IL GOVERNO DEI MARZIANI

Per me sotto la finta pelle umana questi hanno le squame verdi e le antenne. Siamo stati invasi dai marziani oppure i rettiliani esistono per davvero e si sono impossessati dei loro corpi polimaterici. Solo a esseri arrivati da un altro mondo può venire in mente di:

– censurare Via col vento per razzismo

– togliere dal mercato i dolci moretti per istigazione razziale. Io avrei arrestato il produttore per il retrogusto allo sterco di cammello avariato, non certo per allusione all’uomo di colore

– Calimero è stato nuovamente bandito, sempre perché è piccolo e nero. Doppia beffa per il pulcino degli animati. Ma temo sia solo l’inizio e tante altre ne vedremo. Scalparotto infatti sta preparando la legge (oramai approvata) che fa un crimine dell’omofobia. E andrebbe pure bene ma dovranno mettere in galera preti, suore e catechisti. Registi, attori e letterati che hanno scritto pagine goliardiche sul pederasta grottesco. Il Satyricon di Petronio o quello di Fellini li metteranno al bando e sopravviverà solo la versione sicula/androgina di Ciccio e Franco? A scuola non si studierà più Marziale e sarà proibita la lettura del canto XV dell’Inferno sui sodomiti? A Pompei daranno una tinta di vernice sopra agli affreschi che stigmatizzano i rapporti omoerotici con virile sarcasmo?

Ho una notizia per Scalparotto (l’alieno che è giunto a noi da un altro sistema solare, il piddì): buona parte della nostra storia letteraria, artistica, musicale e anche scientifica ha un carattere omofobo e misogino. Che facciamo, con un colpo di spugna o di stato appunto, decapitiamo i simboli indigesti al nuovo ordine rettiliano? Ci sono cose spregevoli e una di queste è l’omofobia. Ma io non lo voglio un mondo che per legge mi proibisce di pensare male, in maniera deviata se mi pare. È un problema culturale e il nomos non sempre è legittimato a prevaricare sulla natura, in nessun modo sui bisogni individuali. In uno stato di diritto vanno tutelate anche le teste di rapa, non piegate con la forza al ministero extraterrestre della verità. I diritti sono un’altra cosa. Sulle scelte etiche o personali si fa un’opera culturale di seduzione; le idee si formano con l’educazione, non si impongono per legge. Quello è il nazimaoismo, l’ordine statuale degli ominidi con la pelle verde e le antenne in testa. Pensavo fosse uno scherzo ma poi ho sentito nuovamente parlare di genitore uno e genitore due. In piena crisi democratica e economica la rettiliana dei diritti civili alla fine ha sibilato: nella task force non ci sono quote rosa, ha sssbottato la Boltrina. Giusto quello è il vulnus nel pieno di una dittatura megagalattica. Il politicamente corretto diventa follia in mano ai marziani, che tali sono perché nulla condividono con le altre “forme di vita”. Lo diceva Wittgenstein, grande filosofo e grande omosessuale (si può ancora dire?)

Temo che non sia finita qua, la neurodistopia mischiata all’idiozia pedoscientista non ha limiti. L’amaro Negroni non lo troveremo più al bar, Cicciobello nero sarà ricordato come il Mein Kampf e le polluzioni col genere porno black and white saranno fuorilegge. A scacchi non giocherà più prima il bianco e lo slogan del detersivo inviterà ad annerire i tessuti, non a sbiancarli. Non solo. I rettiliani come Scalparotto hanno dichiarato guerra al Dio cristiano che è amore. E ha il difetto di lasciare all’uomo la libertà, anche di odiarlo se vuole. L’imposizione per legge è dei rettili che strisciano sulla bava del potere, non degli uomini emancipati e con una coscienza, sani nei limiti della natura. In virtù di un astrale principio del bene inciso nelle sacre tavole della empioscienza, presto non potremo bere neanche l’Amaro del Frate perché richiama alla devozione religiosa. La bottiglia con il cilicio, che sarà una merda, ma è sempre meglio dell’intruglio che il vostro guro spirituale vuole iniettare nel sangue. Roba verde da ipertecnologia marziana che farà squamare anche la nostra pelle

“ASSEMBRAMENTO”

Un’altra parola è stata sdoganata: ASSEMBRAMENTO. Non si sentiva dall’epoca del Ventennio e ha sostituito termini come relazioni, affetti, famiglia (il blasonato al governo l’ha sovrapposta anche agli ambienti intimi e domestici). Con una connotazione assolutamente negativa rispetto alla socialità promossa e tutelata dalla Costituzione. Assembramenti sono anche le associazioni, le organizzazioni politiche e le libere espressioni di protesta, anch’esse censurate con l’alibi neanche troppo originale di un virus influenzale.

La stampa igienica e la Tv spazzatura la usano con metodo e anche voi con troppa disinvoltura. Attraverso le parole manipolano il vostro pensare, vi fanno assorbire contenuti che non hanno, veicolando una forma di società autoritaria e priva dei caratteri della solidarietà.

