LA REGOLA DELLO STUPRO

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E’ successo ieri a Milano: una donna di 81 anni è stata violentata. Questo è un Paese per vecchi, immobilizzato e polveroso. I giovani se ne vanno e anche agli stupratori tocca insomma arrangiarsi. Quando hai fame (giusto per mettersi nella testa del suino) non stai a sottilizzare: non t’importa l’età della gallina, comunque fa buon brodo. Lo stupro come altre forme di violenza sta diventando la regola nel Paese delle eccezioni. Ho provato a delineare un identikit dello stupratore medio e di come agisce. Sembra ci sia un rituale nella scelta della vittima (donna, il più delle volte, qualche trans perché lo stupratore non fa differenze di genere e a volte pure di specie), del luogo (spesso isolato per ovvie ragioni), dei modi (dall’avvicinamento, all’atto, alla fuga). Il canovaccio è sempre lo stesso.

Regola I

Lo stupro è quella curiosa pratica sessuale attraverso la quale prendiamo possesso del corpo dell’altro senza che l’altro lo desideri. Stuprare non è facile, raramente è qualcosa di istintivo; richiede attitudine e sacrificio; il primo dei quali è quello della coscienza: lo stupratore è convinto che l’altro esista unicamente per i suoi vomitevoli passatempi. Non è forse nato apposta?

– Chi è lo stupratore: chi aspira a diventarlo deve essere cinico, violento, erotomane e complessato. Non entro nel merito dell’indagine psicoanalitica, ma ci siamo capiti: ce l’ha piccolo. Se non è tutto questo è meglio che rinunci. Onde evitare brutte figure; onde evitare che l’altro ci stia.

Regola II

– Come si veste lo stupratore: l’abbigliamento sembra fondamentale, curato nei minimi particolari. In testa un passamontagna, spesso forato all’altezza del bocca in modo che consenta il passaggio della lingua. I pantaloni hanno tassativamente la cerniera lampo; sbottonare richiede del tempo e il suddetto non ne ha molto a disposizione.

Regola III

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– Come agisce lo stupratore: scelta la preda (morigerata nei costumi e pura nello spirito, insomma per quanto è possibile illibata: se non lo è, il rischio è che non solo partecipi attiva allo stupro, ma che ci prenda magari gusto), dapprima si comporta con discrezione e gentilezza, onde conquistarsi la fiducia della stessa. Se la vittima sospettasse le vere intenzioni potrebbe non solo dileguarsi, ma decidere o meno di cedere. E il vero stupratore non accetta regali: quello che vuole se lo prende e basta.

Regola IV

– Dove porta le sue vittime lo stupratore: ottenuta la fiducia, la preda potrà seguirlo ovunque. Anche di notte in strade deserte, magari nel suo appartamento. L’essenziale è che fino al momento della rivelazione non si accorga di quello che succederà da lì a poco. L’arma prima di uno stupratore è infatti il terrore, e il terrore non può avere alcuna preparazione. Il virtuoso non opera comunque mai in metropolitana.

Regola V

– Come si rivela lo stupratore: se in macchina, e la vettura è munita di un apparato elettrico, comincia a chiudere gli sportelli automaticamente preparando un eccitante clima di diffidenza. Cosciente di non di non avere possibilità di fuga, è quanto meno probabile che la vittima rimanga terrorizzata facilitando il compito. Ad ogni modo la rivelazione è sempre brutale e inattesa: se finora avrà sospettato, da adesso non dovrà più avere dubbi.

Regola VI

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Che cosa fa uno stupratore: uno stupratore stupra. Affinché si possa però parlare di violenza è necessario che il predestinato non solo non sia consenziente, ma che non ci goda nemmeno. Se gode, come sa ogni giudice chiamato a pronunciarsi sull’ipotetico reato, non c’è violenza ma mutuo consenso. Supposto quindi che la vittima non ci stia, la successione degli eventi è  sequenzialmente impostata:
1) assoggettamento della preda: il rituale porta a mettersi sopra ed impedirle ogni movimento;
2) i vestiti non vengono tolti ma lacerati, le mutande strappate (il rumore del tessuto che va in frantumi suscita un vero stato di panico);
3) il coito è rudemente animale (cosa che rende più imbarazzante e posticipa la denuncia). Per evitare di farsi mordere la lingua lo stupratore evita il bacio in bocca;
4) la regola è quella di insultarla, violentandola anche a parole (come se in fondo le piacesse). L’umiliazione dapprima suscita qualche reazione, poi subentra la rabbia, lo svilimento e infine la resa;
5) ad eiaculazione avvenuta lo stupratore si alza e si allontana con indifferenza, come se nulla fosse accaduto: non lo ha infatti voluto lei? Quante storie, si vedeva che non desiderava altro.

