“ASSEMBRAMENTO”

Un’altra parola è stata sdoganata: ASSEMBRAMENTO. Non si sentiva dall’epoca del Ventennio e ha sostituito termini come relazioni, affetti, famiglia (il blasonato al governo l’ha sovrapposta anche agli ambienti intimi e domestici). Con una connotazione assolutamente negativa rispetto alla socialità promossa e tutelata dalla Costituzione. Assembramenti sono anche le associazioni, le organizzazioni politiche e le libere espressioni di protesta, anch’esse censurate con l’alibi neanche troppo originale di un virus influenzale.

La stampa igienica e la Tv spazzatura la usano con metodo e anche voi con troppa disinvoltura. Attraverso le parole manipolano il vostro pensare, vi fanno assorbire contenuti che non hanno, veicolando una forma di società autoritaria e priva dei caratteri della solidarietà.

A parte la matrice fascista (o nazimaoista) non sottovalutate il lato semantico. Due o più persone non sono un assembramento, mi sembra una sintesi impropria e riduttiva di una realtà più articolata. L’amicizia, il dialogo, la socialità sono un fatto affettivo. Le aggregazioni politiche il bisogno a riunirsi per dare luogo a un corpo sociale. Le orge, pure loro, non le puoi chiamare assembramenti. Hanno qualcosa di poetico, dipende ovviamente da chi hai dietro. La messa e la scuola anche. Non ho mai sentito dire a nessuno: questa sera vieni a casa mia, facciamo un assembramento. La gente normale cena, si incontra, parla. Ci vuole una mente malata per concepire un gruppo di persone come un assembramento.

Fa tanto mandria o gregge, corpo nelle sole funzioni biologiche. Neanche Marx era arrivato a tanto, da quel che so non ha scritto: proletari di tutto il mondo assembratevi. Eppure questa è la neolingua di un dittatoruncolo spuntato chissà come dall’Istituto Luce. Con mille difetti e un solo pregio, quello di non averne nessuno.

Un giorno si dirà del blasonato: quando c’era lui gli assembramenti arrivavano in orario. Anzi no, credere obbedire distanziare. O meglio: È l’aratro che traccia il solco ma è Casalino che lo difende. Ma forse sui libri di storia verrà ricordato con una sola frase lapidaria: visse un giorno da leone e cento li passò a pecora. Perché può anche capitare che quando vai per fottere vieni fottuto

TORNATE A LEGGERE, CHÉ I SOCIAL VI FANNO MALE

Se parli male ragioni male e ti comporti peggio. La grammatica non è qualcosa di marginale, è l’ordine che diamo al pensiero. I commenti che si leggono in rete su Valentina V. * rilevano un dato statistico interessante: le costruzioni sintattiche più volente hanno una semantica prescolastica, tradiscono la sindrome da deficit fonologico e disprassia verbale ad andamento paranoide e un vocabolario che non va al di là delle cinquanta parole. Niente a che vedere con le grammatiche del quotidiano dei contadini e degli operai del dopoguerra. Quella italiana è una lingua viva, evocativa, sensibile alle flessioni territoriali; gli uomini delle campagne la modulavano con competenza e profondo rispetto per le parole. Nella lingua ordinavano il quotidiano e si davano delle regole. Mi pare invece che questa analfabetizzazione di ritorno, sgrammatica e decomposta, gutturale prima che compiuta nelle forme adulte della comunicazione, fortemente contaminata dal t9 e e da un uso disinvolto di una tecnologia che non si padroneggia sia qualcosa di profondamente diverso. Certo c’è anche chi si cimenta in sottili questioni teologiche: “Dio? Dove era in quel momento?” A cui segue la sentenza implacabile: “Dio non esiste”. Teologia negativa dunque, onore al merito. Articolare vuol dire ragionare, vedere le cose da diversi punti di vista, attingere da un dizionario disomogeneo e variegato. Qua siamo invece alla rigidità del pensiero e della lingua. Se conosci cinquanta parole vedi solo cinquanta cose e il mondo diventa infinitamente piccolo. Sempre in termini teologici c’è anche la “buonista” (la chiamano così i cattivisti): “Chi non ha peccato scagli la prima pietra”. L’argomentazione è forte e meriterebbe due righe in risposta; e infatti arrivano: “Sei qualche parente x caso . La devono ammazzare a sta troia”. Argomento inconfutabile e allora si procede oltre. “Lurida troia”, “bastarda”, “In galera le faranno festa .. !!! Trasferitela a Palermo noi sappiamo cosa farne”. Qua abbiamo proprio uno spostamento verso la filosofia pratica, perché le parole non bastano più e perlamiseria la preda va data in pasto al branco: “Non ha avuto pietà per il bimbo perché dobbiamo averne noi per lei?”. Il noi fa ovviamente riferimento a un’identica percezione delle cose, allo stesso linguaggio: noi, i buoni, siamo nel giusto e perciò giustiziamo. È una questione logica: se sono nel giusto, giustizio e ‘ntuculo alla legge, la legge siamo noi. E allora il gruppo si ricompone: “io butterei ii dal balcone questa e la pena che devi pagare brutta stronza😬😬😬😬😬“, “Ma che dici … Nn capirebbe niente … deve essere bruciata viva”. La regola della comunicazione (in questa come in altre discussioni) sembra insomma consolidata: uno parte con l’aggressione e la minaccia e presto arriva un simile a dare il contributo. I simili, come i coglioni, vanno sempre in coppia e fanno gruppo. Dove c’è un gruppo ci sono tanti “simili” e nella pagina di questa signora (come anche altrove) i “simili” davvero non si contano.