A parte la matrice fascista (o nazimaoista) non sottovalutate il lato semantico. Due o più persone non sono un assembramento, mi sembra una sintesi impropria e riduttiva di una realtà più articolata. L’amicizia, il dialogo, la socialità sono un fatto affettivo. Le aggregazioni politiche il bisogno a riunirsi per dare luogo a un corpo sociale. Le orge, pure loro, non le puoi chiamare assembramenti. Hanno qualcosa di poetico, dipende ovviamente da chi hai dietro. La messa e la scuola anche. Non ho mai sentito dire a nessuno: questa sera vieni a casa mia, facciamo un assembramento. La gente normale cena, si incontra, parla. Ci vuole una mente malata per concepire un gruppo di persone come un assembramento.

Fa tanto mandria o gregge, corpo nelle sole funzioni biologiche. Neanche Marx era arrivato a tanto, da quel che so non ha scritto: proletari di tutto il mondo assembratevi. Eppure questa è la neolingua di un dittatoruncolo spuntato chissà come dall’Istituto Luce. Con mille difetti e un solo pregio, quello di non averne nessuno.

Un giorno si dirà del blasonato: quando c’era lui gli assembramenti arrivavano in orario. Anzi no, credere obbedire distanziare. O meglio: È l’aratro che traccia il solco ma è Casalino che lo difende. Ma forse sui libri di storia verrà ricordato con una sola frase lapidaria: visse un giorno da leone e cento li passò a pecora. Perché può anche capitare che quando vai per fottere vieni fottuto

RAZZISMO E FRENASTENIA

Hanno sdoganato tutto in Italia, legittimando il peggio. Ora è il turno della frenastenia e del razzismo. Ma anche della grammatica e della sintassi imbarazzante; perché #Salvini e i fan è così che si esprimono, o meglio ruttano tra una gutturale e l’altra. Nei social come altrove.

Il termine ricorrente è invasione, negro (con la g), rom; segue extracomunitario, meridionale storpiato in merdanale, in leggera flessione Roma ladrona. Una ragione c’è, non si sputa nel piatto nel quale si mangia. Ricorrono i neologismi: sinistrato, cattocomunista (il più delle volte con la k), sinistronzo, sinistrotto, piddino, renzino. L’uso del neologismo ha una funzione particolare, tende a circoscrivere l’individuo in un gruppo e il gruppo in un luogo comune con una lingua incomprensibile fuori dal recinto. Lo stesso accade con le degenerazioni neuronali o psicotiche. Perché di quello si tratta, le mandrie si uniscono attorno al capobranco che promette ordine e qualche benevolenza. La parola ordine ha una natura apotropaica e curativa quando l’Io perde le sue funzioni. Le parolacce la fanno da padrone: caxxo (con la x), rottinculo, checca, negrodimerda, terrone qualche volta. La grammatica latita, ma si tratta di gente laboriosa, non di intellettuali che hanno tempo da perdere con i dettagli. I concetti sono ridotti al minimo: gravitano attorno a poche idee, confuse neanche tanto; la prima attorno alla quale ruotano le altre è la paura per l’uomo nero che ti tiene un anno intero (come nella filastrocca). La medicina che gli accoliti propongono è il rimpatrio, la galera, la frusta a volte per gli indesiderati. La dinamica della discussione è pressoché la stessa: il mentore scalda gli animi con una domanda retorica e l’esercito infuriato parte in battaglia. Non c’è posto per la discussione, la regola è che a casa nostra facciamo come ci pare e se non vi sta bene fora di ball. Il Capitano commenta poco e quando compare sembra un bulletto di periferia che si mette alla guida fomentando la massa inferocita. Non stempera le animosità, istiga piuttosto con un’ironia che a lui sembra sottile, ma che non va al di là della volgarità di certi film anni ’70; la mandria fa muro e tutti insieme si riuniscono a mangiare polenta e osei. I luoghi comuni la fanno da padrone; un luogo comune è un pensiero che fa riferimento a un’abitudine culturale maturata nel sentire popolare. La realtà è un’altra cosa, ma quando c’è un limite cognitivo la comprensione viene filtrata da un’idea tanto diffusa da sembrare verosimile. La verosimiglianza è però lontana dalla verità, come la demagogia e la retorica dalla politica. Non si tratta solo di una disfunzione semantica indotta dalla mancata padronanza del vocabolario, ma di una profonda degenerazione neuroantropologica. Si sente nell’assenza del senso delle parole e appunto nel prevalere dei luoghi comuni. E vengo al punto: la demenza neurolinguistica è caratterizzata dalla perdita del significato e dal deterioramento cognitivo; è una manifestazione clinica della degradazione lobare frontotemporale, associata all’atrofia del giro temporale inferiore e medio.

Le persone affette presentano problemi nella denominazione e nella comprensione di parole, nel riconoscimento dei volti, delle cose, delle situazioni, della realtà; la predominanza del verbale o non verbale (e nel nostro caso delle gutturali che dominano sulle articolazioni mature della lingua) riflette l’accentuazione dell’atrofia cerebrale. Alla distruzione del linguaggio si accompagna quella della personalità e a seguire la dimensione sociale dell’individuo. L’aggressività, la violenza, l’odio sociale verso un fantasma immaginario e minaccioso è uno dei morfemi dello stato paranoico di un poveretto che ha smesso di desiderare in maniera sana e consapevole e ha cominciato a odiare.

