RAZZISMO E FRENASTENIA

Hanno sdoganato tutto in Italia, legittimando il peggio. Ora è il turno della frenastenia e del razzismo. Ma anche della grammatica e della sintassi imbarazzante; perché #Salvini e i fan è così che si esprimono, o meglio ruttano tra una gutturale e l’altra. Nei social come altrove.

Il termine ricorrente è invasione, negro (con la g), rom; segue extracomunitario, meridionale storpiato in merdanale, in leggera flessione Roma ladrona. Una ragione c’è, non si sputa nel piatto nel quale si mangia. Ricorrono i neologismi: sinistrato, cattocomunista (il più delle volte con la k), sinistronzo, sinistrotto, piddino, renzino. L’uso del neologismo ha una funzione particolare, tende a circoscrivere l’individuo in un gruppo e il gruppo in un luogo comune con una lingua incomprensibile fuori dal recinto. Lo stesso accade con le degenerazioni neuronali o psicotiche. Perché di quello si tratta, le mandrie si uniscono attorno al capobranco che promette ordine e qualche benevolenza. La parola ordine ha una natura apotropaica e curativa quando l’Io perde le sue funzioni. Le parolacce la fanno da padrone: caxxo (con la x), rottinculo, checca, negrodimerda, terrone qualche volta. La grammatica latita, ma si tratta di gente laboriosa, non di intellettuali che hanno tempo da perdere con i dettagli. I concetti sono ridotti al minimo: gravitano attorno a poche idee, confuse neanche tanto; la prima attorno alla quale ruotano le altre è la paura per l’uomo nero che ti tiene un anno intero (come nella filastrocca). La medicina che gli accoliti propongono è il rimpatrio, la galera, la frusta a volte per gli indesiderati. La dinamica della discussione è pressoché la stessa: il mentore scalda gli animi con una domanda retorica e l’esercito infuriato parte in battaglia. Non c’è posto per la discussione, la regola è che a casa nostra facciamo come ci pare e se non vi sta bene fora di ball. Il Capitano commenta poco e quando compare sembra un bulletto di periferia che si mette alla guida fomentando la massa inferocita. Non stempera le animosità, istiga piuttosto con un’ironia che a lui sembra sottile, ma che non va al di là della volgarità di certi film anni ’70; la mandria fa muro e tutti insieme si riuniscono a mangiare polenta e osei. I luoghi comuni la fanno da padrone; un luogo comune è un pensiero che fa riferimento a un’abitudine culturale maturata nel sentire popolare. La realtà è un’altra cosa, ma quando c’è un limite cognitivo la comprensione viene filtrata da un’idea tanto diffusa da sembrare verosimile. La verosimiglianza è però lontana dalla verità, come la demagogia e la retorica dalla politica. Non si tratta solo di una disfunzione semantica indotta dalla mancata padronanza del vocabolario, ma di una profonda degenerazione neuroantropologica. Si sente nell’assenza del senso delle parole e appunto nel prevalere dei luoghi comuni. E vengo al punto: la demenza neurolinguistica è caratterizzata dalla perdita del significato e dal deterioramento cognitivo; è una manifestazione clinica della degradazione lobare frontotemporale, associata all’atrofia del giro temporale inferiore e medio.

Le persone affette presentano problemi nella denominazione e nella comprensione di parole, nel riconoscimento dei volti, delle cose, delle situazioni, della realtà; la predominanza del verbale o non verbale (e nel nostro caso delle gutturali che dominano sulle articolazioni mature della lingua) riflette l’accentuazione dell’atrofia cerebrale. Alla distruzione del linguaggio si accompagna quella della personalità e a seguire la dimensione sociale dell’individuo. L’aggressività, la violenza, l’odio sociale verso un fantasma immaginario e minaccioso è uno dei morfemi dello stato paranoico di un poveretto che ha smesso di desiderare in maniera sana e consapevole e ha cominciato a odiare.