Regola VII

– Come abbandona la sua vittima lo stupratore: completamente nuda e magari malconcia. Lo scopo è di impedirle di correre a chiedere aiuto; se perciò non avrà vestiti addosso e sarà dolorante è evidente che il suino potrà allontanarsi in tranquillità. Perché il carattere dello stupratore è quello: la tranquillità d’animo e la coscienza di avere fatto la cosa giusta.

Da Lezioni di sesso (il sesso in cinque lezioni)

 

CARTA, FORBICE, SASSO

La stretta di mano ha un’origine popolare e nasce dal bisogno di rassicurare qualcuno.sulle buone intenzioni. Specie nel Medioevo i viaggiatori portavano grossi coltelli e le aggressioni non mancavano; offrendo la mano si mostrava di non essere armati ma innocui. Come spesso accade, anche questo come altri comportamenti collettivi è diventato un’abitudine, fino a sconfinare nella buona educazione. In Italia sta sparendo, un po’ per le mode che mal sopportano certe formalità desuete, ma soprattutto perché si è attenuato il contratto di fiducia che è alla base del vivere comune. Anche il codice civile riconosceva dignità giuridica al gesto che sanciva un accordo tra le parti. Il contatto fisico è ora ridotto al minimo, le mani stanno sempre più nelle tasche dei pantaloni, ed è sostituito da pacche sulla spalla e da quel lambirsi le dita che ricorda carta-forbice-sasso. Una sfida in cui vince il furbo, quello più abile e pronto a tirare il sasso e a nascondere la mano.
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Libreria Mondadori

De rerum contronatura

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nelle librerie Hoepli

“Tempo fa uno sconosciuto mi chiese di fare l’amore. Non usò propriamente l’espressione “fare l’amore”, si servì piuttosto di una nota metafora domestica. La sua proposta era comunque chiara. Compresi allora che le mie possibilità di acchiappare erano di colpo raddoppiate. Non solo avrei continuato a correre (per lo più inutilmente) dietro alle gonnelle, ma quelle gonnelle avrei potuto metterle io stesso facendomi a mia volta rincorrere da nerboruti e irsuti individui di sesso maschile. Lì per lì sintetizzai le mie motivazioni con un deciso e virile “no!”. Non dissi altro e gli voltai (per modo di dire) le spalle. Solo più tardi riuscii ad argomentare la mia scelta: a) le mie gambe non mi consentono di indossare l’indumento in questione; b) l’ enfisema non mi permette di correre più di tanto, handicap che mi rende vulnerabile e facile preda di partner occasionali; c) non mi piacciono gli individui di sesso maschile, specie se irsuti e nerboruti. “Che stronzo!”, pensai. Non capii immediatamente che lo stronzo ero io. Per due fondamentali ragioni: 1) il piacere non distingue tra maschio e femmina e 2) chi si accontenta, come si dice, gode. Pratica oramai in disuso e pressoché anacronistica da quando il sesso debole ha legittimamente deciso di non voler essere più tale. Di essere cioè libero e, come sempre più spesso accade, pignolamente selettivo. Così infatti deve essere se un individuo esteticamente superdotato come il sottoscritto non riesce a praticare che via etere (da cui il neologismo etere-sessuale), tramite quel virtuale strumento preventivo delle malattie veneree che è Internet.

Al di là delle pur entusiastiche riflessioni sulla moderna innovazione in campo tecnologico, che è tempestivamente intervenuta a colmare la colpevole assenza della vetusta “topa” con il più igienico e meno problematico “mouse” (sostantivo non a caso maschile), l’anonimo aveva insomma ragione: non solo esprimeva il diritto di amare chi e come voleva, ma era all’avanguardia sui tempi. Lo capii tardi, che stronzo.