***

* Il fatto è noto: una giovane donna getta dal balcone il figlio e il bimbo muore. Il web si scatena, l’italiano di norma belante col padrone si mostra feroce coi disgraziati. Perché sempre disgraziati comunque sono. I commenti su Facebook nella pagina della donna sono migliaia, ho provato ad analizzarne alcuni. La regola è il punto esclamativo e qua si sprecano: come dire tiè o ‘ntuculu e più ne metti più ‘ntuculo lo prendi. L’italiano, inteso come lingua, latita (nel carattere fa invece sentire la fulgida presenza) e all’assenza del congiuntivo siamo però abituati. Il ke scritto con la k viene inteso come un rafforzativo e la x in luogo di per serve a demarcare la differenza antropologica: la lingua italiana è roba da checche intellettuali (e dunque di sinistra), noi siamo altro, nonrompetecilaminchia. I più imbestialiti invitano alla violenza (bruciamola, se ero io ti ficcavo… vabbè ci siamo capiti), altri, gli apocalittici invocano la giustizia di Dio. Io non sono pratico della materia, ma mi pare di ricordare che Dio fosse agape e misericordia. L’aggettivo puttana è la regola e vuol dire: sei un corpo sessualizzato e dedito al piacere piuttosto che all’amore. Sembra che il piacere svilisca l’amore, bah. Troia, cagna etcc. I commenti più garbati sottolineano il disagio mentale della signora e l’opinionista italiano rivela una insolita preparazione psicoanalitica. Le sentenze più violente (e questa cosa mi ha stupito) vengono dal mondo femminile (70 a 30 direi), bassa scolarizzazione, qualche nostalgico fascista. Alcuni commenti li ho trascritti fedelmente qua sotto; buona lettura.

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C’è quella che dà consigli: Troia puttana 😤 xke ucciderlo xke portarlo in grembo x 9 mesi x poi ucciderlo xkeeeee bestia bastarda devi crepare… Nessuno deve avere pietà di te merdaccia umana potevi portarlo in ospedale e rimanere anonima bastarda

Quella che era meglio se chiudevi le gambe: Solo un essere spregevole ed ignobile arriva a qst….sta piezz e puttana bucchina prima gli è piaciuto aprire le gambe…x nove mesi ha nascosto la gravidanza a tutti dicendo che nn sapeva di essere incinta….ha avuto la freddezza e la lucidità di buttarlo giù…ma che psicopatica di 💩💩💩💩 rinchiudetela in un manicomio e buttate le chiavi….

Quella che è stata in carcere: Brutta puttana di merda spero che alle vallette ti mettono subito una corda al collo dopo averti torturata bastarda che sei non meriti neanche la galera tu… meriti torture e morte… non sei una donna e neanche una mamma perche loro non fanno del male hai propi figli tu invece hai avuto il coraggio di uccidere un anima innocente 😈😈😈 crepa all inferno troia maledetta

Il mistico che invoca il giudizio divino: BRUTTA SCHIFOSA, SEI UNA VERGOGNA, MERITI DI MORIRE DOPO TANTO TANTO DOLORE!!!
DEVI SOFFRIRE….NON HO PAROLE BRUTTA TROIA!!!! GENTE COME TE NON DOVREBBE ESISTERE DIO TI DOVEVA FULMINARE PRIMA!!!

Quella di prima che è stata in carcere e ce l’ha anche con tale Mario R.: Mario R. sei un indegno e infame come XXX che di conseguenza spero che quando la mettono nel femminile delle vallette la appendono con una corda alle sbarre della cella sta puttana infame… e tu se sei il marito sotto falso profilo se…Altro…

Una signora interviene a moderare i commenti: siete solo dei meridionali.

Quello che le donne sono tutte: troia di merda….che tu possa marcire all’inferno insieme a chi ti ha aiutato.

L’esperto del sistema giudiziario: Magari la farà franca uscirà presto farà una comunità di recupero e poi libera….
Ma la gente che incontrerà povera lei meglio che si cambia i connotati

– al rogo

– bruciamola viva
(Due promani)

C’è anche chi prospetta l’eugenetica: Una persona malata di mente non dovrebbe mettere al mondo i figli

– Io penso che la colpa più grande ce l’abbia il marito

– Cosa cavolo c’entra il marito?

– il marito oltre a mettere il cazzo in culo non ha fatto nulla.
(Sillogismo perfetto)

Quella coi punti esclamativi: Sei la peggiore delle speci (e già: se specie è al singolare, il plurale dovrà essere speci)… Non so come definirti,ma sicuramente non sei una madre… Sperò tu marcisca in galera e che ti torturano fino alla fine dei tuoi giorniiiiiiiii !!!!!!!!!!!!

Quello che sei mignotta tu, tua madre e tua zia: Brutta puttana devi morire sia tu che quel figlio di puttana di tuo marito!!! Fate schifo bastardi di merda!!!! Meritate di morire torturati lentamente brutte merde indegne!!!

Grande troiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa se ti terrei nelle mie mani ti farei fare una brutta fine.

Che Dio ti fulmini

Un ardito posta la foto del duce; la didascalia dice: ecco chi ci vorrebbe per salvare questo schifo di paese.(se non ricordo male nell’ultima guerra i morti sono stati 50 milioni, ma non si può pretendere di più)

Quella che la tortura non basta: SE TI AVREI TRA LE MIE MANI TI INFLIGGEREI TALMENTE DI QUELLE COLTELLATE CHE NON HAI IDEA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! MA SENZA FARTI MORIRE!!!!!!!! TI FAREI SOFFRIRE TANTO FINO AGLI ULTIMI TUOI 10 RESPIRI….. POI TI DAREI FUOCO LENTAMENTE!!!!!!! UNA MORTE LENTA ED AGONIZZANTE!!!!!!! E POI TI SQUAGLIEREI NELL’ACIDO!!!!!!!!!!! PER ELIMINARE DALLA TERRA OGNI TUO RESIDUO INUTILE SUPERFLUO! CHE TU PUOI MARCIRE NELLE FIAMME DELL’INFERNO!!!!….. E TUTTO IL TEMPO CHE PURTROPPO RESTERAI SULLA TERRA, DIO TI PUNIRÀ!!!!!…. STANNE CERTA!!!!!! MI AUGURO SOLO CHE TU POSSA FARE UNA LENTA E BRUTTA FINE DATO CHE NON TE LA POSSO FAR FARE IO!!!!!!!!!!