#estinguetevi

. Gli ossimori di Salvini

«Donazione di sangue obbligatoria a scuola»

Adoro quest’uomo, come tutti quelli che si trovano nel posto giusto a dire la cosa sbagliata. Mi piace il suo qualunquismo, la demagogia, persino la sua inconsapevolezza ha qualcosa di poetico. Tre idee in testa, sgrammaticate, sostenute però con la caparbietà di chi non padroneggia i contenuti del pensiero e della lingua. Con la pertinacia di difendere l’indifendibile e tuttavia col candore di chi davvero non capisce. Sguardo spento, non tradisce alcuna articolazione, come coloro che si portano dentro un dolore profondo e non traspare che quello. Un’idea fissa, la rigidità di un pensiero che latita; è come prigioniero della propria identità. Vorrei dire della sua storia, ne avrà pure una al di là quella passata nei palazzi del potere. Limitato il tanto che basta per far carriera, riluttante, violento nel modo corretto per fomentare il rancore nel suo elettorato. Razzista, ma pare essere una virtù. Mi piace perché ha la faccia tosta di presentarsi come il nuovo; mi piace quel continuo monito alla legalità urlato dai banchi di un partito che qualche problema con la giustizia pure l’ha avuto. Mi piace per il tono aggressivo che hanno quelli del popolo e mi piace quella rabbia mai sommersa in un uomo che vive delle istituzioni, con quel che ne consegue sul piano dei privilegi. C’è una strana incoerenza in quest’uomo e mi piace. Mi piace il suo linguaggio elementare, minimo, disartrico per inadeguatezza a una lingua più complessa; quello delle case popolari, della provincia, delle borgate. E dei manicomi.

BUONISTI E CATTIVISTI

La vita di noi buonisti è faticosa. Dispendiosa anche: compriamo Rolex e maglioncini in cachemire; a volte ipotechiamo la casa, perché la barca magari non serve, però è un cliché e dobbiamo averla. Per mantenere lo status di radical chic ci sottoponiamo ad allenamenti sfiancanti, trenta riflessioni al giorno: leggiamo Adorno più che Marx e non guardiamo la televisione. Dobbiamo tenere pulito l’appartamento, perché i profughi che troviamo in strada li portiamo a casa nostra. Paghiamo le tasse, ma solo per un fatto estetico, per carità. Impopolari, ci guardano con disprezzo quando raccogliamo le deiezioni del cane. Emotivamente coinvolti se qualcuno annega in mare, anche se non lo conosciamo; coste libiche o italiche, non fa differenza. Ci esprimiamo confidando in un italiano decoroso, perché c’è una demarcazione tra la parola e il rutto. A volte mi piacerebbe essere un cattivista; deve essere bello parlare alla cazzo di cane, dissertare di tronisti e commuoversi per i casi umani raccontati dalla D’Urso. Deve essere bello informarsi con Studio Aperto. Pronunciare a voce alta la sentenza ricchione o negro, sparare a un clandestino (che tanto lo sappiamo: sono tutti clandestini.) È bello fare i duri coi deboli, spietati e feroci ma col crocifisso in mano. Frequentare i rave party con Salvini; deve essere bello essere Salvini. Non rispondere di cinquanta milioni di euro, trombarsi la Isoardi, difendere la famiglia tradizionale dopo aver figliato altrove. Mi sto allenando però. E come un mantra ogni mattina evoco lo slogan del Capitano: “Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”. Deve essere bello non demarcare il confine tra un pensiero e una scoreggia.

RAZZISMO: IDEOLOGIA O UROLOGIA?

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“La razza bianca è a rischio”. Niente di nuovo, la sparata di Attilio , candidato dalla Lega alla Regione, si inserisce in un contesto di degrado politico e culturale che si va sempre più diffondendo. Razzismo e xenofobia primeggiano su Tv, giornali e soprattutto sui social. Gli uomini in età geriatrica (le donne mitigano per lo più con buon senso) risultano maggiormente infervorati; hanno un linguaggio bellico, fomentano gli animi, sono agguerriti, eccitati. Si sente la pulsione risorgimentale ed è una cosa buona che torna a premere nel pannolone. Ci sono ottuagenari che spingono la gente a scendere in trincea; chi fa le barricate e chi rispolvera l’eskimo: qualcosa dobbiamo fare, scrivono su Facebook. Già dobbiamo fare, che in Italia vuol dire armiamoci e partite. La rivoluzione che si consuma nell’epica delle parole, brandendo i post come baionette; altra cosa difficile da capire quando hai l’artrite alle dita. Va tutto bene però, e questi rigurgiti di vita sono legittimi e commoventi nelle salme decomposte. Una volta con l’età si acquisiva saggezza temperata da eleganza, qua siamo alle rivolte della prostata. La natura fino a qualche anno fa aveva compassione: portava via gli uomini a quarant’anni e un senso forse c’era; prendeva i corpi prima che degenerassero nella carne e nella mente. La vita si è allungata ed è un bene, ma con quel che ne consegue sul piano dell’entropia neuronale. 

