emozioni) in bit e byte appunto modulandolo sul carattere del software. Che oltretutto (nel caso di Siri) è un caratteraccio. L’indole bisbetica mi provoca insofferenza con le persone, figuriamoci con le macchine; all’obiezione, che alla cpu del mio hard disk neuronale sembrava legittima: sei una cretina (e ammetto che il tono era insolente), mi ha risposto: non c’è bisogno di offendere. Permalosa come una suocera insomma. A questo punto mi tengo e litigo con la mia. Un’ultima annotazione: canta di merda, si trasforma in un razzo missile proprio non si può sentire.
Cito anche la fonte, così Cuore lo vede che mi sono preparato: https://goo.gl/jM1fAZ
LA MANUALITA’
Per me quei cosi non sono maneggiabili; problema mio e a quanto pare non ho il pollice opponibile, proprio non riesco a tenerli in mano. Tanto meno a pigiare i tasti. Vot: 3-4 non di più.
CYBERSESSO
E no, non ho provato. Come ho detto prima ho una manualità che fa disonore a Lamarck e poi non ho il pollice opponibile. Insomma la vedo dura. Però ho imparato una nuova parola: SESSEGGIARE. In serata dopo aver navigato come Ulisse, il canto delle sirene è arrivato. Ho trovato un messaggio in chat diretto e esplicito: “Ciao, ti va di sesseggiare?”. Ho analizzato la frase (e qua il perverso -ammetto- sono io): il ciao avvicina, assimila, familiarizza; ti va: ossia hai voglia di, cerchi sesso e vabbè il resto si capisce; sesseggiare è un neologismo giovanile, nato credo dalla Rete, che è un’altra lingua ed è bene ascoltarla perché sta modificando in profondità la struttura del linguaggio e quella mentale. La parola non mi piace ma non la trovo cacofonica, anzi; svincola il piacere dalla sua storia (che per la mia generazione era lunghetta: dal ti vuoi mettere con me a sentocheèvenutoilmomentodidareunasvoltaallanostrarelazione, e voleva dire proprio quello), circoscrive come tutti i termini nuovi in un gruppo e ritaglia dal resto del mondo. Con qualche rimpianto e per un fatto anagrafico appartengo tuttavia al resto del mondo, quello che per abitudine alla lingua non sesseggia. Perché il piacere parte da là (per quelli con la mia verecondia intendo), da parole che accarezzano e non graffiano. Ma i tempi cambiano e oggi si sesseggia e va bene così. Almeno finché non troverò in chat un messaggio pornografico del tipo: ciao, ti vuoi iscrivere al Pd? A quel punto comincerò piuttosto a sesseggiare.
DOWNLOAD
Per chi non lo sapesse vuol dire scaricare un file da internet. Ho aperto la pagina Twitter di Mario Adinolfi per fare il download di una sua foto (e sul perché stendiamo il velo pietoso, lenzuolo anzi vista la mole) e l’Iphone in autonomia l’ha salvata nel formato jpg-LARGE. Al software riconosco l’intelligenza nel riconoscere i formati (e gli sformati) e una buona dose di ironia.
NETIQUETTE
In Internet, con la parola netiquette si intende il complesso delle regole di comportamento volte a favorire il reciproco rispetto. Navigando sui social non solo ho imparato una nuova parola: UOMINISMO (per simmetria con femminismo) e il derivato uominicidio o maschicidio, ma soprattutto che le regole non le rispetta nessuno. O quasi. La storia sulla quale mi sono concentrato è questa: ad Arezzo una signora ha ucciso il marito con un mattarello e il popolo dei social si è espresso con improbabili neologismi. Ma non è questo che mi ha sconcertato (mi ero già rassegnato al ke, con la k), la Boldrini piuttosto. Lei che c’entra? I commenti che più mi hanno stupito sono i seguenti:
1) Come si definische questo omicidio? Presumo sia un UOMOINCIDIO. Il pendant del femmincidio. Solo per curiosità. Questo povero marito che male ha fatto?
2) Omicidio Boldrini, stupro Boldrini, violenza Boldrini, rapina Boldrini, terremoto ancora Boldrini….
Tesi: il pd con la crisi economica che ha creato sta uccidendo tutte le famiglie italiane
Antitesi: Sono le illusioni 5stelle che creano queste tragedie.
Sintesi: Un classico e poi i partiti sono tutti uguali
3) Ma non era meglio un piatto di tagliatelle ai porcini invece che fare arrabbiare tanto la moglie?
4) Cmque adesso boldrini e company non dicono cge bisogna fare una legge x proteggere gli uomini dalle donnne violente????
5): un altro maschilicidio
6) Finalmente un uominicidio!!
7) La moglie uccide il marito a botte di mattarello. Ci voleva (emoticon che ride)
8) Santa subito!
9) Ah, ecco a che servono quei bastoni de legno.
FAKE
Un fake è l’utente di un newsgroup, di un forum o di una chat, che falsifica la propria identità, spesso con lo scopo di danneggiarne la reputazione di qualcuno o di ottenere qualche vantaggio. Una fake news è una notizia falsa.
Aprendo pagine a caso in rete ho scoperto che è morto Paul Horner, Mr. Fake News. Il geniale inventore di bufale del web (in concorrenza con i giornali italiani, rispetto ai quali rimane comunque un dilettante.) Se n’è andato a 38 anni, così annuncia l’Huffingtonpost. Ma deve appunto essere un fake.
CYBERMOLESTIE
Nell’epoca del cybersesso non potevano mancare i cybergmolestatori. Ai miei tempi c’erano le bambole gonfiabili, da quel che vedo sono ora arrivate le cyborfanciulle. La vittima si chiama Samantha (una cybermora formosa decisamente sexy che costa solo 3000 sterline) e ha riportato danni gravi alle dita. E’ stata trovata sporchissima dopo la sua apparizione al Festival di Linz, ma la molestia si è limitata (pare) al palpeggiamento dei seni, delle gambe e delle braccia. Gli inquirenti non hanno rinvenuto tracce organiche sul corpo, le indagini sono però ancora in corso. Sembra comunque che la cybercreatura sia attrezzata per gemere quando quelle parti vengono maneggiate. Se ci sia stata complicità o mutuo consenso lo deciderà il giudice; trattandosi di una cyberdonna possiamo tuttavia supporre che il togato concederà ai cybersuini le attenuanti del caso.
Cito un’altra fonte, in modo che Cuore non mi annoveri tra i molestatori: https://goo.gl/Z5CsSF
Ed è il momento di trarre le conclusioni e di dare i voti: la tecnologia è bella e mi piace, mi piace meno chi la usa (sempre per via del deficit da pollice opponibile, che non mi ha fatto sviluppare le aree corticali ovviamente). Se si riduce a questo causa età geriatrica e sindrome da pannolone rimango fermo nella convinzione di Flaiano: la stupidità degli altri mi affascina, ma preferisco la mia.
Voto tecnologia: 9
Voto utenti generici (ma confesso che il voto basso è partorito dall’invidia per il dito prensile): 6
Voto utenti dei social (senza invidia): 1.
E con questo chiudo, cara dolce gentilissima Cuoreruotante, sperando di avere espiato, in ginocchio ma non sui ceci, su migliaia di microchip. Che è pure peggio.
Una domanda per te ce l’ho ed è più che altro un dubbio: non sarai anche tu una App?