– Purtroppo la giustizia Italiana fà questo , non ce da meravigliarsi se tra un mese o domani anche è agli arresti domiciliari ..

Mario R. (quello con cui ce l’ha la signora che è stata in carcere):
Se ci fosse giustizia in italia le teste di cazzo che stanno qua a commentare non avrebbero diritto di voto

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Ma il commento più bello a mio parere è l’ultimo e lo condivido:

“Io spero che mettano tutti voi in manicomio”.

FASCISMI A CINQUE STELLE

Cari neoliberalfascisti Cinquestelle: eravate partiti con la Gabanelli, Rodotà, Zagrebelsky; avete fatto le barricate per il reddito di cittadinanza; eravate per le rinnovabili, per l’ecosostenibilità; con Gino Strada e per la tecnologia al servizio della democrazia; avete riempito le piazze al grido “onestà”; giuravate guerra all’Ilva e al Tav; vi battevate per i diritti civili e per quelli sociali. Ora ci ritroviamo la Rai militarizzata da una destra incivile, la terra da zappare per le coppie fertili, un reddito di sudditanza che fa disonore alla povertà, le spese morali (e poi chi cazzo è Di Maio per dirmi come devo spendere i soldi?), Lino Banfi, la Cuccarini, Rita Pavone, la democrazia diretta (studiate bestie, quella non è più democrazia, ma fascismo), la democrazia al servizio della tecnologia (dell’azienda del vostro capo), la guerra alla Francia, all’Europa, ai rom, agli omosessuali, alle famiglie alternative e troppe ancora ce n’è. Volevate cambiare il mondo e ci avete consegnato un’Italia incarognita, razzista, povera, con più debito, che ha paura e si difende con le pistole, inquinata e corrotta come una puttana di Caracas. Dopo un esercizio trentennale della professione. Questo comunque si sapeva. Ma che ora giochiate al poliziotto buono con Salvini non va bene, cari neoliberalfascisti, non siete credibili. Alle europee risparmiateci la campagna sui diritti civili, quelle sono cose serie. Siate onesti davvero, per una volta, e presentatevi col vostro alleato; che non è diverso da voi, che è come voi, che con voi e come voi sta trascinando il Paese nella merda.

RAZZISMO E FRENASTENIA

Hanno sdoganato tutto in Italia, legittimando il peggio. Ora è il turno della frenastenia e del razzismo. Ma anche della grammatica e della sintassi imbarazzante; perché #Salvini e i fan è così che si esprimono, o meglio ruttano tra una gutturale e l’altra. Nei social come altrove.

Il termine ricorrente è invasione, negro (con la g), rom; segue extracomunitario, meridionale storpiato in merdanale, in leggera flessione Roma ladrona. Una ragione c’è, non si sputa nel piatto nel quale si mangia. Ricorrono i neologismi: sinistrato, cattocomunista (il più delle volte con la k), sinistronzo, sinistrotto, piddino, renzino. L’uso del neologismo ha una funzione particolare, tende a circoscrivere l’individuo in un gruppo e il gruppo in un luogo comune con una lingua incomprensibile fuori dal recinto. Lo stesso accade con le degenerazioni neuronali o psicotiche. Perché di quello si tratta, le mandrie si uniscono attorno al capobranco che promette ordine e qualche benevolenza. La parola ordine ha una natura apotropaica e curativa quando l’Io perde le sue funzioni. Le parolacce la fanno da padrone: caxxo (con la x), rottinculo, checca, negrodimerda, terrone qualche volta. La grammatica latita, ma si tratta di gente laboriosa, non di intellettuali che hanno tempo da perdere con i dettagli. I concetti sono ridotti al minimo: gravitano attorno a poche idee, confuse neanche tanto; la prima attorno alla quale ruotano le altre è la paura per l’uomo nero che ti tiene un anno intero (come nella filastrocca). La medicina che gli accoliti propongono è il rimpatrio, la galera, la frusta a volte per gli indesiderati. La dinamica della discussione è pressoché la stessa: il mentore scalda gli animi con una domanda retorica e l’esercito infuriato parte in battaglia. Non c’è posto per la discussione, la regola è che a casa nostra facciamo come ci pare e se non vi sta bene fora di ball. Il Capitano commenta poco e quando compare sembra un bulletto di periferia che si mette alla guida fomentando la massa inferocita. Non stempera le animosità, istiga piuttosto con un’ironia che a lui sembra sottile, ma che non va al di là della volgarità di certi film anni ’70; la mandria fa muro e tutti insieme si riuniscono a mangiare polenta e osei. I luoghi comuni la fanno da padrone; un luogo comune è un pensiero che fa riferimento a un’abitudine culturale maturata nel sentire popolare. La realtà è un’altra cosa, ma quando c’è un limite cognitivo la comprensione viene filtrata da un’idea tanto diffusa da sembrare verosimile. La verosimiglianza è però lontana dalla verità, come la demagogia e la retorica dalla politica. Non si tratta solo di una disfunzione semantica indotta dalla mancata padronanza del vocabolario, ma di una profonda degenerazione neuroantropologica. Si sente nell’assenza del senso delle parole e appunto nel prevalere dei luoghi comuni. E vengo al punto: la demenza neurolinguistica è caratterizzata dalla perdita del significato e dal deterioramento cognitivo; è una manifestazione clinica della degradazione lobare frontotemporale, associata all’atrofia del giro temporale inferiore e medio.