Assume allora un senso insolitamente etico questo corso accelerato per aspiranti gay, e un contenuto morale la sua esposizione in forma scolastica: fornire al neofita che ha deciso di convertirsi gli strumenti più adeguati e aggiornati per iniziarsi ad una normale e sana vita pederasta. O, se si vuole, i fondamentali consigli di adattamento da applicarsi nella lotta selettiva per la sopravvivenza. Sottraendo i videoamatori al solitario sesso cibernetico, e salvaguardando i superstiti conservatori dall’umiliazione di un rifiuto pressoché certo da parte di una femmina che sta oramai completando il suo processo autofecondativo.

Combattuto tra i dubbi della coscienza e la perplessità della scelta di fronte ad una proposta tanto viziosa dell’esistenza, orgogliosamente genitale, e non di meno provocatoria nei confronti di un secolarizzato indottrinamento ideologico che è stato capace di fare dell’infelicità una virtù, anche il lettore più disponibilesarà forse tentato di assestarsi su una posizione conservatrice sentenziando che è “contronatura” e … magari anche di prendere moglie. Niente di male. Vorrei però ricordargli che la discriminante ecologica non è mai sostanziale, e che il concetto di “natura” è molto spesso un comodo e ozioso alibi, peraltro infondato. Perché, al di là del facile stereotipo, i gay la natura la amano eccome, come e più di altri; la amano anzi così tanto da volerla amare talvolta anche contro natura.

A dissuaderlo dal bisogno malsano di convolare a nozze dovrebbe poi bastare una considerazione di tipo logico (deducibile nientemeno da santo Anselmo), semplicemente meditando sul fatto che se la moglie fosse una cosa buona, Dio probabilmente ne avrebbe una”.

Cum vizio et voluttà

l’autore

Odio quelli che…

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MINISTORIA DEL BAGNO E DEI SUOI INDISPENSABILI ACCESSORI

SULL’IGIENE PERSONALE ET I MODI DI NETTARSI

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(da Consigli, amenità e facezie sopra l’esercizio del

meretricio e dei lupanari)

GABINETTO

L’interesse per lo gabinetto et la funzione sua non è affatto recente. Erasmo da Rotterdam ad exempio nel secolo Sedicesimo cogitava sulle funzioni corporali, consigliando di coprire con un colpo di tosse il suono sgradevole di un peto (“Sostituite le scoregge con un colpo di tosse”), et di non salutare nessuno mentre sta urinando o defecando. La storia della stanza da bagno è però antichissima. Già i primitivi portavano i resti organici vicino a qualche fonte di acqua corrente; fu però nelle isole Orkeney, in Scozia, che diecimila anni fa si costruirono le prime tubature idrauliche per portare gli escrementi fuori dalle abitazioni. Et così per la prima volta la gente poteva andare di corpo nelle case, senza la necessità di uscire all’aperto. In Oriente l’igiene era una specie di culto, tanto che dal 3000 a.C. molti edifici avevano lo bagno privato (in Pachistan sono stati trovati bagni pubblici e privati muniti di condotti in terracotta et rubinetti per lo flusso dell’acqua). I più elaborati tra i bagni antichi appartenevano alle famiglie reali del palazzo di Cnosso, a Creta (2000 a.C.). I nobili minoici pare infatti che si dilettassero in vasche riempite et svuotate da condotti in pietra, poi sostituiti da tubi di ceramica. Le tubature trasportavano acqua calda e fredda, mentre lo palazzo era dotato di una latrina con serbatoio (il primo water closet della storia); tale serbatoio era progettato per raccogliere la pioggia et in sua assenza in modo tale da potersi riempire a mano. In Egitto le comodità de lo bagno subirono un notevole miglioramento; nel 1500 a.C. le case degli aristocratici avevano tubature in rame attraversate da acqua calda e fredda, et l’immersione nelle vasche prese un significato quasi religioso. Con la legge mosaica gli ebrei (nel regno di Davide et Salomone furono costruiti nella Palestina complicati impianti idrici pubblici) fecero dell’igiene nientemeno uno dei componenti essentiali della halakah.