PAROLE D’AMORE

 

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L’innamorato parla. La parola esiste perché l’Io è in uno stato di tensione verso l’altro; attende ed è come un “tumulto d’angoscia suscitato dall’attesa dell’essere amato in seguito a piccolissimi ritardi”. Il discorso mancato porta a una specie di delirio che identifica l’innamorato in colui che aspetta l’altro, con quell’affanno per l’abbandono che trasforma la parola in un discorso paranoico e l’angoscia in una paradossale soddisfazione al suo ritorno. L’attesa è il campo dove l’amore staziona, la sala d’aspetto in cui l’innamorato ”si vede con tristezza esiliato dal proprio immaginario”, che è l’immagine capace di suscitare un sussulto con il solo ricordo. L’esilio è necessario in quanto “il prezzo da pagare è la morte”. Morte simbolica, ovviamente e silenzio della parola. L’Io parla perché è il simbolo ad averlo fatto parlante e in quanto il linguaggio è desiderio dell’Altro. Il significante è invece pura trascendenza. Nella distanza viene a mancare uno dei termini e il discorso è un monologo nel quale il soggetto annulla l’oggetto d’amore per l’amore stesso: il soggetto ama l’amore e non l’altro reale. Anche la lingua subisce il significante che anticipa il fantasma della separazione. L’altro è in uno stato di continua partenza, al di là; è un passeggero senza meta. L’innamorato invece aspetta, è sedentario, a disposizione, sempre nello stesso posto, è come sequestrato dalla scena. Parla a se stesso prima che all’altro assente. Come quando sulle panchine dei binari un uomo attende tra i frammenti del tempo che la donna scenda dal treno, mormorando sottovoce le frasi d’amore che le dirà. Il monologo anticipa il discorso, sottrae, colma il vuoto e per lo più assorbe la totalità della relazione. La voce annuncia l’arrivo al binario e tanto basta a quietare l’ansia per la mancanza. L’uomo si alza e mentre il treno giunge in stazione, non può far a meno di anticipare quello che le dirà. Parla da solo come i pazzi. La gente attorno fa caso al suo parlare, non alle parole. Perché “le parole non sono mai pazze (tutt’al più sono perverse); è la sintassi ad essere folle”. (R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso).

Da Frammenti di un monologo amoroso https://goo.gl/b21Q8Z

Reich, l’orgasmo, la violenza sessuale

Altre due vittime, questa volta a Roma. Due donne stuprate (al di là dei tecnicismi giuridici tra tentata violenza e la violenza acclarata) e una responsabilità certa, certissima, anzi probabile; i colpevoli ci sono e hanno un nome. Altri però ne verranno perché è un fenomeno anomalo che si va anomalamente normalizzando; le leggi si fanno sempre più incisive (che per il nostro ordinamento vuol dire inasprimento della pena), ma non basta. Perché il mostro, l’Ombra, l’Altro non arriva da luoghi geograficamente improbabili e tuttavia fa comodo pensarlo. Per rimozione, proiezione e spostamento. Il mostro lo abbiamo in casa e lo nascondiamo al giudizio morale.

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Per Reich (che ha anticipato il discorso sulle sessuopatie) il criterio della buona salute è il libero fluire dell’eccitazione nel corpo; un corpo erotizzato e non sublimato nelle forme culturali. Ravvisava nelle tensioni muscolari un orgasmo inespresso, contenuto, vincolato più alla morale che alle reali esigenze della carne. Le tensioni croniche sono abitudini inveterate, il sintomo del disagio di una civiltà che ha censurato la natura umana nelle pulsioni e genuinamente predisposta al piacere. Come Marcuse, Reich rifiuta l’impianto teoretico freudiano di un impulso originario distruttivo; la nevrosi dipende piuttosto dal decentramento politico del corpo e del suo condizionamento sociale. Il discorso di Freud sul disagio è alterato da un concetto destoricizzato della civiltà, il sacrificio della pulsione non è necessario all’ordine che una comunità si dà, ma funzionale a un genere particolare di società, che per Reich è quello borghese capitalistico. E’ discutibile anche il principio di realtà (tanto caro a Freud) e parimenti indefinibile come quello di normalità; è in questo che la psicoanalisi dimostra una matrice metafisica o ideologica, utilizzando categorie ontologiche (o meglio mitologiche) e non antropologiche. Il concetto di sublimazione, in quanto risolutivo del conflitto libido/civiltà, è una mistificazione per una fascia sociale disorientata in quel che conta e che tuttavia cerca un equilibrio nei meccanismi del consumo e del capitale, rinvenendo non più nella dialettica con l’altro (e con l’Altro) la propria identità. La teoria dell’origine sessuale delle nevrosi porta nella pratica terapeutica alla sostituzione della rimozione inconscia delle pulsioni con la rinuncia consapevole alle pulsioni stesse. Per Reich si tratta non più di uno spostamento culturale sul piano scientifico di idee politicamente conservatrici. Il disagio attuale individuale e sociale dipende invece dal mancato appagamento sessuale, dall'”imptenza orgastica” responsabile nel singolo del disturbo nevrotico e delle degenerazioni etiche e sociali della comunità. L’energia sessuale non liberata provoca un ingorgo nell’organismo, una stasi sessuale che alimenta il sintomo e la malattia. La repressione sociale della sessualità, la miseria sessuale delle masse vincolata a una monogamia innaturale non è che il riflesso della reale miseria sociale e culturale nella quale il popolo si trova a vivere. Il discorso-potere sul sesso, la famiglia, l’ordine economico della società, le istituzioni sono la mano del potere capitalistico che, attraverso le forme della deviazione nevrotica, impongono il dominio materiale e economico dell’ideologia borghese. L’introiezione in massa della prassi sessuofobica come luogo morale, produce individui socialmente pericolosi, stimola gli istinti peggiori, favorisce l’edonismo e l’egoismo, fomenta le degenerazioni antropologiche, mutila il carattere politico, solletica il populismo, annulla le resistenze al potere vincolando gli oppressi all’oppressore. La repressione matura nella depressione, qualche volta nella perversione e diventando la regola della comunità ne altera l’etica, i costumi, le leggi. La famiglia patriarcale in particolare il più delle volte mostra il carattere repressivo, il baluardo del capitale all’interno della classe oppressa, impedendo già dalle mura domestiche ai giovani di sviluppare un’energia realmente rivoluzionaria.

Marcuse è andato anche oltre. L’azione del capitalista consiste nel produrre l’autonomia dell’ideologia borghese, come qualcosa di separato dai piaceri materiali e svincolato dalla realtà esistente. La felicità collocata al di là della vita quotidiana e finalizzata a liberare dalla realtà sensibile e dalla sessualità, diventa un meccanismo per disciplinare le masse insoddisfatte, potenzialmente eversive. Il disagio individuale e sociale è la conseguenza all’ordine contraddittorio della società. La mancanza di felicità, la malinconia o la depressione come carattere precipuo del popolo è banalmente il risultato di un’organizzazione sociale irrazionale. L’analisi di Marcuse non si ferma a questo: sottolinea l’incompatibilità della felicità con il lavoro, come testimonia l’esistenza miserabile a cui è ridotto il proletariato (nelle nuove denominazioni). Il piacere individuale, inconcepibile in un mondo rurale che l’aveva socializzato, non è in grado di tradursi in un progetto di reale trasformazione sociale; è necessaria una prassi per fare dei bisogni primari una profonda rivoluzione del reale in quel che c’è di razionale. Al progresso tecnologico e all’evoluzione economica (lo vediamo ogni giorno) non corrisponde necessariamente l’emancipazione umana, come pure al socialismo non è seguita la dissoluzione del capitalismo. La violenza, a cominciare da quella sessuale, è il punto più alto di un ordinamento sociale che reprime non la sessualità e il piacere, ma la loro diffusione all’interno di una strategia storica e dialettica. Ma questa davvero è un’altra vicenda, politica prima ancora che psichiatrica e penale.

Da Gli italiani…

“Sei cose impossibili” Tag

Il mio amico Red, stimolato da Cuoreruotante (la curiosità, lo sappiamo, è femmina) che così ha proposto: ho pensato di creare un Tag con l’augurio che, come diceva la Regina ad Alice, allenandoci giornalmente a pensare a sei cose impossibili, possiamo avere quello stimolo in più che ci aiuti a credere che le giornate, a volte, possano anche stupirci ed essere migliori delle nostre aspettative, andando al di là di ogni nostro scetticismo, mi ha invitato ad aderire a una catena di S. Antonio. Appuntare nel blog sei cose impossibili, nominando a mia volta altri sciagurati. Ognuno dei quali ha l’obbligo (altrimenti che catena è?) di inserire nell’articolo il logo di Alice’s in Wonderland, di proporre sei cose inattuabili, di nominare altri sventurati. Con l’invito ci vado a nozze (si dice così, mi pare), nei luoghi nei quali scrivo sotto al mio nome c’è anche quel che faccio: manipolo paradossi; potevo insomma non partecipare?