Le persone affette presentano problemi nella denominazione e nella comprensione di parole, nel riconoscimento dei volti, delle cose, delle situazioni, della realtà; la predominanza del verbale o non verbale (e nel nostro caso delle gutturali che dominano sulle articolazioni mature della lingua) riflette l’accentuazione dell’atrofia cerebrale. Alla distruzione del linguaggio si accompagna quella della personalità e a seguire la dimensione sociale dell’individuo. L’aggressività, la violenza, l’odio sociale verso un fantasma immaginario e minaccioso è uno dei morfemi dello stato paranoico di un poveretto che ha smesso di desiderare in maniera sana e consapevole e ha cominciato a odiare.

#estinguetevi

LO SFASCISTA

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Adoro quest’uomo, come tutti quelli che si trovano nel posto giusto a dire la cosa sbagliata. Mi piace il suo qualunquismo, la demagogia, persino la sua inconsapevolezza ha qualcosa di poetico. Tre idee in testa, sgrammaticate, sostenute però con la caparbietà di chi non padroneggia i contenuti del pensiero e della lingua. Con la pertinacia di difendere l’indifendibile e tuttavia col candore di chi davvero non capisce. Sguardo spento, non tradisce alcuna articolazione, come coloro che si portano dentro un dolore profondo e non traspare che quello. Un’idea fissa, la rigidità di un pensiero che latita; è come prigioniero della propria identità. Vorrei dire della sua storia, ne avrà pure una al di là quella passata nei palazzi del potere. Limitato il tanto che basta per far carriera, riluttante, violento nel modo corretto per fomentare il rancore nell’elettorato. Razzista, ma pare essere una virtù. Mi piace perché ha l’impudenza di presentarsi come il nuovo; mi piace quel continuo monito alla legalità urlato dai banchi di un partito che qualche problema con la giustizia pure l’ha avuto; mi piace per il tono aggressivo che hanno quelli del popolo e mi piace quella rabbia mai sommersa in un uomo che vive delle istituzioni, con quel che ne consegue sul piano dei privilegi. C’è una strana incoerenza in quest’uomo e mi piace. Mi piace il suo linguaggio elementare, minimo, disartrico per inadeguatezza a una lingua più complessa; quello delle case popolari, della provincia, delle borgate. E dei manicomi.
Mi piace così tanto che copio e incollo alcune delle sue strategiche invenzioni linguistiche:

– Ho scritto al presidente di Atm perché valuti la possibilità di riservare le prime due vetture di ogni convoglio alle donne che non possono sentirsi sicure per l’invadenza e la maleducazioni di molti extracomunitari. E andando avanti così le cose saremo davvero costretti a chiedere dei posti da assegnare ai milanesi: sono davvero una minoranza e come tale va tutelata.

– Il matrimonio è fra un uomo e una donna e i figli nascono da un uomo e da una donna. Senza la famiglia fondata su una mamma e su un papà la società finisce…

– Sapete che la Russia ha scelto di sospendere le adozioni con tutti i paesi stranieri tranne che con l’Italia, perché qui non ci sono coppie gay che possono adottare un bambino. Se è così, viva la Russia.

– Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani. Napoli lebbra, Napoli colera sei la vergogna dell’Italia intera (video https://www.youtube.com/watch?v=5fOaT5PsE4Q)

LA POLITICA DELLE MANCE

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E’ passato un anno dal Referendum Costituzionale, gli assetti politici sono cambiati, il vento della destra xenofoba e filonazista soffia in Europa, ma in Italia sembra che nulla sia accaduto; le strategie sono quelle, le facce le stesse e le promesse anche. Non andiamo al di là degli 80 euro, elemosinati al popolo dopo l’esproprio dello Stato Sociale. La politica delle mance, quella di meglio una pizza in più che niente, non è realismo politico. E’ l’ultimo affronto a un Paese depresso, umiliato, ferito nella dignità. Lo dico agli amici del PD, basta davvero con la politica del pezzo di pane, del voto di scambio, degli impegni  e delle parole non mantenute. Scendete nelle piazze, ascoltate, parlate; evitate i proclami, i tweet, le coferenze stampa. La stampa amica e amica non tanto, perché non vi ha aiutato a capire, a sentire, a ragionare. Basta con una politica ripiegata nel quotidiano, la vita è molto di più e voi non siete amministratori di condominio, non siete pagati per quello, ma per proporre una filosofia dell’esistenza. Una cosa è evidente dal voto referendario, i che avete preso sono composti al 60% da pensionati. Capite? I giovani, il futuro che oggi state svendendo non li avete convinti. E non bastano i post, l’invasione dei social, i gruppi su Facebook a fare loro cambiare idea; sono meglio di quanto crediate. Basta con la politica del pannolone, che giusto quella ancora vi crede, i ragazzi si aspettano qualcosa di più e quel qualcosa in questi anni gliel’avete tolta, a cominciare da come avete trattato il lavoro; vogliono sognare e sognare non vuol dire promettere; ve lo ricordate cos’è un sogno amici del PD? L’avete soffocato nel doppiopetto, l’abito di regime, sotto le barbette incolte, i sorrisi furbi, le strette di mano nei circoli milardari, piuttosto che nelle piazze. Non credo capiate, non potete e non volete; dopo la scoppola referendaria ancora parlate di legge di bilancio, di stabilità, di establiment come se nulla fosse accaduto, anche là nel palazzo. Se vi fa piacere dateci pure dell’accozzaglia o dei gufi, come facevano i signori con i giullari di corte. L’ennesima meschinità di un potere al declino. Era praticamente impossibile fare peggio di Berlusconi, ma siete riusciti anche in quello. Parole inutili, il Paese lo guidate così, non sapete fare altrimenti. Intanto l’80% dei giovani vi ha voltato le spalle e vi rimane l’elettorato del catetere. Il rammarico è tanto e la rabbia pure; e seppure è vero che qualcuno abbia remato contro, resta il fatto che una giovane classe dirigente (Serracchiani, Orfini, Renzi stesso) che qualche attesa l’aveva suscitata, ha portato il partito di Berlinguer dalla politica delle idee a quella delle fritture di pesce, promettendo spiccioli in cambio di voti.