 

 

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Un tempo la vecchiaia era una garanzia di saggezza; oggi esplode come una rabbia mal contenuta nel pannolone. Non è ideologia quella che mingete su Facebook, si tratta piuttosto di urologia. Lo dico ai vecchietti infervorati pronti a fare le barricate come ai tempi della fulgida giovinezza. Il corpo perde colpi e la dentiera costa un patrimonio; riponete il catetere della discordia. Ve la prendete con gli oppressi e difendete l’oppressore: la guerra per la quale lottate è generata dalla vostra geriatrica incontinenza.

SIAMO SEMPRE “IO” AL CITOFONO DI QUALCUNO

Ci sono quelli che al citofono dicono “sono Io”, rimanendo delusi quando si sentono rispondere: “Io chi?”. E in effetti il mancato riconoscimento di quel che siamo, della nostra identità suscita uno stato d’ansia e mette di malumore. Mio padre no, lui articolava. Ciao sono io. Io chi? Tuo figlio. E lui: “Quale?”. Il “quale” introduceva un decentramento tra me e lui e metteva il mio Io in un angolo. Andava anche e oltre a dire il vero. Perché (e non ho mai capito se era serio o mi prendeva in giro) quando rispondevo “Gianni!” lui incalzava: “Gianni chi?”. Tuo figlio. E così ad infinitum.

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A parte il desiderio di conferma dell’identità, per quanto precaria e fragile, nel riconoscimento (che è un conoscere di nuovo) si muove un gioco di specchi tautologico: l’io ripete se stesso e il processo si può dilatare all’infinito. Per essere riconosciuti abitiamo e abituiamo l’altro, in qualche modo lo addomestichiamo.

PER FAVORE ADDOMESTICAMI

Siamo abitati dalla lingua; la lingua si muove su due piani, quello primario si riconosce dall’uso costante di alcune parole che diventano determinanti per dare un ordine al campo più superficiale del linguaggio. Il fondo della lingua è il luogo comune su cui costruiamo una familiarità, l’abitiamo e l’abitudine diventa una regola e poi una legge, secondo un comune modo di vedere e sentire. In sostanza quando parliamo trattiamo alcune parole come cose e su quelle costruiamo le nostre certezze. E’ una manipolazione di cui si serve ampiamente la politica. La riproposizione continua crea un contenuto, rende la parola reale, la svuota dei significati caricandola di senso. Anima, Dio, famiglia, Stato sono alcune di queste parole che accentrano l’attenzione e coinvolgono le emozioni, rimandano a una condivisione profonda di contenuti. E’ per questo che parliamo di famiglia, di anima o di Stato come enti reali; trasformando le parole in cose le rendiamo solide e vere.

Nel Piccolo Principe si legge: Per favore… addomesticami… Volentieri, disse il Piccolo Principe… Che cosa bisogna fare? Bisogna essere molto pazienti, rispose la Volpe. In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guardero’ con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino… Il Piccolo Principe ritornò l’indomani. Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora, disse la Volpe. Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti. Che cos’è un rito? Disse il Piccolo Principe. Anche questa è una cosa da tempo dimenticata, disse la Volpe. E’ quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni. Funziona così.

Le parole selezionate si ripetono e vanno ad assorbire tutta quanta la lingua, danno luogo a una ritualità. La continuità è un processo di addomesticamento profondo e radicale. Nelle televisioni e giornali è evidente la ricorrenza di alcuni termini. Extracomunitario, omosessualità, Isis, spread, famiglia, vengono proposti come universali e s’impongono nella lingua fino a modificare l’ordine mentale. E così percepiamo di essere invasi dall’uomo nero, ci nascondiamo nella famiglia quando sentiamo parlare di omosessualità, investiamo in una banca perché l’inflazione è alle porte. Diventiamo governativi e governabili davanti alla parola terrorismo. Un uomo libero padroneggia la lingua, ma il più delle volte vogliamo essere addomesticati. Qualche anno fa è stato votato il referendum sulla fecondazione assistita; pulman di cittadini con un’improbabile semantica sono corsi ad abrograre una cosa definita inseminazione eterologa. Quando viene chiamato all’ordine il popolo vota. Una folla di elettori con tanti io e nessun noi, che legifera e parla di cose che non conosce con una lingua che non padroneggia. Un popolo così che se ne fa della libertà? Vuole essere addomesticato.