#estinguetevi

RUTTO LIBERO

BOSSI DI SEPPIA
“Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non rubiamo.”
Ingenuo Montale

 

Da tempo sfoglio la pagina di un noto politico. Su quel profilo il termine ricorrente è invasione o clandestino, segue extracomunitario, in leggera flessione Roma ladrona. Una ragione c’è, non si sputa dove si mangia. I neologismi si sprecano: sinistrato, cattocomunista (il più delle volte con la k), sinistronzo, sinistrotto, piddino, renzino. Buonista. L’uso del neologismo ha una funzione particolare, tende a circoscrivere l’individuo in un gruppo e il gruppo in un luogo comune con una lingua incomprensibile fuori dal recinto. Lo stesso accade con le degenerazioni neuronali o psicotiche; perché di quello si tratta, le mandrie si recintano intorno al capitano che promette ordine e qualche benevolenza. La parola ordine ha una natura apotropaica e curativa quando l’Io perde le sue funzioni. Le parolacce la fanno da padrone: caxxo (con la x), rottinculo, checca, negrodimerda. La grammatica latita, ma si tratta di gente laboriosa, non di sfaccendati che hanno tempo da perdere con i dettagli. I concetti sono ridotti al minimo: gravitano attorno a poche idee, confuse neanche tanto; la prima attorno alla quale ruotano le altre è l’invasione da parte dell’uomo nero. La medicina che gli accoliti propongono è il rimpatrio, la galera, la frusta a volte per gli indesiderati. La dinamica della discussione è pressoché la stessa: il leader scalda gli animi con una domanda retorica e l’esercito infuriato parte in battaglia. Non c’è posto per la discussione, la regola è che a casa nostra facciamo come ci pare e se non vi sta bene fora di ball. Il condottiero commenta poco e quando irrompe lo fa come bulletto di periferia che fomenta la massa inferocita. Non stempera le animosità, istiga piuttosto con un’ironia che a lui sembra sottile, ma che non va al di là della volgarità e del rutto; la mandria fa muro e tutti insieme si riuniscono a mangiare polenta e osei. I luoghi comuni abbondano; un luogo comune è un pensiero che fa riferimento a un’abitudine maturata nel sentire popolare. La realtà è un’altra cosa, ma quando c’è un limite cognitivo la comprensione viene filtrata da un’idea tanto diffusa da sembrare verosimile. La verosimiglianza è però lontana dalla verità, come la demagogia e la retorica dalla politica. Non si tratta solo di una disfunzione semantica indotta dalla mancata padronanza del vocabolario, ma di una profonda degenerazione neuroantropologica. Si sente nell’assenza del senso delle parole e appunto nel prevalere dei luoghi comuni.

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E vengo al punto: la demenza neurolinguistica è caratterizzata dalla perdita del significato e dal deterioramento cognitivo; è una manifestazione clinica della degradazione lobare frontotemporale, associata all’atrofia del giro temporale inferiore e medio. Le persone affette presentano problemi nella denominazione e nella comprensione di parole, nel riconoscimento dei volti, delle cose, delle situazioni, della realtà; la predominanza del verbale o non verbale (e nel nostro caso delle gutturali che dominano sulle articolazioni mature della lingua) riflette l’accentuazione dell’atrofia cerebrale. Alla distruzione del linguaggio si accompagna quella della personalità e a seguire la dimensione sociale dell’individuo. L’aggressività, la violenza, l’odio razziale e sociale verso un fantasma immaginario e minaccioso è uno dei morfemi dello stato paranoico di un poveretto che ha smesso di desiderare in maniera sana e consapevole e ha cominciato a odiare.
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Da Gli italiani il sesso (la rivoluzione) lo fanno poco e male

 

GRAZIE

Amazon oggi mi ha scritto che è ancora il più venduto.  Che Tolstòj mi perdoni. Grazie a chi l’ha acquistato.

Anteprima     https://goo.gl/cU4NuY

 

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Baciami stupido. Perché? Lo dicevo che eri stupido.