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WATER CLOSET CON SCIACQUONE

Questa imprescindibile comodità dell’età moderna era già in uso dalla famiglia reale minoica 3500 anni fa. Dopo una moltitudine di experimenti, fu solo nel 1596 che Sir John Harrington ideò una “perfetta latrina” per la regina Elisabetta, sperando di rientrare nelle grazie sue dopo che era stato espulso da corte per avere fatto circolare dei romanzi volgari. Lo suo gabinetto comprendeva un serbatoio sistemato sopra l’impalcatura, un rubinetto azionato a mano, una valvola che scaricava le lordure in un pozzo nero. Harrington cadde però nella tentatione di un altro libro, che intitolò “The metamorphosis of Aiax”. L’umorismo irriverente dell’opera irritò nuovamente Elisabetta che lo bandì una volta per tutte assieme alla sua inventione. Et così bisogna arrivare al 1775 per trovare lo primo brevetto di Water con sciacquone; ad opera di un matematico et orologiaio britannico Alexander Cumming. Tale congegno differiva dal precedente per una fondamentale innovatione: il modello di Harrington si collegava direttamente al pozzo nero senza che ci fosse un contenitore d’acqua ad evitare il ritorno degli odori (cosa che la stessa Elisabetta lamentava); nel perfezionamento di Cumming lo tubo di scarico si curvava invece sotto la tazza, in modo da tamponare le esalazioni. Benché di innegabile utilità et di semplice applicazione, ci vollero tuttavia ancora vent’anni prima che il W.C. sostituisse lo vaso da notte.

CARTA IGIENICA

La prima carta igienica viene messa in commercio in America nel 1857, da Joseph Gavetty. Il prodotto, che era in pacchi con fogli singoli, non ebbe lo successo sperato. Gli americani sembra infatti che preferissero i ritrovati de la stampa: cataloghi dei grandi magazzini, giornali, opuscoli, foglietti pubblicitari (che tra l’altro fornivano un utile materiale di distratione). Nel 1879 Walter Alcock provò in Inghilterra a lanciare la moda della carta igienica nella forma dei rotoli a strappo, ma la morale vittoriana non accettò di pubblicizzare un accessorio tanto intimo et imbarazzante. Sempre in America nel 1880 due fratelli newyorkesi, Edward e Clarence Scott, riuscirono alla fine ad imporre il prodotto sul mercato (soprattutto ad alberghi et ristoranti che stavano ristrutturando le latrine per accogliere i nuovi water closet con sciacquone). La carta degli Scott, che era al principio marrone, si trasformò presto nella prestigiosa Waldorf Tissue (detta ScotTissue), portando su ogni rotolo la scritta “morbida come l’antico lino”. Le prime pubblicità erano rispettose della sensibilità de lo pubblico, fino a che dopo la prima guerra mondiale non cominciarono a girare messaggi di questo tipo “Hanno una bella casa, ma la loro carta igienica fa male!”.

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SALONI DI BELLEZZA (TERME)

I romani nel II secolo a.C. fecero dei bagni un ritrovo sociale, dotandoli di giardini, negozi, biblioteche, palestre et sale di lectura. Ad exempio nelle terme di Caracalla si praticavano cure per la salute et la bellezza. Ci si poteva cospargere di oli e abbandonarsi ai maxaggi; godere di bagni caldi, tiepidi o freddi; depurarsi con la sauna; curare i capelli; fare ginnastica nella palestra. Era anche possibile acquistare profumi e cosmetici, dedicarsi alla lectura o ascoltare conferenze, mentre in un’altra sala gli schiavi servivano il cibo et versavano lo vino. Anche se dal principio uomini et donne frequentavano terme separate, in seguito si diffuse la moda dei bagni misti. Tale abitudine continuò per qualche tempo anche dopo l’editto di Costantino (dal principio i bagni non avevano quel carattere promiscuo che presero invece con l’età rinascimentale, quando la parola “bagno” cominciò a significare tanto il bagno quanto lo bordello), finché la nuova religione cristiana non iniziò ad imporre la politica sua (nel 500 d.C. la moda delle terme era oramai decaduta).

SALVIETTE DI CARTA

Uno sbaglio di produzione del 1907 in una fabbrica, portò alla inventione delle prime salviette di carta a strappo. La carta igienica degli Scott proveniva da una cartiera et arrivava nei rotoli, che poi venivano tagliati e ridotti in pacchi formato bagno. Accadde una volta che una partita fosse difettata; poiché il prodotto non era buono per essere usato come carta igienica, uno degli Scott ebbe l’idea di farne delle salviette. Messi in commercio nel 1907, i primi fazzoletti usa et getta erano chiamati Sany-Towel.