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TESI:  le cose impossibili devono essere irragionevoli, inedite e appunto paradossali. La logica si occupa della verità e a noi è invece richiesta l’incoerenza della verosimiglianza. La differenza tra ciò che è vero e quel che è verosimile è tutta qua: la cosa impossibile non è e non può essere ma quanto ci piacerebbe che fosse così come la vogliamo (svincolata dall’abitudine e dalla coerenza logica).

ANTITESI: le cose impossibili sono incoerenti. La coerenza è l’incrostazione della lingua a parlare delle cose sempre nello stesso modo. Hume e Husserl erano incoerenti, tra la parola e la cosa esiste un legame culturale e mai veramente aderente alla realtà. Ciò che reale è anche irrazionale, il buon Hegel se ne faccia una ragione.

SINTESI: impossibili, incoerenti ma verosimili insomma, come le copertine di questi libri, editi o meno da qualche improbabile editore. Ma è poi importante che qualcuno li abbia davvero pubblicati?

 

BRUNETTA (1)

 

GESU (1)

 

MALGIOGLIO (1)

 

TOMTOM (1)

 

riina (1)

 

ARMANI

Veniamo alle nomination. Lo scrivo con un tono notarile, perché non può che essere così per una catena che ha il nome di un santo. E dunque: Per l’autorità conferitami e con i poteri che mi sono stati dati, nomino e senza possibilità di appello (ma la lista presto si allungherà, perché troppi ne ho in mente)

Andrea Taglio

Ero sveglia: poi ho capito Freud

Marzia, alchimie

Alemarcotti

GengisJokerKhan

AMORE SOTTO L’OMBRELLONE

L’estate è la stagione dell’amore, del sorriso, del sogno. D’estate partiamo e lasciamo a casa i pensieri in cerca di un po’ di sollievo. E così sopportiamo le file in autostrada, le valigie, il caldo, il rimorso per la nonna alla casa di riposo. L’odore della crema, i discorsi da ombrellone, io quella me la farei e io il bagnino me lo sono fatto, la cellulite, le smanie erotiche mugugnate a bocca stretta. Un libro, le chiacchere, il pianto del bambino, papà che mette a dura prova il miocardio correndo dietro a una palla. Il sudore, il pesce, l’anguria non più fortunatamente esumata dalla battigia, le finestre aperte. le zanzare. Quelle sono immancabili ad avvertirci del cambio di stagione. Ma l’estate è soprattutto immaginazione, evasione; un sogno e un desiderio non pronunciato. Come un bacio che si dà così, perché è bello rimanere senza fiato.

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L’estate è anche il tempo dell’incoscienza, dei libri giocosi, delle letture corrive, delle fantasie sfrenate. Morbose a volte. Queste pagine sono per voi, una lettura leggera e spero gradevole da fare sotto l’ombrellone. Naturalmente sul sesso e i modi di procurarselo.

LECTIO PRIMA

dell’arte del costume e del portamento

La cura del corpo è una buona regola per quanti decidono di dedicarsi all’amore. Fate tesoro dei consigli esposti in questo capitolo e nessuno potrà accorgersi che in realtà fate schifo.

1) Nettarsi è d’obbligo. La persona che emana vapori insaporiti da giorni di sudata attività risulta antipatica e scortese. Peggio ancora se tali vapori vengono avvertiti con curiosa veggenza, sopravvivendo agli assalti della metropolitana e dei bagni pubblici. In ordine di importanza, la pulizia dell’epidermide andrà così eseguita:

– ascelle: evitare di coprirne i fumi con deodoranti e balsami il cui impiego risulta tra l’altro anche laborioso. Meglio è denudarsi dalla cintola in su (con discrezione se vi trovate in un posto affollato) e ricorrere al sempre ottimo sapone. Pratica igienica che preserva da battute, spesso offerte da simpatici colleghi d’ufficio, del tipo: “ecco il solito troglodita che invece di lavarsi copre il sudore col deodorante”. Ricordatevi che potrebbero anche incriminarvi, magari con la complicità del codice penale;

– capelli: la persona costumata li tiene in ordine. Cercare di far passare l’unto accumulatosi in settimane di negligenza per l’ultimo ritrovato dei gel è dimolto inurbano. Capire se è arrivato il momento per lavarli non è difficile: ci arriverete quando appoggiandovi sulla camicetta del direttore del marketing avrete lasciato le prove inconfutabili del vostro passaggio. Per quanto riguarda invece la forfora il problema probabilmente neanche lo sentite: a quest’ora i vostri capelli saranno infatti completamente bianchi e voi potrete spacciarvi per un accattivante cinquantenne;

– barba e peli superflui. Una precisazione è d’obbligo: si intende con la poco simpatica locuzione “pelo superfluo” tutto quel groviglio di arbusti che prolifera su gambe e volto e che da sempre attenta alla sensualità delle fanciulle in fiore. Se la fanciulla non è in fiore il pelo non è invece più superfluo ma congenito alla triste condizione cui natura matrigna volle imprigionare la stessa. Per quanto riguarda la barba il problema è presto risolto: basta radersi;

– denti: vanno puliti dopo ogni pasto. E’ buona cosa passare, dopo il lavaggio con lo spazzolino, anche il filo interdentale (così detto per non confonderlo con quello da cucito). L’operazione richiede una certa pratica; la cosa fondamentale rimane il destino del suddetto: ricordarsi sempre di gettarlo dopo l’uso e di non riciclarlo per attaccare i bottoni di giacche e pantaloni;

– igiene intima: dicesi igiene intima l’attività di pulizia che si attua nei confronti di quella parte del vostro corpo di cui voi vi vergognate (ed è scorretto perché essa non si vergogna affatto di voi). Va messa in pratica ad evacuazione avvenuta (mai durante) e ogni qual volta l’organo si esprime in tutto il suo rancore per il mondo. Le lavande in commercio sono per lo più buone ed evitano i fastidiosi pruriti a cui sottoponevano i detersivi granulari delle vostre nonne. Quanto all’oggetto uscito dal postero (la cui biodegradabilità non è mai stata veramente provata) andrà a riporsi nel luogo a lui preposto se in appartamento, o abilmente occultato se in luogo aperto, onde evitare all’altrui persona la rivelazione traumatica della vostra intimità. E’ comunque sempre sconsigliato l’uso del pubblico bagno (treno, pizzeria, bar), che dicesi pubblico proprio in quanto partecipa gli utenti della flora batterica che lo caratterizza, suscitando dai tempi antichi la curiosità della scienza e della virologia. Non scordarsi, in ultimo e in luogo della igienica invenzione, mai gli indispensabili clinex che evitano lo spiacevole inconveniente della carta da giornale, la cui incompatibilità con il carattere del tergo è da tutti conosciuta;

– piedi: lavarli è più di una buona educazione, un vero e proprio dovere sociale. Sappiate che finché continueranno ad imporre la loro imbarazzante presenza i vostri rapporti con il prossimo rimarranno seriamente compromessi (se il vostro prossimo non vi è simpatico il problema ovviamente non si pone). 

– unghie: è severamente vietato mangiarle. Soprattutto quelle dei piedi (e non solo per un fatto igienico). Non andranno mai trascurate e si curerà in particolare di rimuovere la patina color seppia che sembra ostinarsi sotto le medesime, intonando l’espressività dei colori coi fumi della Cappella Sistina;

– naso e orecchie: tenete a mente che il materiale che in essi si trova non è affatto commestibile, e che la cui ingestione può anche provocare nel prossimo un più che giustificato ribrezzo. Quanto all’oggetto delle mistiche introspezioni andrà sempre depositato in appositi tovagliolini di carta che saranno a loro volta riutilizzati nel riciclaggio dei rifiuti. Fatto questo potrete finalmente ritenervi soddisfatti: anche voi avrete contribuito alle campagne ecologiche contro l’inquinamento, fornendo preziosa materia prima da convertire in oggetti di largo consumo.