LE FIGURINE DI RENZI

La fake news è una notizia falsa che ha tuttavia la credibilità di una cosa vera. La credibilità più che nel racconto consiste nella capacità di eccitare la fantasia e l’immaginazione, dicendo al pubblico quel che vuol sentire. L’immaginazione produce le immagini, la fantasia partecipa alla formazione dei simulacri ma limitata nell’ambito di un discorso letterario. E’ la letteratura, ovvero la traccia culturale a fornire l’iconografia digeribile al carattere liturgico della mente. La differenza con le allucinazioni è sfumata; nella malattia c’è un coinvolgimento emotivo e un turbamento dei sensi che manca nell’immaginazione. La convinzione che quelle immagini esistano nella realtà. C’è poi un’immaginazione sottile, i cui idola sono certificati dalla dall’abitudine; si tratta di credenze suffragate dai bisogni, dalle carenze intellettuali, dai limiti della ragione. Immaginazione, letteratura, allucinazioni e bisogni portano alla produzione di rappresentazioni che dalla realtà sconfinano nella verosimiglianza assumendo la consistenza della sacralità; e allora diventano un pericolo reale.

Il bisogno è come una fame primitiva, fornisce un corpo alle icone, assorbendo una richiesta intellettuale intollerante alle domande. Le risposte prodotte da tali rappresentazioni ricordano i giochi dell’infanzia che facevamo con le figurine dei calciatori. I quali appunto e proprio in ragione di quella tangibilità del sacro che mettevano in tasca, diventavano idoli. E noi idolatravamo come divinità dei normali seppur bravi giocatori di pallone. Era tutto sommato un’infanzia sana in una devozione che non sconfinava nell’allucinazione; sapevamo con certezza che si trattava di un gioco e soprattutto, pur con qualche reliquia in mano, che la vita è un’altra cosa. Eravamo fenomenologi in sostanza; l’ontologia che fa di quelle immagini qualcosa di vero, non comprometteva il nostro disincanto.

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Le fake news. C’è una tecnica banale nella comunicazione, si tratta di ripetere un messaggio per farlo sembrare vero. Si parla appunto di pubblica opinione, di doxa e non di scienza. Sono decenni che chi sta al governo si serve di questa ordinaria funzione del linguaggio e tuttavia i risultati si vedono, onore al merito. C’è però un limite a tutto, anche all’arroganza. E vengo al cazzaro; l’aggettivo non è mio, se l’è guadagnato sul campo; provate a scrivere la parola cazzaro su google e viene fuori il suo nome. Succede quando usiamo le parole per convincere e persuadere e non per dire la verità. Renzi aveva promesso di cambiare il Paese e molti in buonafede gli hanno creduto. L’azione del suo governo si è così tradotta: Jobs act, voucher, articolo 18 cancellato, banca Etruria, Mps, buona scuola, 203 prestazioni sanitarie sono diventate a pagamento, anticoncezionali in fascia C, esproprio della casa dopo 7 rate, disoccupazione 11,4%, disoccupazione giovanile 37,9%, Inps +5%, Rai lottizzata e giornalisti epurati, legge bavaglio sulle interecettazioni, sconti e condoni milardari alle macchinette del gioco d’azzardo, F35, trivelle, il ponte. E troppe ancora ce n’è. La richiesta era di una maggiore serenità sul lavoro, che per come è stato concepito negli ultimi venti anni ha massacrato le famiglie. Ebbene il governo Renzi ha cancellato le ultime tutele rimaste (dalla prima corrosione di Treu) e diritti, il Job act si è rivelato una truffa. Nelle cooperative, nelle imprese e nelle multinazionali, i lavoratori vengono licenziati e riassunti aggirando l’articolo 18. Per i lavoratori a tempo indeterminato, finiti gli sgravi fiscali alle aziende (22 miliardi di euro alle imprese) i contratti a tutele crescenti si sono trasformati in precarietà e in voucher; in sostanza lavoro nero e capolarato legalizzato. Di fatto l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori è morto. Le imprese hanno libertà di licenziare; la produzione viene esternalizzata, mentre le aziende ricevono soldi pubblici e ammortizzatori sociali che usano per ridurre diritti e salari. La riforma non ha creato occupazione, ed è irritante che il virgulto con la h aspirata insista con la bugia; ha piuttosto amplificato la precarietà a sistema. Inutile dire che ha calcato la mano del fisco anche sui risparmi, detassando il gioco d’azzardo (sulla cui proprietà qualche perplesità è legittima). Renzi è a capo di una coalizione (non solo di un partito, già delineata col Rosatellum) di prestigiatori; va in televisione a raccontare illusioni sulla crescita, mentre la disoccupazione sale e le famiglie soffocano nella precarietà. Non credo sappia cosa significhi vivere con l’ansia di perdere il poco; la vede solo lui la crescita, l’Istat e i giornali compiacenti che spacciano le fake news della politica per verità.

UN TRANS CHIAMATO DESIDERIO

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E’ notizia di ieri: Rimini, quattro uomini violentano (ripetutamente) una turista e picchiano il fidanzato. Poi si allontanano e stuprano una Trans. Ora, al di là del fatto (terribile, deprecabile, inemendabile) m’è scappata una risata. Non sono cinico e so che vuol dire, però ho pensato: che cavolo hanno preso, se lo viene a sapere l’Aifa li mette sotto contratto. Il problema è che questi quattro idioti sono un rigurgito di un mondo decadente, perverso più che misogino, esacerbato al parossismo; il sesso della vittima è irrilevante e la violenza ha finito per prevalere sul godimento. Sembra insomma che nel corpo erotizzato dalle icone pornografiche (e dunque non più corpo ma ideologia), al di là dello specifico individuale maschio-femmina, abbiano riversato un odio sociale che priva la persona di un’identità politica prima che di genere, trasformandola in una funzione per l’orgasmo. Siamo all’antitesi del piacere ed è un fenomeno diffuso. Il Paese che ha censurato a lungo il desiderio è ora nelle mani di una dittatura feroce, che violenta i corpi svuotandoli della sacralità della carne. E questi quattro cialtroni non sono l’eccezione, ma l’esasperazione della regola. Si credono liberi e potenti, quando in realtà sono l’espressione di un conformismo culturale che ha fatto del loro modello estetico una pantomima di quello del padrone. Perché il potere è anarchico e fa quel che vuole, ma questi sono solo un gruppo di sfigati destinati alle patrie galere.