RASOIO

Gli uomini si rasavano lo viso già ventimila anni fa servendosi di conchiglie et pietre di selce affilate. Tali strumenti furono perfezionati con l’intervento del ferro et del bronzo. Egizi, greci e romani si radevano quotidianamente (fu il termine romano “barba” a dare origine alla parola “barbiere”). Nelle americhe gli indiani usavano strapparsi i peli della barba uno a uno, utilizzando gusci di molluschi bivalvi come pinzette. Le donne per lungo tempo si sono invece servite della fiamma della candela, sostituita (dopo una serie di attrezzi parimenti dolorosi e abrasivi) nel secolo XIX dal moderno rasoio. Nella nostra cultura lo pelo è stato in generale bandito dalla parti visibili della femmina, eccetto sulla testa, nelle ciglia e nelle sopracciglia (vedi ad exempio H. Bazin, La mort du petit cheval) come surrogato di quella zona che Sigmund Freud chiama il “continente nero”. Ma sull’argomento gli storici dello pelo non sempre concordano nello giudizio, essendoci taluni che chiedono alle compagne loro non solo di fare bella mostra di gambe et ascelle virili, ma di ornarsi abbondantemente le pudende con le zolle di Venere (come puoi leggere nel libro Je suis renvoyé, di Marcel Ayme). Anche tu pertanto, amica mia, potrai secondo lo gusto tuo et lo piacere de lo cliente imbellettarti in quella parte di cui non è lecito dire, a conditione però che il pectiniculus non sia di impedimento al coito. Come è detto in quell’aneddoto che mi fu narrato personalmente da un gentiluomo di cui non faccio lo nome

“Il quale, intanto che si stava con una dama bellissima e di qualità, e le menava stoccate rudi, si sentì a un tratto pungere così forte nei genitali, ch’ebbe mille difficoltà a portare il suo lavoro a compimento. Ma, com’ebbe finalmente terminato, volle tastare il luogo puntuto: e scoprì che costei aveva tutt’intorno alla sua vulva una corona di petali talmente lunghi, ispidi e pungenti, che avrebbero potuto servire a qualche scarpaio in luogo di setole.”

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DENTIFRICIO

Lo dentifricio fu inventato in Egitto 4000 anni fa. Fortemente abrasivo, era realizzato in pietra pomice polverizzata et mischiata all’aceto di vino; la mistura veniva poi passata sui denti con un bastoncino da masticare. Per quanto rustico, lo dentifricio egiziano era certamente più gradevole di quello romano che era fatto di urina umana (nella forma liquida veniva anche usata come collutorio). Le donne romane altolocate pagavano fior di sesterzi per l’urina portoghese, dato che era ritenuta la più forte di tutto lo continente. Il piscio, come elemento delle paste dentifricie e dei risciacqui orali, continuò ad essere usato anche nel secolo XVIII. La caduta dell’Impero romano comportò invece l’arresto delle cure alla bocca. Per cinquecento anni le persone anestetizzarono le sofferenze con intrugli caserecci et extrazioni improvvisate. Gli scritti del persiano Rhazes, nel decimo secolo, segnarono il ritorno dell’igiene dentale; egli fu infatti lo primo medico a raccomandare l’otturazione delle cavità. Allo scopo utilizzava un impasto simile alla colla, composto di allume (ammoniaca e ferro) et lentischio, una resina extratta da una pianta della famiglia del mogano. Benché la sostanza per l’otturazione fosse valida, trapanare una carie richiedeva comunque l’abilità del medico, un’attrezzatura adeguata et un coraggio grandissimo da parte de lo paziente. Il principale problema dei trapani era la rotazione, che era manuale, lenta et dolorosa. Il primo trapano meccanico è del XVIII secolo (munito di un meccanismo rotatorio interno); seguì quello a pedale che aveva però l’inconveniente di surriscaldarsi nella rotazione.

SULLA BIANCHEZZA DEI DENTI

In Europa bisogna aspettare lo secolo quattordicesimo per la rinascita dell’igiene dentale. Nel 1308 i barbieri-chirurghi si unirono in corporazioni; oltre alle estrazioni si adoperavano nello sbiancare i denti (ma anche nel fare la barba, tagliare i capelli et praticare lo salasso). L’operazione consisteva in una limatura dello smalto et in un tampone di acquaforte a base di acido nitrico. Si può immaginare, dopo un simile trattamento corrosivo, quanto dovesse proliferare il marciume della bocca. La pulizia con l’acido continuò fino al XVIII secolo, seminando carie e dolori insopportabili tra la gente.