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Versione cartacea

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Ebook MondadoriHoepliIbs

gli itaGliani (tombeur de femmes)

“Strani questi italiani: sono così pignoli che in ogni problema cercano il pelo nell’uovo. E quando l’hanno trovato, gettano l’uovo e si mangiano il pelo.” Benedetto Croce

GRATIS oggi e domani, il libro (completo) lo potete scaricare alla pagina https://www.amazon.it/dp/B01LJYLB58

copertina

Gli ITAGLIANI

gentiluomini e mascalzoni

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tombeur de femmes

La seconda parte del libro ha un nome sedizioso, Tombeur de femmes. Sono massime e sentenze, uno sfottò per un popolo vittima di luoghi comuni, che tuttavia vive di furbizie e si prende troppo sul serio, difendendo senza vergogna le vicende anche più imbarazzanti della sua storia recente. Da un’altra latitudine le cose si vedono meglio; come i cugini francesi che con qualche ragione ricordano al sussiego degli italiani che les cimetières sont remplis de gens qui se croyaient indispensables. (Dalla prefazione)

Siamo il popolo del “non sono stato io”. Lo diciamo per giustificarci e svincolare dalle responsabilità; da piccoli è la regola e un buon sistema per sottrarsi al battipanni. Da grandi un po’ meno, per quel decoro che sopraggiunge a ricordare che siamo pur sempre adulti e che l’utensile di mamma non fa più paura. Ma sempre lo pensiamo, sdoppiandoci come in un riflesso in cui la colpa non è mia, ma di un altro. Quello là, che non mi piace, che non soddisfa gli intimi desideri di perfezione. I bambini sono diretti, si limitato alla negazione, l’altro non completa la relazione e comunque non sottrae alla punizione. Una mamma in guerra non si lascia deviare dai fantasmi inesistenti, riconosce il nemico e lo va a cercare in trincea. Gli adulti imparano la proiezione, sottile e non sempre riconosciuta. Lo spostamento anche, ma è pure quello una forma di proiezione. In sostanza: siamo codardi per un innato istinto alla sopravvivenza, impariamo ad esserlo da piccoli, ma con meno coraggio di un bambino che davanti al plotone si limita a dire “non sono stato Io”. Troppo comodo dare la colpa a un altro e una mamma in assetto bellico non si lascia ingannare. Gli adulti, nella dilatazione del loro Io in un contesto culturale più ampio danno luogo a quella struttura della società che chiamano stato. Non per niente così l’hanno nominato; quando fanno una marachella nessuno sa chi sia realmente e per l’appunto stato. Eccetto le vittime della proiezione. Sempre loro, le donne, i negri (con la “g” che rende meglio); qualche politico di comodo. Gargamella e Amelia si accodano alla lista a ricordare che il bambino è pur sempre sopravvissuto al battipanni di mamma.

STAI COMPOSTO!

A scuola insegnavano a stare composti. L’educazione cominciava nel disporre il corpo in uno spazio abitato da altri corpi. La postura limita l’Io e lo predispone ad occupare un campo affettivo e relazionale. C’era però qualcosa in più in quei richiami delle maestre, si imparava non solo a non invadere uno spazio comune, ma ad interagire nel vuoto tra un corpo e l’altro. Stare composti voleva dire disporsi con ordine, con misura, avvicinare con leggerezza l’altro riconoscendolo presente. Oggi entri in aula e vedi piedi sui banchi; non stupisce che quegli stessi allievi rispondano male all’insegnante. L’io e le sue funzioni intellettuali si esercitano nel corpo. Un corpo che ha imparato a relazionarsi con lo spazio abitato da altri corpi è ben disposto. Quando una persona ha un carattere ruvido si dice che è indisposta e l’indisposizione rimanda a una rigidità di senso priva di morbidezza. Quella morbidezza è ciò che chiamiamo etica; l’amore dipende da quella prima esperienza che ordina l’Io e le sue passioni.

Gli italiani non sono un popolo rivoluzionario. Non per convinzione, piuttosto per innata indolenza e scarsa propensione al movimento. Vogliono una ricetta che curi i malanni, un farmaco indolore. Niente a che vedere coi cugini francesi, gli italiani sono per la Presa della Pastiglia. La rivoluzione di cui sono capaci è tutta qua.

Tdf/21

La storia italiana non ha mai avuto così tanti rivoluzionari da quando c’è Facebook. Ho visto gente inferocita giustiziare despoti, autocrati e miserabili anche con tre punti esclamativi. Tdf/33

Ciò che mi piace di questo paese è che quando i milionari divorziano vengono spennati dalle mogli. E con quelle non c’è paradiso fiscale che tenga.