Buon anno insomma; da me, dal mio io. Io chi?…

FILOSOFIA E CARTA IGIENICA

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Tutto comincia da là, cercando il principio di quel rotolo di carta che sembra non trovarsi mai. Capita nei momenti del bisogno, ed è un’esperienza devastante sul piano emotivo, imbarazzante su quello sociale, incomprensibile su quello intellettuale. Perché se tutto ha una fine, ogni cosa deve pure avere un inizio, L’archè (ἀρχή), l’origine e il principio non è solo una metafora dell’universo, è la concentrazione dell’assoluto nel rotolo di cellulosa. Le mani lo afferrano, lo rigirano, imprecano a volte alla ricerca di quel primo strappo che sfugge alle leggi della logica e della fisica. E’ difficile non andare oltre nell’indagine; l’infinito si mostra nella sua essenza come qualcosa di reale: il principio deve esserci per anapodittica certezza. Il concetto di ápeiron (ἄπειρον) come illimitato e indefinito si genera proprio da quella inaccettabile mancanza, dove non c’è inizio non può esserci fine. Nella filosofia pratica le cose funzionano in maniera diversa e il tempo come il passaggio tra il prima e il poi ha ancora un senso; le mani sono poco propense al nulla e non concepiscono il vuoto. L’indeterminato è una bella idea aristocratica che non tiene però conto dei bisogni reali; il primo dei quali è di trovare l’origine delle cose, foss’anche di un rotolo di carta. La filosofia pratica precede quella teoretica, ed è evidente la ragione; le mani comprendono quello che utile e il resto sono solo parole. Anassimandro da quel luogo intimo del pensiero è andato anche oltre, ipotizzando che nell’ápeiron le cose fossero tutte quante unite in armonia, senza appunto contrari, principio e fine. Ed è questo il problema: il rotolo si mostra privo di un limite nonostante la sua fisicità. Ma è un approccio intellettuale il suo; i bisogni del corpo chiedono invece altro, una fondazione, un punto fermo da cui cominciare. Strappo dopo strappo, misurando il tempo e lo spazio fino all’ultimo rimando. Perché la carta igienica è come la vita, può anche essere a due veli, morbida o ruvida ma prima o poi finisce e lo sappiamo. Quel che rimane lo chiamano anima, per altri è solo il cilindro che non permette alla carta di deformarsi. Un uomo può anche fantasticare sulla bellezza di quel vuoto che dà consistenza al rotolo, ma la sostanza continua ad essere la carta. E quella è una verità che si capisce appunto nel momento del bisogno.

LE FIGURINE DI RENZI

La fake news è una notizia falsa che ha tuttavia la credibilità di una cosa vera. La credibilità più che nel racconto consiste nella capacità di eccitare la fantasia e l’immaginazione, dicendo al pubblico quel che vuol sentire. L’immaginazione produce le immagini, la fantasia partecipa alla formazione dei simulacri ma limitata nell’ambito di un discorso letterario. E’ la letteratura, ovvero la traccia culturale a fornire l’iconografia digeribile al carattere liturgico della mente. La differenza con le allucinazioni è sfumata; nella malattia c’è un coinvolgimento emotivo e un turbamento dei sensi che manca nell’immaginazione. La convinzione che quelle immagini esistano nella realtà. C’è poi un’immaginazione sottile, i cui idola sono certificati dalla dall’abitudine; si tratta di credenze suffragate dai bisogni, dalle carenze intellettuali, dai limiti della ragione. Immaginazione, letteratura, allucinazioni e bisogni portano alla produzione di rappresentazioni che dalla realtà sconfinano nella verosimiglianza assumendo la consistenza della sacralità; e allora diventano un pericolo reale.

Il bisogno è come una fame primitiva, fornisce un corpo alle icone, assorbendo una richiesta intellettuale intollerante alle domande. Le risposte prodotte da tali rappresentazioni ricordano i giochi dell’infanzia che facevamo con le figurine dei calciatori. I quali appunto e proprio in ragione di quella tangibilità del sacro che mettevano in tasca, diventavano idoli. E noi idolatravamo come divinità dei normali seppur bravi giocatori di pallone. Era tutto sommato un’infanzia sana in una devozione che non sconfinava nell’allucinazione; sapevamo con certezza che si trattava di un gioco e soprattutto, pur con qualche reliquia in mano, che la vita è un’altra cosa. Eravamo fenomenologi in sostanza; l’ontologia che fa di quelle immagini qualcosa di vero, non comprometteva il nostro disincanto.