Per quanto riguarda il fluoro, le cose stanno così: nel 1802, nel napoletano, alcuni dentisti osservarono delle macchie scure sui denti dei pazienti; scoprirono che le macchie erano originate da una interazione tra lo smalto e la quantità di fluoro contenuta nell’acqua della zona. Solo decenni dopo fu chiaro che i denti macchiati erano per quanto sgradevoli privi di carie. Presero allora moda le caramelle a base di fluoro, addolcite con miele, mentre i dentifrici vennero arricchiti dello prezioso minerale.

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DENTIERE

Gli etruschi sono stati i più abili dentisti de lo mondo antico. Estraevano i denti cariati et li scambiavano con dentiere complete o parziali, in cui ogni dente era intagliato nell’avorio o nell’osso, mentre i ponti venivano fatti in oro. Quando una persona delle classi alte moriva, i denti buoni venivano asportati per essere incastonati sulle dentiere. La scientia di questo popolo nel campo dell’odontoiatria non è stata eguagliata fino al secolo XIX. Senza tenere conto della lectione etrusca, i dentisti medioevali insegnavano infatti che le carie erano provocate da vermi dei denti che scavavano per uscire; et era costume tra i ricchi di acquistare i denti buoni dai poveri, che venivano fissati su finte gengive in avorio. Queste dentiere erano agganciate alle gengive con dei fori praticati ne la carne; altre volte ci si serviva di molle per fissare l’arcata superiore, ma erano tanto robuste che bisognava fare una pressione continua per riuscire a chiudere la bocca. L’aspetto delle dentiere diventa più naturale con la Rivoluzione Francese, dato che i dentisti parigini realizzavano i denti in porcellana; in America tale abitudine venne adottata da Claudius Ash, che deplorava la moda di raccogliere i denti sui campi di battaglia. Mentre la porcellana migliorava l’aspetto dei denti finti, la gomma vulcanizzata (perfezionata a fine ‘800) aprì la strada alla prima base comoda su cui inserire la dentatura. Gli interventi furono un decennio dopo perfezionati con la scoperta dell’anestetico (protossido d’azoto).

 

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Da Consigli, amenità e facezie sopra l’esercizio del meretricio e dei lupanari 

QUANDO IL DITO INDICA LA LUNA, LO STOLTO VEDE LA MUTANDINA DI BIANCANEVE

ANDO IL DITO INDICA LA LUNA, LO STOLTO VEDE LA MUTANDINA DI BIANCANEVE

Lo dico perché qualcuno non ha digerito quel “BIANCANEVE GLIELA DAVA”, il mio libro ovviamente senza averlo letto.

QUANDO IL DITO INDICA LA LUNA, LO STOLTO VEDE LA MUTANDINA DI BIANCANEVE

Lo dico perché qualcuno non ha digerito quel “BIANCANEVE GLIELA DAVA”, il mio libro ovviamente senza averlo letto. Ma il torpore intellettuale porta al facile giudizio: si ferma al titolo, la lettura è troppo faticosa. L’impossibile ma verosimile (ed è verosimile proprio in quanto è più vicino alla favola) che tanto piace ai moralisti della lettura, si sostituisce alla verità. Vogliono le favole e c’è sempre uno pronto a raccontarle. I bambini (quelli con cui si riempiono la bocca di belle parole) li fanno stuprare da una lingua che li svuota in profondità; e questo invece è legittimo e si può fare. Destrutturare (che brutta parola) le favole vuol dire restituire alle cose una dignità, spogliandole dalle parole e dai luoghi comuni. Scrivere della vita è un esercizio immorale, lo so, ma vuol dire anche prendersi cura della verità nella maniera giusta, senza sovrastrutture culturali e veli di ipocrisia.

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E ‘STI CAZZI NON CE LO METTI?

Nun me rompe er ca non è un’espressione vorgare. A uno mica je poi dì: me stai a frantumà er riproduttivo. Je devi fa’ capì che nun te dà sollazzo, ma che appunto te sta rompenno er ca.