Insomma: cercate il piacere? Imparate a corteggiare, a rispettare, a sedurre. L’oggetto del vostro desiderio è una persona e non una cosa, violentarla non vi fa onore. Dovesse venirvi la voglia di fare un salto dallo stadio suino nelle specie animali più evolute, vi lascio in lettura questa lezione minima (tratta dal mio De rerum contronatura) di bon ton, idioti che non siete altro.

DIVENTARE GAY IN DIECI LEZIONI - giancarlo buonofiglio

CORTEGGIAMENTO

approccio: l’arte del rimorchio è una delle più antiche e radicate espressioni del maschio (meno per ragioni culturali nella femmina) della specie umana. E’ un passaggio fondamentale senza il quale non si può facilmente accedere all’intimità del coito. Lo capite infatti anche voi (o no?) che non si può fermare una fanciulla o un giovanotto mentre distrattamente camminano per la strada pretendendo che siano disposti a congiungersi senza i naturali rituali dell’accoppiamento, peraltro con il primo cretino che decide di ingropparseli sul marciapiede. I cerimoniali sono quindi importantissimi per predisporre l’individuo scelto all’amplesso (per ottenere il suo consenso e comunque per evitare una denuncia per molestie) e, benché esercitati più o meno ampiamente in tutto il mondo animale, primari nello svolgersi dei rapporti umani. E’ però forse l’unico campo nel quale l’uomo deve cercare di distinguersi dalle altre specie, non prevedendo il codice penale alcuna specifica attenuante nel caso che la vittima scelta non fosse consenziente, e non avendolo (diciamocela tutta) la natura dotato di ali che gli permettano di fuggire altrove una volta compiuta l’impollinazione. Insomma è per una ragione pratica e non per altro che il maschio della specie umana deve cercare di controllarsi; in particolare quelli che gli zoologi chiamano “organi copulatori annessi” e che servono, non ad altro, che a trattenere il partner durante l’accoppiamento: i copepodi sono ad esempio muniti di antennule di cui si servono come organi prensili; gli anfipodi di una appendice branchiale che è capace di immobilizzare la femmina per giorni interi; molti ditiscidi hanno appendici anteriori dotate di ventose; alcune libellule, la zanzara e la mosca scorpione addirittura una specie di pinza; l’uomo più comodamente delle mani. Non solo però. Essendo un animale culturale riesce abilmente a trattenere la preda con un’infinità di astuzie che vanno dalla clava dei tempi antichi alla minaccia di licenziamento in quelli moderni. Rispetto a tutti gli altri animali, e nonostante il gran parlare dei fondamentali diritti irrinunciabili, pare insomma che dall’era Mesozoica nella specie umana non sia avvenuta nessuna significativa mutazione del carattere.

Gli etologi hanno fornito una mappa del cerimoniale amatorio; nella specie particolarissima dell’omosessuale si sono riscontrate, dall’orientamento alla fuga, ben sei fasi progressive nell’approccio:

orientamento: è importante che l’omosessuale (ma anche l’eterosessuale) sia sufficientemente orientato su quello che veramente desidera (ripasso della seconda lezione). Il pericolo è che perda del tempo prezioso correndo per mesi dietro ad una ballerina di Lapdance per confessarle, una volta ottenuto l’appuntamento, di essere un pederasta. Guardatevi dunque allo specchio e chiedetevi se in fondo non vi piaccia più il panettiere della sua cassiera. Fatta la scelta preventiva, orientarsi nel mondo dei gay è poi piuttosto semplice data la loro maggiore disponibilità (e la simpatia) ai rapporti interpersonali: potete iscrivervi al circolo dell’Arcigay, bazzicare da un locale notturno all’altro, uscire per strada completamente nudi e con un cartello in mano con scritto “cercasi amante pederasta”, intraprendere la carriera di modello o commesso in un negozio di alta moda, presentarsi alla riunione del condominio con i bigodini e lo smalto sulle unghie, telefonare a casaccio ai numeri che trovate sull’elenco del telefono;

scelta: quando si rimorchia è importantissimo selezionare una alla volta le vittime. L’indecisione in questo campo è deleteria. La scelta è una questione di gusto, può essere determinata dal taglio dei capelli, dalla voce, dal profumo, dalla villosità, dal conto in banca, dai centimetri di quella parte, al limite dai modi garbati e dalla sensibilità mai comunque dall’intelligenza. Gli intellettuali sono perciò avvertiti, i tempi cambiano e non c’è molta voglia di rompersi gli impronunciabili con noiose discussioni sull’esistenza;

sincronizzazione: per sincronizzazione dovete intendere la capacità di cogliere i messaggi dell’altro, di capire fino a che punto potete spingere le vostre intenzioni. Facciamo un esempio: siete seduto al tavolo di un bar e non ce la fate a togliere lo sguardo da un fustaccio che si trova dall’altra parte della sala; a sua volta l’uomo vi guarda facendovi l’occhiolino e passandosi la lingua sul labbro superiore. Ebbene in questo caso è molto probabile che la vittima prescelta non solo sia un omosessuale ma che addirittura lo stiate eccitando. Facciamo un altro esempio: vi trovate in ascensore con una specie di bronzo di Riace animato che strizza l’occhio dicendovi fiumi di zozzerie. Voi pensate che sia un pederasta e pertanto gli saltate addosso, l’individuo però non solo vi respinge ma vi tira un cazzotto in faccia. Questo è appunto un tipico errore di sincronizzazione. E’ accaduto cioè che avete ingenuamente scambiato la sindrome di Gilles de La Tourette per un invito sessuale. Per non cadere in tali equivoci, peraltro assai comuni e dall’esito sempre incerto, è insomma necessario che ad ogni tentativo di approccio facciate la massima attenzione. Nel caso specifico del tic nervoso potreste cominciare prendendo la laurea in medicina;