– brufoli e punti neri: ricordarsi di non schiacciarli mai in pubblico, attività deplorevole a cui sembrano affezionati molti giovani. Nonostante la diffusione rimane una pratica inurbana e come tale va evitata. Sempre;

– seguono quindi in successione: volto (guance, collo), gambe (ginocchia, stinchi, polpacci), torace, braccia, schiena, su cui è però inutile dilungarsi.

2) Vestirsi con gusto è sempre imperocché inevitabile. I trasandati, gli stropicciati, i macchiati, i trascurati vengono guardati con ragionevole sospetto e naturale diffidenza. 

– Intimi: dicesi intimi tutti quegli indumenti che coprono le oscenità. Dopo scrupolosa pulizia degli stessi il cambio, sempre quotidiano, andrà così eseguito: mutande (che dal latino furono non a caso dette mutate mutandis in luogo della giornaliera transustanzazione) almeno una volta al giorno (le fanciulle costumate anche due o tre, a seconda del mentale bisogno), ed è comunque disdicevole attendere che acquistino i colori degli umori. Cavernicola è anche la pratica tuttora in uso di odorare le stesse interrogandosi se sia il caso di continuare ad indossarle: le grandi decisioni si prendono di petto e voi dovrete essere forti nel separarvi da un indumento con cui avrete diviso le più intime aspirazioni; per le calze (collant, pedalini, ma anche magliette, body, guêpiere) valgono le succitate regole, fermo restando che una persona a modo non attende che irrigidiscano prima di riporle in lavatrice, e che alle voragini che si aprono innanzi ai pollicioni si dovrà porre rimedio, evitando l’imbarazzante effetto “buco” di scarsa chissà come mai attrattiva sessuale; il reggiseno (che curiosamente portano oggi anche alcuni folcloristici e simpatici uomini) si avrà cura di consegnarlo alla saponetta prima che acquisti quella curiosa tonalità ramarro che più di moda non è;

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– camicia: non dovrà aspettare di assumere ai bordi (colletto e polsini) i colori della vostra sudatissima giornata. Ottima abitudine è quella di stirarla prima di indossarla, durante l’operazione si dimostra invece complicata e non priva di difficoltà;

– pantaloni, gonne, giacche: dovranno essere di un colore prevalentemente scuro (tutti sanno quanto sia faticoso il lavaggio e l’asciugatura dei medesimi) che sia in grado di coprire le negligenze dell’educazione datavi da fanciulli, e che ora non vi permette di gustarvi serenamente una pizza o un piatto di spaghetti al sugo;

– scarpe: due o tre paia almeno sono indispensabili. Nella società dell’immagine cambiarsi è un obbligo, e voi non potete sottrarvi al sacro dovere. Capire quando è ora di sostituirle non è difficile: se camminando sotto la pioggia vi sembrerà di sprofondare in una laguna melmosa allora il momento sarà arrivato. Se no il momento allora non è. 

3) Dato che su quel corpo ripugnante che vi ritrovate proprio non potete contare, fare dei buoni ragionamenti è un dovere al quale non potete sottrarvi. Se proprio volete rinunciare ad istruirvi e intendete comunque fare colpo col vostro encefalo (ammesso che ne abbiate uno) i trucchi che seguono potranno esservi di grande aiuto. Gli altri, come sapete, vi amano per quello che non siete e non sarete mai: se diverrete perciò abili nel mettere in pratica le semplici regole sottostanti, potrete anche farvi passare per un intellettuale malinconico alle prese con i problemi dell’essere, e nessuno si accorgerà mai che siete semplicemente un imbecille.

a) Discorsi da evitare:

– gioco del calcio (se siete uomini e l’oggetto del vostro desiderio è una donna), detersivi e prodotti per la casa (se siete donne e la vostra preda è un uomo). E’ infatti poco piacevole sentirsi abbordare per strada con frasi del tipo: “signorina, lei è più entusiasmante della finale di coppa delle coppe”, “ragazzone mio, tu sì che hai dei muscolacci possenti, non come quel rammollito di Mastro Lindo”;

– lavoro: non parlate mai di lavoro; a meno che naturalmente non facciate gli avvocati o i dentisti, se uomini, e se femmine le infermiere (gli uomini sembrano apprezzare particolarmente siffatte fanciulle, retaggio onirico di infantili polluzioni adolescenziali). Ai commercialisti, ai ragionieri, agli impiegati è comunque assolutamente sempre e in ogni caso vietato. Se poi fate i becchini, è buona regola anche quella di non portarsi mai il lavoro a casa;

– malattie e disgrazie varie: sbaglia chi crede di usare la carta della compassione per indurre l’altro a concedere le grazie. I tempi sono difficili e non c’è più pazienza per ascoltare le sciagure di chicchessia. Oltre al non trascurabile motivo che è sempre cosa saggia non rompere i cosiddetti. In luogo dei deprimenti aggiornamenti gastro-intestinali, circa le abitudini deplorevoli del vostro intestino (di cui non frega a nessuno), è meglio ripiegare sul classico repertorio: “bella giornata, vero? Ma lo sa che ha degli occhi splendidi?”, che evitano approcci catastrofici: “signorina, permette che la erudisca sull’attività peristaltica del mio intestino? (e magari con dimostrazione pratica del vostro singolare meteorismo)”. Piuttosto tacete;

– banalità: non è una regola questa; ma se intendete davvero fare colpo col vostro acume dovete rinunciarvi. Preferite perciò ad elucubrazioni del tipo “che bella luna, brilla come il mio amore”, le più ardite “e pensare che si è dovuti arrivare a Galilei (le date sono facoltative) per comprendere che l’universo tolemaico era una fesseria; io l’ho capito in un attimo guardando (ricordarsi a questo punto di assumere un’espressione teatralmente estatica) i tuoi occhi: tutto sembra ruotare attorno alle tue piccole orbite, amore mio”. Passerete per ruffiani di prima categoria, ma i ruffiani adulatori piacciono, oh se piacciono; e voi in questo diverrete maestri;

– cultura: non esagerate mai. A nessuno piace sentirsi denigrato, e meno che mai attraverso la sicumera dei libri. Adulare facendo avvertire un interesse filosofico per l’altro è una cosa che lusinga, schiacciarlo con il peso di un’autocelebrazione provoca solo un forte senso di rabbia e di competizione. Esercitatevi perciò a lungo prima di intraprendere questa strada (ma forse queste raccomandazioni sono inutili perché esagerare voi non lo potreste giammai);

– televisione: già è deprimente di suo, se poi vi ci mettete anche voi. Ad ogni modo fate sempre attenzione acché la vostra preda non si accorga che siete un teledipendente accessoriato occasionalmente di un encefalo. Bisogna arrendersi all’evidenza: un individuo siffatto che si trastulla in pantofole davanti ad un elettrodomestico non risulta affascinante;

– riunione del condominio: non aggiornate mai l’altro sulle eccitanti novità che si preparano nel vostro abitat, comunque non invitatelo mai ad assistere alle performance con cui di trimestre in trimestre vi battete eroicamente per difendere le vostre idee;

– sesso: alle donne, si sa, il sesso piace farlo ma non parlarne. Gli uomini invece ne fanno poco e ne parlano molto. Evitate comunque dal principio apprezzamenti troppo arditi (“bella maiala vorrei assaggiarti tutta leccandoti come un cono al pistacchio”) e commenti esageratamente espliciti (“ma lo sa, signorina, che il suo magnifico postero non manca di tormentare i miei pensieri?”);