Tdf/59

La sindrome dell’arto fantasma procura dolore alla gamba anche quando è stata amputata. Quello che non c’è fa comunque sentire la sua presenza; non si tratta dell’ostinazione a non riconoscere la mutilazione, il fastidio si sente ed è un fatto reale. Ma l’arto non c’è e anche questo è innegabile; dobbiamo allora supporre una memoria che rimane nel corpo al di là di ogni ragionevolezza. E vengo al punto: lo stesso fenomeno si verifica su più piani; Dio è morto da qualche anno ma sembra stia meglio di prima. Almeno in Italia e con quel che comporta sul piano legislativo. Con la politica siamo arrivati a forme paradossali: chiamiamo democrazia e libertà il nostro vivere civile, quando non sono che la memoria storica di un arto fantasma. Un po’ per abitudine e più spesso per indolenza ci siamo accomodati su quelle stampelle. Come nell’apologo di Jung, nel quale un bimbo col sacchetto di ciliegie si incammina dicendo: ne mangio una e conservo le altre a mio papà, ne mangio un’altra e lascio il resto per il papà. Il bambino arriva a casa col sacchetto vuoto, ma con la certezza di avere portato le ciliegie al padre. La democrazia non è un fantasma e il corpo senza la gamba fa comunque fatica a reggersi in piedi; è interesse però di qualcuno continuare a far percepire la presenza di quello che non c’è. Si tratta di un’informazione corrotta; giornalisti lacchè che raccontano al popolo che non manca di nulla. Quel tanto che basta per convincerlo a sentire l’arto anche quando gliel’hanno tagliato.

Funziona così in Italia: “ogni mattina un cretino e un furbo si svegliano. Se si incontrano, l’affare è fatto”.

Tdf/223

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MEMORIE DI UN SEDUTTORE

Ogni notte inventerò una bugia, ma farò in modo che ogni mattina diventi una verità.

Improbabile ma verosimile, è questa la natura di un seduttore. Di essere rappresentativa, istrionica, affabulatoria. Non vera ma credibile, plausibile prima che possibile. Più che reale quindi, perché la realtà è poco scenografica e plateale. Ero cosciente di questa cosa e ingannavo me stesso prima che gli altri. Seducevo perché avevo un rapporto conflittuale con la verità. .

Può un uomo amare qualcosa che non rappresenti se stesso?

Un giorno la lasciai, per noia. Nei suoi occhi vedevo i miei e io non mi ero mai piaciuto.

Un seduttore accarezza quella parte dell’Io che manca all’Io stesso. Afferra ciò di cui è assente completandolo nell’immaginario. Il seduttore è necessario a chi è mancante del sogno, gli dà forma e sostanza. Lambisce il vuoto lasciato da un desiderio inespresso. Ma è appunto un venditore di niente, gradevole a volte, deleterio e nocivo altre. Perché prima o poi ci si sveglia e quello che era un sogno continua a rimanere tale.

Ogni notte inventerò una bugia, ma farò in modo che ogni mattina diventi una verità.


Egidia Rossi era una bellezza antica. Anche nei modi, con quel rossore che la svelava fragile e il garbo nello sguardo che avevano certe donne di una volta. Riservata, pronta a sostenere le sue ragioni ma anche ad ammettere i torti. Accompagnava le parole abbassando gli occhi, come a scusarsi di avere avuto un pensiero. La voce dialettale appena, carezzevole e di un tono familiare, non credo abbia mai graffiato nessuno. Era bella Egidia e sapeva parlare e di più raccontare. E non importa se quello che diceva non era la cosa giusta, perché giusto diventava comunque. Conosceva l’arte della seduzione, che non è fatta di cose vere, ma di favole e parole. E come nelle favole il drago continua a non essere reale ma lo diventa se c’è chi riesce a fartelo sentire e vedere.

Amavo e odiavo quell’essere antinomico. Il suo polimorfismo mi impauriva eppure mi piaceva. Non c’era nessuna finalità in quella sessualità vissuta in un improbabile presente. Godevo l’apostasia di una carne che sentivo finalmente libera, leggera, viva. Il suo corpo demitizzato, svuotato di una storia, concentrato nel piacere era per me fonte di eccitazione e riflessione.