NUN ME ROMPE ER CA
Nun me rompe er ca non è un’espressione vorgare. A uno mica je poi dì: me stai a frantumà er riproduttivo. Je devi fa’ capì che nun te dà sollazzo, ma che appunto te sta rompenno er ca. Pe’ fallo ce vole convinzione, la faccia tosta, ‘na certa padronanza pe’ risponnere alla malacreanza. Ma soprattutto lo stile un po’ sottile di quelli che nun s’accontennano de darti der cojone, ma a te e la tua famija pe’ ‘na generazione. Perché quella è ‘na cosa che passa da padre in fijo, come la talassemia: e apperciò rompi er cazzo tu, tua madre e tua zia. Quannno uno fa parte d’una famija, capita che quarche ‘nsurto se lo pija. Nun se tratta d’insurtare, ma de farse rispettare; e nun lo poi fare co’ l’italiano forbito, je devi proprio mostrare er dito.

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RIGURGITI ROMANESCHI (E ‘STI CAZZI, NON CE LO METTI?)

LA MOJE NINFOMANE
M’è toccata ‘na sciagura; nun è che er sesso me piace, è che proprio nun pijo pace. ‘Na vorta me bastava mi marito, poi so’ passata a ‘n amante, poi due, tre e ancora nun me sazio l’appetito. So’ pure andata dar dottore, pe’ vede’ se c’era quarcosa pe’ nun fa’ l’amore. Perché so’ malata e vojo esse’ curata. Quello me guarda abbrunato e me fa, signora mia è ‘na patologia. Ecco, famme er certificato per come so’ ridotta, che mi marito dice che so’ ‘na mignotta.

LA MEJO DONNA
La mia donna c’ha ‘na virtù rara, che quanno te fa un sorriso te porta ‘n paradiso. E poi pure esse depresso e pensare alli mejo mortacci tua, poi l’abbracci e te pare de volà ar cielo. E nun importa se non ci trovi li santi, la madonna o er principale suo, pecché n’ommo ‘nnamorato po pure farne a meno: a che je serve l’onnipotente quanno sta bene e un je manca gniente?

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SITO WEB http://rigurgitiromaneschi.weebly.com/

 

 

 

CHE VUOL DIRE CONTRONATURA?

LA BELLA INTERVISTA DI FRANCESCO SANSONE  AL LINK  IL MONDO ESPANSO

DIVENTARE GAY IN DIECI LEZIONI copertina

 

Da DIVENTARE GAY IN DIECI LEZIONI (De rerum contronatura)
sito web http://gaylibro.weebly.com

STORIA DELL’OMOSESSUALITA’

Non si può dire con sicurezza se la pederastia (paiderastia), come molti pensano, sia arrivata in Grecia da Creta (dove, come dice Teopompo, ognuno era dispostissimo ad offrire il proprio deretano a chiunque lo chiedesse), o da Sparta (un giovane spartano aveva ben quattro tipi di rapporti 1) rapporti occasionali nelle caserme, 2) la relazione con un pedagogo più anziano, 3) il matrimonio, 4) una o più relazioni con un‘eromene, cioè con una fanciulla non maritata che veniva posseduta analmente), oppure se sia stata ereditata direttamente dal vecchio Laio (che, da sessuamane qual era, rapì il figlio di Pelops, Crisippo, portandolo nascostamente a Tebe). Per Aristotele, che a buon diritto si può considerare il primo vero sessuologo della storia, ad inventare il coito anale furono piuttosto due eterosessuali del calibro nientemeno di Teseo ed Elena; ma anche su questo argomento le affermazioni dello scienziato appaiono laconiche e, come sempre quando tratta l’argomento “sesso”, di parte. Sta di fatto che questo tipo di attività erotica non solo era ben tollerato ad Atene ma addirittura istituzionalizzato e protetto con severe leggi dall’autorità. A patto naturalmente che si rispettassero alcune regole di fondo concepite per tutelare la dignità dei due amanti, ed in particolare del partner più debole e effeminato (malthakos):

– a) la coppia doveva essere formata da un adulto (l’erastes, una specie di pedagogo colto ma incline al vizio) e da un giovanetto (l’eromenos); mentre, se non proprio vietato, era comunque sconsigliato il coito fra coetanei che avessero entrambi passato la pubertà. Rari anche sono i casi come quello di Agatone che prese un adolescente di diciotto anni, Pausania, e lo tenne con sé per dodici (per lo meno a sentire quello che Platone dice nel Protagora: Eppure, quando l’altro giorno l’ho visto [Pausania], mi sembrava -sì- ancora un bell’uomo, ma un uomo, appunto, caro Socrate; per dirla tra noi: già gli fiorisce in pieno la barba);