– bollette del telefono: dovete sforzarvi di cambiare la brutta abitudine di angosciare i vostri simili con siffatti ragionamenti. Reprimete pertanto tali bestiali istinti, e rassegnatevi: non frega un cavolo a nessuno della diligenza con cui assolvete agli impegni quotidiani;

b) Discorsi concessi:

– poesia e filosofia: al prossimo piace sentirsi partecipe e oggetto dei buoni ragionamenti. Imparare a farli non è complicato a patto che vi armiate di un poco di pazienza facendo vostre alcune piccole astuzie. Innanzitutto, dato il vostro disinteresse per la materia (non state infatti studiando per diventare dei perfetti maiali?) e dato pure che dell’altrui vi interessa solo quella parte compresa tra l’ombelico e il coccige, non è assolutamente necessario che diventiate un’enciclopedia, basterà che impariate a memoria alcuni semplici passi delle opere maggiormente conosciute, curando di ripeterle con la drammaturgia con cui si legge l’involucro dei cioccolatini (del tipo: “il bacio è un apostrofo rosa posto …”). Più complesso è muoversi alla ricerca degli autori giusti: Platone è sempre apprezzato, Spinoza mai. Evitate gli scrittori medievali (Bonaventura, Anselmo mancano di quella morbosità o è comunque occultata dai buoni ragionamenti che state disperatamente cercando di stimolare), e rivolgetevi invece al sempre attuale Leopardi (“Tornami a mente il dì che”, “Dolcissimo possente dominator”). Petrarca non è mai completamente intelligibile, meglio è ripiegare su Alberoni, Recalcati e compagnia: anzi proprio su quest’ultimo e farete un figurone;

– denaro (solo se ne avete molto): l’argomento denaro ha indubbiamente un suo fascino. Non è però necessario che mostriate al primo incontro il vostro conto in banca (il successo sarebbe assicurato, ma voi siete dei cacciatori ortodossi e non volete essere amati per i vostri soldi), basterà che invitiate la preda ad un romantico fine settimana sul vostro panfilo, facendo delicatamente intendere dove lo tenete ancorato (Portofino), e portando magari il discorso sui dipendenti (diciotto) che lo accudiscono;

– cinema, mostre, teatro: le persone normali amano divertirsi, e voi questo lo sapete. Se i mezzi non vi mancano vedete allora di darvi da fare. Al cinema evitate i films volgarotti (del tipo “Lecca lecca al cioccolato per mia moglie”, “Cappuccetto Grosso”) e sempre comunque quelli che mostrano all’insegna un inequivocabile “vietato ai minori di anni diciotto”, ripiegando piuttosto sulla commedia americo-italiana. Trascinate quindi l’oggetto dei vostri desideri di esposizione in esposizione (dai fiamminghi agli artisti concettuali) facendo intendere di saperla lunga in fatto di arti figurative. A teatro mostratevi appassionati (anche quando avvertite che i vostri cosiddetti scivolano dall’orlo dei pantaloni), e ai concerti sempre entusiasti;

– sentimenti: alle femmine in particolare piace sentirsi apprezzate per le doti spirituali che suppongono di avere. Non deludetele. Anche loro non desiderano che l’amplesso, solo che non amano chi glielo ricorda. E’ infatti molto più pratico rivolgersi a una fanciulla dicendo “amore mio, sei meravigliosa”, piuttosto che apostrofarla con un diretto “bella manza, mi tiri un casino”. E’ insomma importante che rinunciate al vostro rude primitivismo: le donne, mettetevelo bene in testa, a differenza di voi sono esseri delicati e sensibili. Basta però imparare il trucco e sostituire al brutale “scopiamo?”, un meno indigesto “ti amo”. Un po’ di tatto, e che cavolo!;

– galateo e buona educazione: le buone maniere sono sempre un comodo viatico verso l’amore. Semplici regole come cedere il passo o versare il vino in tavola non mancano a tutt’oggi di suscitare apprezzamenti e una sincera ammirazione. Fate attenzione però a non tradire mai la vostra vera natura animale, basterà che una sola volta apostrofiate la signorina che vi vende le rose con tali imprecazioni: “fuori dalle balle prima che ti prenda a calci”, per vanificare gli sforzi compiuti. Sarà chiaro infatti che avrete soltanto recitato e che in fondo non siete altro che un essere schifoso e ripugnante;

– progetti e amenità varie: mentire è una buona condizione dello spirito. Soprattutto se nelle menzogne si è tanto abili da includere l’oggetto del desiderio. Perciò sparatele grosse: matrimonio, figli, mutuo e non fatevi prendere dagli scrupoli. Avete infatti come unico comandamento il vostro piacere e la sua soddisfazione, e voi siete solo dei luridi individui che stanno studiando il modo per peggiorarsi.

4) Istruirsi non è obbligatorio. Sappiate però che il potere (e con esso il fascino) cresce in proporzione a quello della conoscenza. Non c’è bisogno che vi pieghiate sui libri per anni interi, basta un piccolo sforzo. Non solo potrete continuare nelle vostre turpitudini, ma sarete addirittura apprezzati. La vostra ora di studio andrà pertanto così organizzata:

– dieci minuti di storia: accontentatevi degli eventi più importanti dell’umanità. E’ inutile sfoggiare nozioni di epoche noiose e lontane, è meglio concentrarsi sull’ultima guerra e con enfasi sui pericoli imminenti di un nuovo conflitto;

– dieci minuti di filosofia: è sempre di grande effetto citare questo o quel filosofo, questa o quella teoria. Gli autori consigliati sono: Platone (già il nome incute rispetto), Kant e Heidegger (tanto non dovete mica leggerli, basterà che diciate del primo che era un ossessivo abitudinario e dell’ultimo che era un ontologo;

– dieci minuti di letteratura: di Dante bastano i versi “Amor, che a nullo amato amar perdona” e “Amor condusse noi ad una morte”. L’impatto drammaturgico sulla vanità dell’altrui è garantito. Ottimo è anche Lorenzo il Magnifico e il Werter di Goethe (anzi proprio quest’ultimo andrà memorizzato e citato con un tono teatrale). La regola rimane però quella di non strafare;

– dieci minuti di scienza (la matematica non ha importanza, nessuno mai vi chiederà di risolvere un’equazione di ottavo grado): basterà che dimostriate di sapere che esistono gli atomi, e che non confondiate il fegato con l’osso dell’avambraccio;

– dieci minuti di psicologia: le donne soprattutto apprezzano particolarmente chi dà prova di poter leggerle nell’animo. E’ voi leggetele. Piuttosto che di Freud, servitevi però di Jung, Adler e (se lo capite) Lacan: la reazione, vedrete, sarà sconvolgente;

– dieci minuti di teologia: sono indispensabili. E’ l’unico modo per convincere la vostra dubbiosa e religiosa preda che anche a Dio piace il sesso (vedi il Cantico dei Cantici).

5) Prodigarsi per guadagnare molto denaro è un’ottima cosa. Anche coloro che si dicono indifferenti in fondo lo adorano, anzi sono proprio questi i peggiori, quelli che non possono farne a meno. Leciti o illeciti che siano tutti i mezzi sono buoni. Non importa se dovrete rovinare un amico o se vi renderete responsabili di orribili delitti: l’importante è raggiungere lo scopo. Solo questo conta. In fondo voi non desiderate altro che diventare un porco e col denaro potrete finalmente realizzarvi:

– acquistando molti libri e con essi stupire la più tenace nonteladò delle vittime;

– vestendovi con un minimo di decenza. Agghindati con abiti di lusso ben stirati e lavati riuscirete forse a nascondere che in realtà siete repellenti;

– accumulando altro denaro e poi con questo altro ancora, riuscirete sempre più con le vostre squisite doti umane ad affascinare l’ingenuo e disinteressato oggetto dei vostri sogni;

6) imparare come si comportano gli individui civili è oltremodo necessario. Ma voi siete esseri vomitevoli e volete naturalmente continuare a rimanerlo. Non vi sarà richiesto di imparare l’intera arte del galateo, basterà che assumiate nei vostri quadrupedi comportamenti quelle basilari regole di decenza che vi consentiranno di stare al tavolo con le persone normali senza suscitare in esse un viscerale e più che giustificato disprezzo. A questo scopo dovrete in pubblico fare attenzione a:

– non tagliarvi le unghie al cospetto di chicchessia, e giammai quelle dei piedi. Le convenzioni sociali sono spesso esasperanti e questa forse le supera tutte in fatto di formalità. Pazienza, l’amena e gradevolissima pratica potrete comunque sempre esercitarla in privato;

– non cavarvi il cerume dalle orecchie o estrarre dal vostro organo olfattivo le severe considerazioni che elucubrate sul mondo. Quanto all’oggetto della ricerca (se proprio non siete riusciti a contenere il fisiologico bisogno), che altri chiamano chissà perché pallina, non andrà appiccicato sul bavero del prossimo, e meno che mai introdotto nuovamente per il canale nutritivo con il pur umanitario scopo di non disperdere parti tanto importanti del vostro Io;

– non sputare, né ruminare in faccia dell’altrui, scatarrando minacciosamente a destra e a sinistra il materiale purulento che vi ammorba i polmoni, dando così l’errata e preconcetta impressione al vostro prossimo di non essere poi tanto gradito;

– non togliervi in luogo affollato lo scarpone da montagna, ravanando poi nel pedalino per estrarre dai digitali interstizi il bendidio che madre natura ha posto in essi con sudata attività. 

– a tavola con l’altrui, non intestardirsi mai nella propria bocca inserendo con caparbietà la mano fino al polsino (non tanto per la di voi bocca, quanto per l’altrui persona), estraendone curiosi rimasugli di pasto;

– non offrire mai ad alcuno il proprio stuzzicadenti usato, benché nettato e ripulito con scienza certosina;

– non dare mai pubblica prova del singolare meteorismo di cui andate giustamente fieri, e della flatulenza che caratterizza da sempre il vostro simpatico carattere: non tutti sono in grado di comprendere siffatte piacevoli manifestazioni dell’Io;

– evitate di vomitare in pubblico le sette pizze divorate la sera prima e ancora pressoché intatte, raccogliendole magari in un sacchetto così da rigustarle nella solitudine del vostro primitivo abitat. Dovete rendervi conto che vivete nell’era del consumo, e pochi davvero sono in grado di apprezzare il puntiglio di una tale economica attività.

Se avrete messo in pratica le semplici regole di questa prima lezione (i perfezionisti la arricchiscano con la seconda, gli altri passino direttamente alla terza) siete a buon punto per diventare quello che desiderate. Ricordatevi che imparare ad essere ripugnanti è un’arte, e come tutte le arti richiede dedizione e sacrificio: continuate e si apriranno anche a voi le porte degli inferi (o se preferite quelle del paradiso).

Seguono:

LECTIO SECONDA (dell’arte dell’approccio e della sensuale ricercatezza estetica)

LECTIO TERZA (dell’ineguagliabile arte della menzogna)

LECTIO QUARTA (dell’amplesso – l’arte di fare l’amore)

LECTIO QUINTA (dell’arte dell’abbandono)

Tratto da Lezioni di sesso (il sesso in cinque lezioni)

L’AMORE NEL MULINO BIANCO

La pubblicità è una forma di comunicazione persuasiva; attira, corteggia, stimola l’azione e il comportamento. Il messaggio pubblicitario, breve ma ripetitivo, riproposto all’inverosimile lusinga, lambisce il desiderio, non aiuta però a conoscere. Ha una lingua elementare e emotiva, perché se il prodotto è di largo consumo deve arrivare a chiunque. Una valvola mitralica non necessita di essere pubblicizzata. Il tecnico la compra sulla base di informazioni che dettagliano l’oggetto per quello che è. Non sempre il prodotto è buono, è vero, ma a quel punto ci sono le leggi e una valvola difettosa manda il paziente al Creatore, ma il chirurgo diritto in tribunale. Tra ciò che si dice dell’oggetto e l’oggetto deve esserci una corrispondenza o quantomeno l’articolo è tenuto a rispettare i requisiti minimi di sicurezza e funzionalità. Questo per dire che ci sono prodotti che non richiedono la pubblicità perché la qualità e una buona gestione del mercato li fa vendere e altri invece, la maggioranza delle cose, in cui la qualità risulta marginale per la vendita. Ma è cosa nota, un pessimo prodotto si vende comunque, basta saperlo raccontare. Ci sono cose inutili, di cui non abbiamo bisogno, spesso dannose che vendono moltissimo. Altre più modeste nella comunicazione ma con caratteristiche superiori rimangono sullo scaffale del supermercato. La discriminante che stabilisce il successo di un prodotto è proprio la pubblicità, una buona campagna di marketing non racconta l’oggetto, lo rende desiderabile finché crea il bisogno e spesso anche una reale dipendenza. Quante volte avete sentito dire: mio figlio mangia solo i biscotti del Mulino Bianco? Ecco, non è vero; o meglio la mamma fa in modo che lo diventi. Lasciato il bambino in una foresta solo con i biscotti all’olio di palma, li mangia eccome e magari anche la confezione e la commessa che glieli ha venduti. La cui commestibilità peraltro (parlo della commessa) non è mai stata veramente provata.

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Analizziamo come esempio lo spot di Gavino Sanna: il Mulino Bianco ha acquisito credibilità, racconta una storia (il mulino, il prato, le spighe di grano) e la famiglia pur vivendo isolata, in un’abitazione medievale, in mezzo al nulla è felice perché ha tutto ciò di cui ha bisogno, i biscotti che benché riportino l’avvertenza sulla confezione “non contiene olio di palma”, sono stati  (il più delle volte) maneggiati con lardi idrogenati, edulcoranti e altro ancora; che abbiano inquinato la Salerno-Reggio nel trasporto dal mulino a casa vostra, che il grano provenga da Chernobyl passa come un peccato veniale. Le mamme sanno che l’olio di palma fa male e i pubblicitari lo ricordano loro ogni volta che possono. Non ho mai veramente capito perché non ci sia allora la scritta “non contiene uranio o acido arsenioso”. Vabbè. La pubblicità ha istruito le persone prima ancora delle università e conosciamo i danni che provoca l’olio esorcizzato con una competenza pari se non superiore a quella di un medico internista. Ma il Mulino Bianco è un marchio e un marchio dà fiducia e poi l’ha detto la televisione. Abbiamo votato un pubblicitario per vent’anni, non stiamo parlando del nulla. La pubblicità non veicola solo il consumo, in realtà fa qualcosa di più radicale, racconta l’attualità, non guarda al futuro ma al presente. Le interessano i soldi, quelli che abbiamo ora non quelli improbabili di domani. E’ così racconta storie reali più del reale stesso. Guardando Ernesto Calindri che beve il Cynar al tavolo in una strada trafficata, si capisce subito che siamo negli anni ’50 o ’60, oggi se va bene gli automobilisti ti stirano, dopo ovviamente averti fregato il digestivo. Oppure il povero Franco Cerri che ha vissuto un decennio nella lavatrice per convincerci che stare a mollo nel Bio Presto è meglio che tuffarsi nel mare dei Caraibi; oggi sarebbe un comportamento antisindacale. O ancora il gentiluomo che con una flessione sicula dice alla moglie: “Io ce l’ho profumato”, insorgerebbero le donne del mondo civile. Che dicesi civile proprio perché se anche ce l’hai profumato, non puoi comunque dirlo a nessuno e meno che mai a un esponente del sesso femminile. Per non dire di quella signora che confessava alla nipotina che Gennarino (pur gran lavoratore) non aveva il pesce come Santuzzo suo. Qua si configura proprio il reato di molestia a un minore, e non mi pare poco. Una pubblicità del genere sarebbe oggi improponibile. E’ però inutile dilungarsi, ma tanto ci sarebbe da dire, a cominciare dalla famiglia Boccasana. chiudo questo scritto con alcune immagini promozionali, normali una volta e assolutamente inconcepibili nel nostro tempo. Per inciso, mi piacciono più di quelle attuali; hanno dell’ironia e un nobile artigianato della parola che Oliviero Toscani se lo sogna. La pasta Barilla “ditalini” non scioccava nessuno, veniva richiesta con tanta naturalezza quanto ingenuità. Come quel condomino in uno spot degli anni ’90 che sentita la vicina ricciolina e desiderata gridare  con rabbia: “Esco e vado col primo che incontro”, si fermava davanti alla porta dicendole con un sorriso alla Pozzetto/Johnny Depp: “Buonaseraaaa”. Qualunque mora dai capelli increspati e con un Diavolo per boccolo oggi gli risponderebbe: e tu, che cazzo vuoi?