Il seduttore gode di un sesso senza antinomia. Non è un superficiale proprio perché vive nella superficie. Pensa che la realtà si risolva tutta in quello che vede e sente, è un fenomenologo e un agnostico. Non si pone problemi nella relazione in quanto la domanda se la porta dentro, ed è una sola: se esista o meno. E’ mancante di una teleologia sentimentale, che dilata nel qui adesso. L’al di là affettivo non fa parte del suo obiettivo erotico.

Amavo la sua bocca perché ogni volta mi diceva una bugia. Ed era la sola cosa che volevo sentirmi dire.

Desideriamo ciò che non è, quello che non siamo. E più cresce la consapevolezza di tale assenza, che è un vuoto nel nostro essere, più l’eccitazione dilata l’Io. Il desiderio è consapevolezza di una mancanza. Non può esserci erezione senza questo stato nella coscienza.

Le parole svuotano i corpi e li rendono penetrabili. Quando si desidera anche il corpo diventa un ostacolo. E così la spogliavo con la lingua. Volevo la sua carne ma sentivo che era fatta di parole.

Stavamo nudi a guardarci come fosse la cosa più naturale del mondo. Era tutto così banalmente ordinario nello straordinario intreccio di quelle labbra. Che si erano incontrate per caso e da allora non avevano smesso di baciarsi.

Si seduce per stupidità e fragilità. Perché non si sa amare. Perché la seduzione impegna una piccola parte del proprio essere. E quella parte, guarda caso, è quella meno seduttiva. Un seduttore ama se stesso, è concentrato nel proprio Io. La seduzione è l’antitesi dell’amore, è paura dell’altro.

Mi chiese di farla godere con la bocca. Le dissi che l’amavo.

Tutta la vita avevo cercato di sedurla. Poi ogni un giorno le dissi che avevo bisogno del suo amore e mi buttò le braccia al collo. Era evidente che voleva essere baciata con le parole. Non era una questione di forma, quelle parole mi avevano cambiato, dandomi il modo di incontrarla.

Aveva l’infinito negli occhi e non avevo paura, la guardavo e riuscivo a tenerne lo sguardo.

E’ duro guardarsi dentro e non trovare nulla.

Da CRONACHE DALL’EPIGASTRIO (memorie dalla pancia)

alla pagina http://goo.gl/B8chfL


NON DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI (E CHI DOVREI DESIDERARE, LA MIA? MA L’HAI VISTA BENE?)

Questo libro non ti darà tregua, asciugherà le
lacrime della tua coscienza e inebrierà i suoi rimorsi

Caro lettore è inutile pentirsi, gli inferi comunque ti

attendono. Questione di tempo e presto verrai anche tu
a trovarmi tra i rovi: ti aspetto con voluttuosa
impazienza. Non desideri infatti la felicità? Sappi allora
che la parola felicità è da sempre una bestemmia e chi la
pronuncia più di un peccatore; non importa che poi tali
individui siano i migliori, rimangono comunque dannati.
Eternamente perduti. Andarci all’Inferno non è tanto
complicato, basta amarla la vita. E magari godersela un
poco. Potrai anche essere una brava persona, ma una
volta sottratto al dovere della croce, finisci lo stesso
per chiaccherare con qualche simpatico diavoletto.
Fattene dunque una ragione, i viziosi come te ancora non
mancano di suscitare lo sdegno e gli anatemi dei
predicatori. Di tutti gli ammorbatori dell’esistenza
(altrui). Non hai scampo, sono inutili le lacrime ed è
superflua la confessione. Ma tu fregatene e impara
invece ad assaporarlo l’odore dello zolfo, abituati a
godere del peccato; gli altri sono già morti, solo che non
lo sanno. Solo che non lo vogliono sapere. Non la senti la
puzza dell’incenso, i vapori maleolenti della morale? Non
ti tormenta la nausea di una simile inquisizione? Ora che
sei ad un passo dalla perdizione non provarci nemmeno a
redimerti. Questo libro non ti darà tregua, asciugherà le
lacrime della tua coscienza e inebrierà i suoi rimorsi; di
tentazione in tentazione ti trascinerà tra i demoni
dell’inconscio più blasfemo, dove si aprono le
temute porte del male. Sarai però in buona compagnia, a
occhio e croce di tutti quelli che hanno fatto qualche
cosa di buono. Di quelli che avranno avuto il coraggio
della felicità. E nel suo piccolo anche del sottoscritto, la
cui anima è irrimediabilmente perduta. Eternamente
dannata.
Dandoti appuntamento laddove gli apostati bruciano da
millenni, la speranza è che questo piccolo vangelo possa
aiutarti, caro lettore, nella definitiva discesa. Nella tua
ultima conversione.
A damnatio memoriae gb