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Le fake news. C’è una tecnica banale nella comunicazione, si tratta di ripetere un messaggio per farlo sembrare vero. Si parla appunto di pubblica opinione, di doxa e non di scienza. Sono decenni che chi sta al governo si serve di questa ordinaria funzione del linguaggio e tuttavia i risultati si vedono, onore al merito. C’è però un limite a tutto, anche all’arroganza. E vengo al cazzaro; l’aggettivo non è mio, se l’è guadagnato sul campo; provate a scrivere la parola cazzaro su google e viene fuori il suo nome. Succede quando usiamo le parole per convincere e persuadere e non per dire la verità. Renzi aveva promesso di cambiare il Paese e molti in buonafede gli hanno creduto. L’azione del suo governo si è così tradotta: Jobs act, voucher, articolo 18 cancellato, banca Etruria, Mps, buona scuola, 203 prestazioni sanitarie sono diventate a pagamento, anticoncezionali in fascia C, esproprio della casa dopo 7 rate, disoccupazione 11,4%, disoccupazione giovanile 37,9%, Inps +5%, Rai lottizzata e giornalisti epurati, legge bavaglio sulle interecettazioni, sconti e condoni milardari alle macchinette del gioco d’azzardo, F35, trivelle, il ponte. E troppe ancora ce n’è. La richiesta era di una maggiore serenità sul lavoro, che per come è stato concepito negli ultimi venti anni ha massacrato le famiglie. Ebbene il governo Renzi ha cancellato le ultime tutele rimaste (dalla prima corrosione di Treu) e diritti, il Job act si è rivelato una truffa. Nelle cooperative, nelle imprese e nelle multinazionali, i lavoratori vengono licenziati e riassunti aggirando l’articolo 18. Per i lavoratori a tempo indeterminato, finiti gli sgravi fiscali alle aziende (22 miliardi di euro alle imprese) i contratti a tutele crescenti si sono trasformati in precarietà e in voucher; in sostanza lavoro nero e capolarato legalizzato. Di fatto l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori è morto. Le imprese hanno libertà di licenziare; la produzione viene esternalizzata, mentre le aziende ricevono soldi pubblici e ammortizzatori sociali che usano per ridurre diritti e salari. La riforma non ha creato occupazione, ed è irritante che il virgulto con la h aspirata insista con la bugia; ha piuttosto amplificato la precarietà a sistema. Inutile dire che ha calcato la mano del fisco anche sui risparmi, detassando il gioco d’azzardo (sulla cui proprietà qualche perplesità è legittima). Renzi è a capo di una coalizione (non solo di un partito, già delineata col Rosatellum) di prestigiatori; va in televisione a raccontare illusioni sulla crescita, mentre la disoccupazione sale e le famiglie soffocano nella precarietà. Non credo sappia cosa significhi vivere con l’ansia di perdere il poco; la vede solo lui la crescita, l’Istat e i giornali compiacenti che spacciano le fake news della politica per verità.

HO FONDATO UN PARTITO

Ho fondato un movimento politico, lo fanno tutti. Il mio conta un solo iscritto. Si tratta di un partito senza voti e consenso. Manca di una sede e non ha comitati; non rappresenta nessuno, perché non siamo delle rappresentazioni; non dà voce a un’ideologia, perché siamo persone e non idee.

 

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per una politica del corpo

Il MOVIMENTO DELLA DEFORMITA‘ non ha un colore politico né uno statuto; non si radica nel territorio, svella piuttosto dalle radici. Non appartiene e non dà appartenenza, perché la proprietà è un furto. Non porta valori ma disvalori, deforma e non informa: il Movimento aborre tutto quello che è conforme. E’ un partito senza regole, prìncipi e principi, che non ha un capo e una coda. Quello della deformità è un Movimento che non si accoda.

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VIDEO DELLA CAMPAGNA ELETTORALE

su Youtube DISCESA IN CAMPO

Noi, uomini e donne che aderiamo al Movimento siamo per il disordine, la cattiva sintassi, i paradossi concettuali, gli ossimori lessicali, le aritmie estetiche. Siamo per i linguaggi non convenzionali (e non convenzionati) nell’arte, nella scrittura, nella vita. Noi, uomini e donne del Movimento Della Deformità, rifiutiamo il logos e la teleologia semantica, la logica lineare, l’universo nei significati codificati unidirezionati e ci impegnamo per un’estetica nell’arte come nella vita di tipo circolare, chiaroscurale, gastrointestinale. Aderiamo a una ricerca superficiale, ottica, destoricizzata e decontestualizzata. Siamo per la cattiva digestione culturale, ascoltiamo le peristalsi dell’occhio, sosteniamo l’iperacidità e anzi la promuoviamo come un fatto di coscienza. Difendiamo il brutto, l’osceno, il satiro in tutte le sue forme. Non siamo DADA né DADAUMPA. Diffidiamo della parola “cultura” poiché siamo per una coltivazione manuale e contadina del sapere, diffidiamo della morale e delle sue storture epocali, diffidiamo delle aberrazioni concettuali e delle distorsioni metafisiche. Noi esseri deformi ci dichiariamo cultori dell’insuccesso, del fallimento, di un politeismo antropologico libero dai confini geografici, ideologici e temporali. Difendiamo il corpo e la carne in tutte le manifestazioni, anche patologiche, la mente nelle devianze, il pensiero paralogico. Aborriamo la lingua nella sua attuale codifica, la bellezza nelle transustanzazioni dell’Io, il diritto consustanziale all’economia. Crediamo nell’etica di Topolino più che in quella di Croce o di Marx, crediamo che i Puffi (pur essendo alti due mele o poco più) siano giganti della cultura, crediamo che Paperina sia più sexy di Belen, preferiamo Paperone che cerca pepite nel Klondike alla new economy che scava nel torbido. Pensiamo e ci battiamo per questo come cavalieri che brandiscono il pennello e la penna, di realizzare un mondo non più di ombre sbiadite, uomini demoralizzati e deumanizzati, ma di cartoni in/animati che fluttuano attraversando il tempo per dare vita a una città di carta svincolata da idee, miraggi e false credenze.