persuasione: col termine persuasione dovete intendere l’abilità che ha una persona nell’indurre un’altra a compiere un’azione che di per sé non avrebbe mai fatto, e che è di esclusivo interesse della prima. Affinché si possa parlare di persuasione è necessario che la persona da convincere sia libera e cosciente; quindi non commettete un atto di persuasione (né tanto meno potete attribuirvi doti seduttive) se per portarvi a letto il partner dovete prima bastonarlo, o quando abusate sessualmente di un paraplegico semiparalizzato. In amore moltissimi sono i modi di persuadere; i più comuni rimangono:

1) gli assegni circolari: metodo raffinato e di sicuro successo. A volte è una questione di prezzo, l’esito dipende dagli zeri che scrivete sul pezzo di carta;

2) le minacce: convincere con le minacce non è di questi tempi facile. Ad ogni modo, se proprio volete adottare questa strategia fatelo almeno con una certa classe. Evitate insomma le frasi fatte “O me lo dai o non ti faccio fare la valletta”, “Ricordati che il principale sono io”;

3) le false promesse: sono sempre a dir poco necessarie. Dato che presumibilmente (essendo questo un manuale per pederasti) l’oggetto da sedurre è un uomo (ovviamente se voi siete un uomo, una donna invece se anche voi siete una donna), non potete con tutta evidenza promettere di sposarlo e di avere bambini. Ripiegate perciò sull’ultima possibilità rimasta, mettere su casa ed essergli fedele per tutta la vita. Dovessero però nel frattempo cambiare le cose, diventando finalmente anche questo un Paese civile che consente a due persone dello stesso sesso di unirsi in matrimonio, avete sempre l’alternativa di emigrare prendendo la cittadinanza vaticana;

4) la menzogna sulla misura del membro: mentire avete mentito (ma sui centimetri dell’organo riproduttivo nessuno dice mai la verità; ci sono ad esempio delle donne che, confuse dai parametri del marito -stabiliti arbitrariamente sulla base del proprio membro che con scarso senso delle proporzioni ritengono di 20 centimetri, quando in realtà raggiunge a malapena i 10-, credono non solo che il rotolo di carta igienica sia lungo 50 centimetri, ma di avere una vagina dal diametro spaventoso), infilandovi magari una lattina di birra nella tasca anteriore, cosa però intendete dire quando il trucco sarà scoperto?

5) l’eloquenza: la parola è un afrodisiaco eccellente; una frase detta al momento giusto e con il tono di voce appropriato riesce alle volte dove sessuologi e terapeuti hanno ripetutamente fallito. Naturalmente l’uso sapiente della parola richiede una lunga preparazione e una certa sensibilità poetica; non si può fermare uno sconosciuto dicendogli selvaggiamente “Bel maschio c’ho un toro nelle mutande che scalpita per incornarti”. Ci vuole tatto, molto tatto;

6) la pistola: è un mezzo persuasivo di indiscutibile efficacia. Non si sa come, ma nessuno davanti ad una pistola riesce a dire di “no”. Neanche gli eterosessuali più convinti;

7) la chiave inglese: è un mezzo persuasivo di indiscutibile efficacia. Non si sa come, ma nessuno davanti a una chiave inglese riesce a dire di “no”. Neanche gli eterosessuali più convinti.

-placamento del compagno reticente o aggressivo: una linea sottile separa l’amplesso tra due o più persone consenzienti (pur con qualche indecisione iniziale) dalla violenza carnale; questa linea per quanto incerta e indefinita esiste ed ha appunto il nome di “placamento del partner reticente”. E’ importante intendersi sulle parole: il rischio è quello di finire in galera per abuso sessuale. Un conto è infatti convincere una persona all’amplesso, facendola pian piano scivolare nel piacere in modo da ottenerne il consenso, un altro e legarla mani e piedi e usarle violenza. Nel primo caso si tratta di una particolare abilità seduttiva, nel secondo di stupro. Se pertanto avete finora fatto ricorso nell’esercizio dell’arte amatoria unicamente al metodo più sbrigativo e pratico (l’altro, a dire il vero, è piuttosto lungo e alle volte persino noioso), e intendete continuare su questa strada, vedete per lo meno di non lasciare prove tangibili del vostro quadrupede passaggio;

fuga: ammesso che abbiate ottenuto un appuntamento dal garzone del fruttivendolo che vi piace tanto, ammesso che siate riusciti dopo lungo corteggiamento a farlo chissà come innamorare (cosa però piuttosto improbabile dato che persino uno scorfano rincretinito si vergognerebbe a farsi vedere in vostra compagnia), e ammesso pure che si sia concesso carnalmente alle vostre voglie, come pensate di comportarvi quando il giovanotto vi chiederà scioccamente di sposarlo? A meno che non abbiate intenzione di protrarre oltre la relazione (e comunque non ce ne sarebbe motivo dal punto che avete ottenuto ciò che desideravate) è forse il momento giusto per darsi alla fuga, tanto più che lo stesso (ma non è comunque detto dato il generale rimbecillimento) difficilmente potrà ricattarvi dicendovi di aspettare un bambino. I modi per dileguarsi sono tantissimi e in genere fantasiosi, alcuni addirittura commoventi; il lettore potrà inserire nel proprio repertorio seduttivo i seguenti atipici:

1) inviare al proprio domicilio una falsa “cartolina rosa” che invita a recarsi al distretto militare per assolvere agli obblighi di leva. Anche se avete passato la sessantina da un pezzo;

2) confessare qualche malattia venerea, magari incurabile, scusandovi per avere taciuto quell’unica volta che lo avete fatto;

3) professarsi razzisti; il ragazzo di bottega è infatti un extracomunitario;

4) dichiararsi perdutamente innamorati del suo principale; il ragazzo di bottega è infatti un extracomunitario e sa bene che il suo datore di lavoro può sbatterlo fuori quando vuole;

5) dichiararsi perdutamente innamorati dell’idraulico, confessando una certa dipendenza psicologica dalla chiave inglese;

6) confessare di essere un sacerdote in viaggio di piacere, che non ha nessuna intenzione di contravvenire al voto di castità (anche se per una volta ha ceduto alla debolezza della carne).