SITO WEB DEL LIBRO  http://nondesiderareladonnadaltri.weebly.com/

DAL MANUALE DELL’ANTIPSCHIATRIA

1Mia-moglie-soffre-di-un 2Mio-figlio-ha-un (2)miamoglie3jpgCara-ho-portato-tua 2stro

DA CRONACHE DALL’EPIGASTRIO

(memorie dalla pancia)

sito web del libro http://cronachedallepigastrio.weebly.com/

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NON RACCONTIAMO LE FAVOLE (agli adulti)

sito internet
giancarlobuonofiglio.weebly.com

Ho sempre avuto più erezioni che stati di coscienza, non ne vado fiero, per carità. Per quanto lusingato, una maggiore comprensione delle cose mi sarebbe stata forse d’aiuto. Il problema è che ho lavorato con le idee per troppo tempo e nessuna è stata capace di darmi quello stato di completezza che ho rivenuto patteggiando con un appetito più antico rispetto a quello della ragione. Non ho mai trovato nulla di sostanziale nel pensiero; mi piace essere un corpo e (per cultura e convinzione) diffido di quelli che parlano di anima o spirito. Nel mio piccolo mondo l’anima è quel che rimane di un uomo quando l’hai privato di ciò che dà piacere e lo spirito non lo prendo in considerazione sotto i 15 gradi alcolici. Sono fatto male, è evidente. Poi però penso ai danni che hanno fatto e fanno coloro che diffondono quella malattia dello spirito che è la metafisica, e in qualche modo mi conforto. Alla fine sono onesto con me stesso e con gli altri. Non racconto favole e quando le sento non posso fare a meno di pensare che in qualche modo mi stiano fregando.
(Dalle confessioni postume di Per me Biancaneve gliela dava ai sette nani)

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Biancaneve e le altre storie alla pagina http://goo.gl/5z2du0

Rigurgiti romaneschi

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LA BELLEZZA DE LE DONNE

‘Na donna è bella quanno ride ma pure quanno piagne, è bella quando s’arrabbia, quanno c’ha le cose sue, quanno nun te rivorge la parola o te bacia, in compagnia o da sola, quanno se dà e pure quando se ritrae. E quant’è bella appena arzata, e specie quanno è senza trucco je poi leggere sur viso il bene che te vole. E’ bella ‘na donna quanno te guarda. Te dà emozioni, attenzioni. Quarche vorta preoccupazioni. Ma è bella pure quanno te rompe li cojoni.

ER ROMANESCO

Er romanesco nun è ‘na lingua, è un modo di guardare ar monno. L’italiano è come er vestito de la festa, che lo metti quanno te voj fa’ bello, ma er vernacolo romano è de più; è l’abito sguarcito de quarcuno che lavora, che puzza d’officina e maleodora. Ché non poi dì a quarcuno che te caca er ca, d’annarselo a pijallo in quella lingua là. Lo devi dire con una parolaccia e le parole je devono sputare ‘n faccia. E pure quanno fai l’innamorato, quanno er petto rimane senza fiato, la donna tua nun è ‘na femmina o pulzella, la devi annominà Rosamiabella! E je lo devi gridà forte, come se le parole uscissero dar core, perché è così che si fa all’amore. Co’ quella lingua che nun ha ambizione parlata ar mercato de rione; quanno tra l’odore de pesce e mortadella, la vecchia ar banco de li fiori te mette tra le mani i su’ boccioli, dicenno: “per voi signorì, che siete bella!”.

 

SITO WEB DEL LIBRO  RIGURGITI ROMANESCHI

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Il libro è presente nello store Mondadori ed è acquistabile online

 

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