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Cartoni Inanimati, G. Buonofiglio 2015

PUNTI PROGRAMMATCI
– Alla logica deduttiva preferiamo quella seduttiva
– Siamo per l’errore in tutte le sue forme, aborriamo la verità e il suo concetto
– Crediamo, come quel saggio che si perse nel deserto alla ricerca di sé, che cercarsi è un bene ma essere cercati è comunque meglio
– La morale è l’altare su cui sacrifichiamo la nostra felicità
– Ripudiamo la guerra e mettiamo i liquori nei loro cannoni
– De/psicologizziamo e disinfestiamo l’occhio e la lingua dai vecchi retaggi freudiani
– Siamo per tutto ciò che è instabile, incerto, insicuro, a cominciare dalle categorie di spazio e tempo
– Non crediamo a un’etica senza un’educazione estetica
– La bioetica è un tribunale d’inquisizione, chiediamo lo scioglimento di congregazioni che perpetuano delitti contro la civiltà
– Amiamo e rispettiamo la natura, tanto da amarla anche contronatura
– Lo spazio è una contrazione/dilatazione del tempo
– La luce è l’arteficie di questa contrazione
– La contrazione dello spazio comporta il suo annullamento
– L’annullamento porta a una necessaria revisione dei confini geografici e conseguentemente giuridici
– Il tempo è mero flatus vocis ed è frutto della vecchia logica lineare secondo il prima e il poi
– Noi siamo per il durante, siamo esseri in transizione
– Lo spazio prima che un campo fisico è un campo poetico
– Non c’è verità senza giustizia, salute, bellezza. Tutto ciò che non porta a questi tre universali è contrario alla vita e alla civiltà
– Libertà di parola, di pensiero, di sesso. Il grado di civiltà di un popolo si misura con questi tre parametri. I treni forse arrivavano in orario, ma tutto quel silenzio è contrario alla nostra estetica di uomini e donne disarmonici
– Optiamo quindi per il rumore, in tutte le sue forme
– 2+2 fa 4… ma ci riserviamo il dubbio
– Causa-effetto: ci dichiariamo contro le relazioni logiche, alle certezze aristoteliche di potenza-atto preferiamo l’instabilità di Popper
– A Popper preferiamo comunque le poppe
– Ci dichiariamo contro le relazioni in genere, relazionarsi è creare uno spazio e una prigione di luoghi comuni. Siamo contro i luohi comuni
– Rifiutiamo il principio di identità e la carta di identità. Noi esseri disarmonici andiamo al di là di noi stessi, siamo quello che non siamo, che sfugge, che non si capisce. Siamo ossimori di transizione
– Il nostro motto è ambarabàcicìcocò
– Recitiamo Apelle figlio di Apollo… e ci commuoviamo per la palla fatta da Apelle
– Inorridiamo per la figlia del dottore che faceva l’amore con tre civette sul comò

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Inanimazioni G. B. 2001

ETICA DELLA DEFORMITA’

Noi Uomini e donne del Movimento rifiutiamo i concetti di bene a e male. Non siamo superiori né al di là, semplicemente stiamo al di qua. La nozione di al di là non appartiene alla nostra visione del mondo. Non siamo contro lo Stato, anzi lo difendiamo. Pensiamo però che che lo stato debba avere un nome (attualmente chi può delinque e nessuno sa chi sia appunto… stato). Proponiamo di chiamarlo Paperopoli. Sottoscriviamo il diritto del potente di opprimere, di depauperare, di schiavizzare, mallevando Paperone da ogni responsabilità giuridica, etica e morale. Difendiamo coi denti la Grazia da cui discende questo sacrosanto diritto e facciamo di tutto per entrarci anche noi nella “Grazia”. Siamo contro il diritto al lavoro, allo studio, al salario, alla dignità omosessuale e della donna. SGRUNT! Siamo contro la massificazione, noi non massifichiamo, al limite ma sì, ficchiamo. Siamo contro ogni forma di parità: noi uomini e donne disarmoniche siamo esseri dispari. Riteniamo la libertà una chimera della ragione, e il senso della giustizia una malattia dello spirito. Alla teleologia di nonna Papera preferiamo l’epicureismo di Ciccio. Ci dichiariamo liberi tanto da non incatenarci a un concetto sorpassato dalla storia, annullato dalla lingua, schiacciato dalla tecnica. Più che liberi siamo libertini. Crediamo alla felicità e difendiamo con tutte le nostre forze il bicchiere di vino con un panino. L’eudaimonia è stata confinata nel daimonion e sotterrata agli inferi. Noi pertanto siamo esseri inferiori, più che intellettuali gastrointestinali. Amiamo l’eugenetica di Walth Disney e l’apostasia di Gastone, manipoliamo l’anima. Aborriamo la verità e la morale su cui si è ritagliata la nostra vita, aborriamo la mistica che è fame nella pancia, aborriamo la legge quando è intesa settorialmente e geograficamente. Votiamo esclusivamente quando consumiamo. Siamo per l’uno parmenideo: per noi esseri disarminici non esistono popoli, culture, religioni e civiltà. C’è un solo spazio e un solo tempo, tutto il resto è noia. I confini giuridici sono sorpassati dall’omologazione indotta dalla velocità. Siamo però per la donnalogazione. In/sistiamo quindi nel dubbio paperoghiano e ripetiamo “perché l’ente e non piuttosto il nulla?”. Non solo non abbiamo la risposta, ma titubiamo anche nella domanda SQUARAQUACK! Siamo esseri senza spessore e forma, passeggeri senza senso, frattali privi di storia e di futuro; godiamo il presente e lo consideriamo un regalo. Non per niente si chiama “presente”. Viviamo e non viviamo, presenti/assenti anche a noi stessi. Noi esseri difformi siamo e non siamo.