Dopo il corteggiamento non rimane che parlare dell’amplesso, non prima però di avere fornito una pratica mappa informativa sui luoghi più indicati e maggiormente stimolanti per l’accoppiamento. Della contraccezione è evidentemente inutile dire dal punto che come si sa i maschi in genere non ingravidano gli altri maschi, né la femmine altre femmine (lo sospettavate, vero?). [Segue lezione]

1 Diffusa specie animale, poverissima spesso ai limiti della sopravvivenza, proveniente dalla penisola Iberica che si serve abusivamente dei mezzi di locomozione per spostarsi durante le ondate migratorie.

FELICISSIMA SERA, A TUTTE ‘STI SIGNURE ‘NCRAVATTATE

Il segno che eccede a se stesso porta sempre in un altrove, apre un passaggio, lascia tracce che riconducono all’origine, alla terra. Al di là di ogni regola formale, non solo il desiderio invade la scena come qualcosa di determinante, ma pare dominarla.

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Secondo Freud è la ripetizione e non solo il gesto mancato, l’atto privo di significato, il lapsus a intervenire disturbando la scena: “Vi è poi un’altra serie di esperienze che ci permettono anch’esse di riconoscere senza fatica che soltanto il fattore della ripetizione involontaria rende perturbante ciò che di per sé sarebbe innocuo, insinuandoci l’idea della fatalità e dell’ineluttabilità laddove normalmente avremmo parlato soltanto di caso.” Il lapsus è un segno non capito che porta al di là e racconta dell’Altro; scompagina e riordina i termini della relazione, crea una tensione nel principio di identità. E’ un gesto involontario che media tra termini altrimenti inconciliabili. La ripetizione ripropone la continua replicazione del qui e ora, l’univocità e l’immodificabilità dell’essere, che circoscrive evitando la frammentazione, riordina quello che accade, compone un’identità. In essa s’inserisce un altro termine, il perturbante, il vuoto, l’ombra. E infatti all’interno dell’ordine e delle regole, sopraggiunge inaspettato lo straniero. Non bussa, non chiede permesso, irrompe dicendo: “Aggio araputa ‘a porta e so’ trasuto cca”. Come appunta J. Baudrillard: “Nell’indeterminazione il soggetto non è né l’uno né l’altro, resta semplicemente lo stesso.” Ecco che compare la ripetizione, il sempre uguale a se stesso, che è uno dei nomi del principio di identità che nega l’alterità. Non c’è bisogno di spostare il discorso sul piano patologico dell’ossessivo, la ripetizione è la regola stessa del vivere (“Seguire una regola è analogo a ubbidire a un comando”, Wittgenstein). Ma non c’è regola senza disordine e non c’è ordine senza caos. Il desiderio spaventa perché è l’informe che non ha nome. Si presenta sempre e comunque nella vita e ancora di più nello scenario amoroso: “Stasera miezo a st’uommene aligante abballa un contadino zappatore”. Il contadino zappatore fa irruzione tra i signori, col suo linguaggio povero, malvestito, è l’uomo della terra. Lo straniero appunto, l’Altro che viene da un altro mondo. E’ il desiderio perturbante che arriva dallo spaesamento, dalla mancanza di un territorio senza confini certi. Crea disagio perché nell’informe il territorio non può delimitare in modo stabile il proprio perimetro culturale, linguistico, sociale. Parla e di cose comuni ma stravolge il discorso. Se Deleuze si richiama a Klossowski e a Blanchot lo fa per chiarire il passaggio dell’inconfessabilità come l’eccedenza possibile in un’epoca nella quale il segno diventa un simbolo mercificato. Il segno che eccede a se stesso porta sempre in un altrove, apre un passaggio, lascia tracce che riconducono all’origine, alla terra. Al di là di ogni regola formale, non solo il desiderio invade la scena come qualcosa di determinante, ma pare dominarla. Tanto da arrivare a dire: “I’ songo ‘o pate e nun mme po’ caccia’ … si zappo ‘a terra e chesto te fa onore; addenocchiate e vaseme ‘sti mmane”. Giusto per riportare all’ordine il discorso e far capire chi comanda.

(dai Frammenti di un monologo amoroso)

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Non chiamatelo capitalismo, è odio di classe

Questo neoliberismo è una schifezza. Si tratta di un capitalismo becero, che sfrutta e mortifica; si prende non più il futuro ma il presente, la dignità di uomini e donne. E’ odio di classe. L’attuale classe dirigente si è collocata nella dialettica padrone-servo e agisce con una ferocia che non si vedeva da tempo; è il proletariato che fatica a capire. Quella che stiamo vivendo è un’epoca selvaggia; ha incarognito i cittadini mettendoli l’uno contro l’altro. C’è un solo debito pubblico e ha il nome di questa gente e finché continuerà a avvelenare i palazzi del potere pagheremo loro interessi sempre più alti. Ma siamo distratti da altro, chi ha la responsabilità dell’informazione tace, gli intellettuali salgono sul palco dei partiti, la figa e il calcio sono comunque assicurati e allora va bene.

cap

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