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Il mio preferito rimane comunque lui

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il video alla pagina

Un mio maldestro tentativo di spot pubblicitario (booktrailer)

Renato Pozzetto, i libri, l’omosessualità

LE OMBRE DELLA PERVERSIONE

La parola perversione viene dal latino perversum e richiama a uno stravolgimento non tanto delle regole ma del senso comune o del comune sentire. La società si dà delle norme, anche nel campo sessuale e l’individuo si adegua. L’adeguamento è immediato prima ancora che mediato dalla legge che pure vigila coi suoi apparati medici piuttosto che con quelli giuridici. E tuttavia come si dice fatta la legge trovato l’inganno, perché il piacere è anarchico e dove ci sono le regole il desiderio esplode o implode a seconda dell’educazione che il singolo ha avuto. Quando implode abbiamo tecnicamente una perversione; se il fenomeno diventa sociale il rischio concreto è la rivoluzione. L’apparato medico dello Stato si mette all’opera e diagnostica una perversione di massa. Come ha fatto Massimo Recalcati rinvenendo una nevrosi tra coloro che hanno votato no a una consultazione popolare (19 milioni di degenerati). La politica perversa diagnostica la perversione nel dissenso e tutto finisce a tarallucci e vino. Le cose però cambiano, i costumi pure, l’omosessualità non è più una deviazione neanche per il DSM e quelli che erano atti fuorvianti dalle regole vengono assorbiti dalle regole stesse. Tra le stranezze attuali nel campo sessuale appunto le seguenti, con la speranza e il timore che prima o poi vengano percepite come qualcosa di normale. Anzi di naturale, che suona meglio. L’industria del sesso non da oggi ha dato una risposta a tali bisogni e l’intimo, quella che una volta era l’intimità ha finito per riempire gli scaffali dei supermercati. E non solo. Come si può vedere nel The Sex Machines Museum nella città vecchia di Praga. (E che ho raccolto in dettaglio in Consigli, amenità e facezie sopra l’esercizio del meretricio e dei lupanari.)

Insomma sfogliando l’elenco che segue e la serie di oggetti e libri acquistabili in internet si tratta di normali stranezze o di vere e proprie perversioni?

Formicofilia: il desiderio di essere ricoperto di insetti nelle parti intime. Mysofilia: l’attrazione sessuale verso persone o oggetti sporchi. Infantilismo: il desiderio sessuale nato dal bisogno di indossare pannolini e di essere trattato come un neonato. Acrofilia: eccitazione sessuale in situazioni in cui ci si trova a grandi altezze. Acusticofilia: eccitazione sessuale che deriva dall’ascolto di determinati suoni come mugolii,sospiri, canzoni, frasi o ancora una certa lingua. Agalmatofilia: attrazione sessuale per statue, bambole, manichini e altri oggetti simili. Agorafilia: attrazione per l’atto sessuale consumato in spazi aperti. Altocalcifilia: il feticismo di chi trae piacere dall’osservare o indossare scarpe dai tacchi alti. Coprolalia: devianza che porta un soggetto ad utilizzare continuamente, in modo compulsivo un linguaggio osceno e volgare. Dendrofilia: attrazione sessuale per gli alberi tale da volersi congiungere con essi. Dorafilia: feticismo a causa del quale si prova attrazione e piacere sessuale nel contatto con indumenti in pelle animale e pellicce. Macrofilia: è il desiderio di fare sesso con un gigante. Sitofilia: è il desiderio sessuale che nasce dall’unione del cibo e il sesso. Spectrofilia: è il desiderio sessuale di fare sesso con un fantasma. Parliamo di Botulinonia quando salami, salsicce e wurstel vengono usati come surrogati sessuali. Tripsolagnia: piacere che deriva da un semplice massaggio alla testa. Agonofilia: eccitazione sessuale che deriva dalla lotta o dall’osservazione di persone che combattono come nel wrestling. Amartofilia: eccitazione sessuale derivata dalla convinzione che le azioni che si stanno compiendo siano fonte di peccato e di perdizione. Anisonogamia: attrazione sessuale verso partner con grande differenza d’età, molto più anziani o molto più giovani. In ambito femminile viene definita gerontofilia l’attrazione per partner maschili significativamente più datati. Chelidolagnia: provare piacere sessuale disprezzando il partner. Aggiungerei all’elenco anche l’attrazione per Barbara D’Urso. quella davvero mi sembra una perversione. Ma tant’è…

 

 

LIBRI CURIOSI (che ho comprato in Rete)

1) Extreme Ironing – Stiratura estrema
di Phil Shaw

2) Pets with Tourette’s – Animali domestici con la sindrome di Tourette

di Mark Leigh

3) Learning to Play With a Lion’s Testicles – Imparare a giocare con i testicoli di un leone
di Melissa Haynes

4) 5 Very Good Reasons to Punch a Dolphin in the Mouth – 5 ottime ragioni per dare un pugno in bocca a un delfino
di Matthew Inman

5) How to Raise Your I.Q. by Eating Gifted Children – Come aumentare il tuo Q.I. mangiando bambini intelligenti
di Lewis B. Frumkes

6) Chi me l’ha fatta in testa?
Edito da Salani

7) Chi ha mangiato la mia fetta di pizza? Giuro su Dio che se le hai mangiate tutte sparo alla tua stupida faccia
di J. Hunter

8)  La posizione del missionario: Madre Teresa in teoria e pratica

9)Giochi che puoi fare con la tua …. L’autore forse però intendeva “pussy” nel senso di gatto

10) Tutto quel che so sulle donne l’ho imparato dal mio trattore

11) Immagini con cui non dovresti masturbarti

12) Fai in casa i tuoi sex toys

13) Il libro tascabile delle erezioni

14) Guida per principianti al sesso nella vita dopo la morte

15) Bare decorate da costruire da soli

16) Castrazione: vantaggi e svantaggi

17) Mangiare le persone è sbagliato

18) Come avere successo negli affari senza un pene

19) Cazzi e canguri (pochissimi i canguri). Aldo Busi

Mi permetto di aggiungere all’elenco due miei testi

20) Diventare gay in dieci lezioni (de rerum contronatura)

21) Non desiderare la donna d’altri. E chi dovrei desiderare, la mia? Ma l’hai vista bene?