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Inanimazioni G. B. 2002

POLITICA DELLA DEFORMITA’

– Abolizione dell’istruzione di Stato; non chiediamo la soppressione degli individui già devastati, ma una ghettizzazione
– Abolizione del titolo di studio; il cretino con la laurea ha rovinato ed è il nemico di questo Paese
. Abolizione degli ordini professionali e delle professioni
– Abolizione della tv di stato e di tutte le televisioni presenti nel territorio
– Chiusura delle scuole e abolizione delle leggi. Dichiariamo le leggi fuorilegge
– Abolizione del lavoro
– Abolizione dei sessi, delle razze, dei luoghi comuni. Aborriamo la politica dei luoghi comuni.
– Abolizione dei patrimoni e dei matrimoni
– Abolizione dell’educazione di Stato
– Abolizione dei confini geografici e culturali, di razza, di colore, di sesso, di specie
– Abolizione delle mestruazioni *
– Abolizione delle identità, del nome, dell’Io, della volontà
– Scioglimento della famiglia e dei gradi di parentela
– Obbligo alla lettura
– Coloro che non leggono almeno 300 libri all’anno decadono dai diritti politici e civili
– Obbligo all’ozio, chi verrà scoperto anche solo ad appendere un quadro sarà punito severamente
– Ogni cittadino ha diritto alla felicità
– Ogni cittadino ha diritto al piacere
– Ogni cittadino che incontra un altro cittadino è obbligato a sorridergli; i trasgressori verranno inderogabilmente sanzionati
– Ogni cittadino ha il diritto all’orgasmo, anche sul posto di lavoro; il numero verrà stabilito nel rispetto dei bisogni individuali
– Ogni cittadino ha diritto a vivere senza ambizione, aspirazioni, ideali
– Ogni cittadino ha diritto alla follia in tutte le sue forme; lo Stato abolisce la normalità
– Ogni cittadino ha diritto a vivere senza idee, fede, valori, credenze.

Lo Stato si impegna a far rispettare i punti sopra citati; garantisce altresì:
– Il diritto alla disinformazione; coloro i quali avranno esercitato la professione del giornalista saranno privati dei diritti civili e politici, allontanati dalla città e espropriati dei beni
– Il diritto alla deformità; lo Stato incentiva e sostiene ciò che è informe o non conforme
– Diritti e pari dignità per tutte le specie viventi
– Lo Stato difende e sollecita il piacere nelle diverse espressioni
– Soppressione degli esercizi intellettuali non finalizzati alla soddisfazione del corpo.

Lo Stato protegge i suoi cittadini dalla cultura, dalle credenze, dall’informazione; difende e tutela il cittadino anche da se stesso.

ESTETICA DIELLA DEFORMITA’

Ogni cosa è luce spazio e tempo. Fedeli all’uno eleatico siamo per l’annullamento dello spazio e la contrazione del tempo. Il corpo non è immune a questo processo di de/composizione. Indeterminati nello spazio e nel tempo i nostri corpi si presentano deculturalizzati, depsiclogizzati, clarabellizzati. Anatomie deformate decontestualizzate, de/organizzate, avulse dal contesto estetico e dalle abitudini della lingua. Luci, parole, musiche vibrano come cacofonie distoniche, sono vita priva di organi che si muove nello spazio alla ricerca di un non senso. Noi uomini e donne deformi siamo e realizziamo cartoni in/animati senza finalità, privi di anima e senza Dio. Produciamo corpi di cellulosa che non si possono redimere né salvare, ospedalizzare o patologizzare.  Noi esseri deformi manipoliamo la vita nella sua profonda insondabile superficialità.

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Inanimazioni G. B. 2015

INVITO ALLA DEFORMITA’

Uomini e donne vi chiediamo di aderire al Movimento Della Deformità. Non abbiamo casacche né idee da vendere. L’ideologia è stata sotterrata e svenduta al supermercato col 3×2. Non abbiamo altro da proporvi fuori dalla nostra dignità di esseri liberi. Aderite alla nostra estetica di carta, non chiediamo che indeterminarvi. Come nel principio di Paperoga σχ σρ ≥ h/4π. Cerchiamo l’instabilità piuttosto che l’equilibrio, la probabilità prima della certezza. Vogliamo proseliti non prosseneti… SGRUNT!

* (Nota Personale)
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