 

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STRANEZZE VARIE acquistabili in internet

– Kit completo per uccidere i vampiri; 4500 dollari. La confezione contiene: una boccia di acqua santa, un paletto di avorio, il Nuovo Testamento e altro ancora

– Un fan di Britney ha visto la diva gettare a terra una gomma masticata e non ha perso tempo: l’ha raccolta, e l’ha messa all’asta su eBay. La reliquia gli ha fruttato 263 dollari

– Anima in vendita su Ebay. Prezzo 2000 dollari

– Il 22 Novembre 1963 a Dallas, Lee Harvey Oswald sparava da una finestra al Presidente degli Stati Uniti John Kennedy. La finestra da cui partì il colpo è stata smontata dall’edificio e rivenduta a 3 milioni di dollari

– Toast alla Francese lasciato da Justin Timberlake
La popstar si trovava in un hotel di New York e prima di un’intervista avanzò dalla colazione un po’ di toast alla Francese. Le due fette erano mezze mordicchiate, qualcuno le ha raccolte e rivendute a 36mila dollari

– NIENTE: un prodotto per chi ha già tutto

– Carne di unicorno

– Corno per trasformare il vostro gatto in un unicorno

– Cucce di lusso per cani: costano 200.000 euro

– Borsetta autobloccante, per impedirvi di spendere troppo

– “Kissenger”, accessorio per smartphone per baciare a distanza

– Lattine di aria inquinata, per i Cinesi che sentono la mancanza di Pechino

– Col “profumo di culo” due imprenditori si sono arricchiti

– Occhiali che simulano le allucinazioni da LSD, senza assumere tuttavia la droga

– Slip con finto pene contro i tentativi di violenze sessuali

– Preservativi per cani e gatti

– Finte mutande sporche per nascondere i soldi in viaggio

– Abito da sposa fatto con i documenti del divorzio

– Armature per criceti in vendita su eBay

 

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IL SORRISO DELL’AMORE

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Gli innamorati si avvicinano con la parola e il discorso d’amore non è mai vuoto in quanto nella parola scorre il desiderio; tuttavia c’è un altro fenomeno sempre presente nella scena amorosa, la risata. Lacan ha affrontato marginalmente la questione (rileggendo Marx, in relazione all’umorismo del capitalista, collocava il riso tra plusvalore e plusgodere, definendolo con il neologismo Marxlust. La risata come maschera o distrazione rimanda al significato del potere attraverso il meccanismo che preserva la vita privata a detrimento di quella pubblica; provoca un cortocircuito nel senso, un’assenza di significato come rimando al reale) perché le sue intenzioni primarie sono dirette ad ordinare uno scenario che confermi la presenza piuttosto che l’assenza come fondo sostanziale. Il riso non è il motto di spirito di Freud e non serve solo per una scarica pulsionale; nasce e si risolve piuttosto nella manque-à-être, rimane nelle fenditure del significato dando accesso non tanto all’Altro grande, ma risolvendo l’ordine nella mancanza. Che questa assenza nel discorso sia significativa si vede dal piacere che muove a soddisfare un bisogno primario. Il riso porta oltre il campo della relazione in quanto trabocca dal discorso e richiama all’assenza di un fondamento nella parola. Come una traccia che segna in profondità il linguaggio. Bataille ha inquadrato il problema sul piano antropologico. Descrive la risata come una forma embrionale di sacrificio, qualcosa di sacro in cui le forze distruttrici della dépense sono in azione. Ridendo di qualcuno lo dissacriamo, lo strappiamo all’ordine abituale, lo svuotiamo di senso per consegnarlo al nulla. Lo prendiamo in giro, girandogli appunto intorno senza centrare la verità. La relazione amorosa non è un luogo nel quale trovare la verità, non si tratta di ordinare i termini nella presenza (o nell’identità), pur spostata nel simbolico o nell’immaginario, ma nel vuoto dell’essere e nella privazione di un’identità. L’amore disturba, disorganizza, scioglie e non lega l’Io e l’altro col linguaggio dell’Altro; si presenta piuttosto nel sopraggiungere di un elemento perturbante e disorientante. La risata sacrifica l’altro, non lo conferma: “Il riso comune … è indubbiamente la forma insolente di un simile imbroglio; non è chi ride a essere colpito dal riso, ma uno dei suoi simili quantunque senza eccesso di crudeltà. Le forze che lavorano alla nostra distruzione trovano in noi complicità così felici – e talvolta così violente – che non ci è possibile allontanarci da esse semplicemente perché lì ci porta l’interesse … Certamente questa parola, sacrificio, significa che alcuni uomini, per loro volontà, fanno entrare alcuni beni in una regione pericolosa, in cui infieriscono forze distruttrici. Così sacrifichiamo colui di cui ridiamo, abbandonandolo senz’angoscia alcuna a una decadenza che ci sembra lieve” (Bataille). Non sempre “dove si parla si gode” (Lacan, Sem.XX). Il piacere amplia e dilata la scena amorosa, la prolunga per conservarla nel tempo. Per Lacan il campo della parola è il campo possibile di ogni relazione, del simbolico e dipende da ciò che accade nel linguaggio. Il campo del godimento è quello della pulsione, oltresimbolico, eterogeneo a quello della parola. La materia della pulsione non è quella della parola; è fatta di un composto simbolico, mentre la pulsione ha una natura erogena. Il problema della psicoanalisi consiste nel verificare in che modo la funzione simbolica della parola possa modificare l’economia della pulsione. Con una certa autocritica Lacan dice che là dove prima pensava si comunicasse e si muovesse il senso, in realtà si trova il godimento. Il linguaggio è invaso dal godimento: “quando si parla qualcosa gode”. Lacan imbastardisce il rapporto tra la parola e la pulsione come se la pulsione interferisse con la funzione della parola. Non solo si parla per essere ascoltati; la parola necessita di essere riconosciuta e a un tempo fa anche da veicolo a quello strano godimento che è il godimento della parola stessa, il piacere del parlare. E tuttavia la lingua langue, mentre costruisce un flusso di fonemi rimanda a un venir meno, si indebolisce nell’incedere delle parole; non è solo un pieno di voce ma è composta anche da silenzi, pause, modulazioni, assenze. Quando langue non si verifica una stasi nel desiderio che continua comunque a defluire. Tra gli innamorati in particolare, prima si distorce, poi si carica di nonsense, i neologismi si contraggono in monosillabi incomprensibili, infine interviene la risata e in essa il sacrificio di un ordine nella lingua. Non è un fenomeno marginale, il riso che subentra alla lingua serve a riempire connotandolo di un senso il vuoto delle parole. E così quella che era la dépense, ciò che non serve a nulla si presenta come la “parte maledetta per eccellenza” (potlach), qualcosa di sostanziale che serve a dare continuità al discorso. Per quanto l’uomo neghi la natura, essa ricompare nelle deiezioni, in un gesto che non è solo negazione dialettica, perché nella risata i termini non sono superati come nell’Aufhebung hegeliana. Non si tratta di un superamento, ma di una trasformazione. La “parte maledetta” consegna l’altro ad una natura sconosciuta all’indagine concettuale, il piacere è subordinato e consegue. Il riso, se è di difficile integrazione nella teoria psicoanalitica (se non come motto di spirito), lo è ancora di più nell’indagine filosofica. Pone di fronte all’estrema corruzione del linguaggio e del pensiero, va al di là dell’inconscio, trascina nel luogo in cui si apre una ferita che non può rimarginarsi. Apre uno spazio sconosciuto in cui si respira qualcosa di nuovo, il desiderio non dell’Altro, ma di un oltre. La risata è il momento in cui la conoscenza si arresta di fronte all’esperienza di ciò che è essenziale e che Nietzsche ha raccontato come il grido angosciato di una soggettività felice. Bataille ha maturato la consapevolezza di un’incapacità nel dire l’impossibile, l’estremo, connotando positivamente lo svuotamento dell’Io. La “parte maledetta” rivela che nella natura sia presente un eccesso di energia non canalizzabile. Sempre secondo Bataille l’uomo è dotato di un’energia eccedente; questa “parte maledetta” deve defluire attraverso la nutrizione, la riproduzione, la morte. La risata consente un primo e attuale sacrificio dell’eccedenza, non come appagamento della libido ma in quanto usura e straniamento dall’Io, che è una radicale inesorabile erosione della vita. A un tempo si rivela però anche come una specie di riassorbimento, qualcosa che nasce da quanto c’è di indigesto nel linguaggio, rendendolo assimilabile. E’ una voce che parla dall’infinito prima che dall’inconscio. Più che Freud o Lacan è stato Nietzsche a dare una disincantata spiegazione della risata, in quanto terapia contro la veste restrittiva della moralità logica; una retrocessione innocua dalla ragione così come scorre nel discorso. L’amore -ed è questo il punto- irrompe come una dolce morte che traccia ridendo qualcosa di infinito.

Frammenti di un Monologo Amoroso

(L’amore tra l’immaginario e il reale)