– b) le intenzioni dell’adulto dovevano essere chiare da subito: l’erastes aveva l’obbligo di notificare alla famiglia e gli amici dell’eromenos di cui era innamorato, il desiderio di corteggiare il fanciullo; in genere una richiesta di questo tipo era considerata un onore, e i familiari rifiutavano il consenso solo se l’erastes era considerato indegno. Nel caso invece l’uomo godesse di una buona reputazione (e naturalmente di un rispettabile conto in banca) poteva portare con sé il giovane (a cui aveva l’obbligo di fare da tutore, di nutrirlo, istruirlo, proteggerlo e, quando fosse cosa gradita, di fargli regali costosi) e goderselo (ossia di penetrarlo, paiderastein, da cui il termine paidea, che vuol dire “educazione”, “istruzione”) per un tempo imprecisato. Una chiara documentazione su questo tipo di rapporti amorosi ci è stata lasciata da Aristofane che, nella commedia Gli uccelli, fa dire a Pistetero: [mi piacerebbe vivere in] un paese dove un tale, padre di un fanciullo, incontrandomi mi facesse una rimenata di questo genere, come offeso: “Bravo! Trovi mio figlio che torna dalla palestra, tutto ben lavato, e non gli dai un bacio, non gli dici una parola, non lo porti con te, non gli tasti i coglioni: tu, un amico di famiglia!;

– c) in cambio dell’istruzione che riceveva, il giovanetto doveva accettare che il maestro gli mettesse il pene tra le cosce (l’atto di “fare tra le cosce” era considerato sacro e veniva chiamato diamerizein, cioè “coito intercrurale”) o, anche se con particolari accorgimenti e posizioni che ne salvaguardassero la dignità, nell’ano (cioè nel kusos, parola che significa tanto deretano quanto vulva; i greci non si perdevano affatto -come di vede- in inutili sofismi dialettici quando si trattava di sesso). La tendenza era insomma quella di privare l’eromenos se non del piacere comunque dell’orgasmo conclusivo. A testimonianza di questo interessantissimo, quanto intellettuale, modo di concepire la dinamica omoerotica, si può leggere quello che Platone scrive nel Simposio: Il ragazzo, nell’atto amoroso, non partecipa del piacere dell’uomo, come avviene per una donna; distaccato, sobrio, costui guarda il suo partner ubriaco e pieno di desiderio sessuale;

– d) benché fosse tollerato, il coito anale (binein) tra persone adulte era ostacolato dall’autorità e comunque denigrato dai cittadini ateniesi che lo consideravano poco decoroso per il soggetto passivo. La regola, come ci informa Alceo, rimaneva sempre quella di “fare tra le cosce”: Quando nel bel fiore della gioventù si innamora di un fanciullo, bramando le sue cosce e la sua dolce bocca;

– e) raramente il giovane veniva sottoposto, nella sua istruzione amatoria, all’atto del laikazein (fellazione), né veniva umiliato chiedendogli una femminea laikastria (pompinata). Pratiche sessuali considerate denigranti per l’uomo e di uso esclusivo femminile (in particolare delle meretrici che esercitavano nel porne, nel bordello);

– f) era severamente proibito l’adulterio, non solo alle donne maritate, ma anche ai giovinetti in tutto il periodo dell’afrodisiazein, del tempo cioè dedicato all’iniziazione amorosa. Questo tipo di infrazione poteva anche essere punito; Aristofane nelle Nuvole racconta, magari con qualche esagerazione, che all’euruproktos (letteralmente: “culaperto”, così il commediografo simpaticamente chiamava l’eromenos) trovato tra le braccia di un altro uomo, veniva talvolta infilato nell’ano (con una finalità educativa) un piccantissimo ravanello;

– g) favorevole a stimolare un po’ tutte le espressioni della sessualità, la legge ellenica era molto severa contro la prostituzione maschile, e piuttosto tollerante verso quella femminile. Per una fondamentale ragione pratica che fa ancora oggi di quello ateniese uno dei popoli più vigili in campo etico che l’umanità abbia mai avuto: poiché nella polis era il maschio ad intraprendere la carriera politica, era logico impedire a una persona abituata a vendersi per denaro di accedere alle cariche pubbliche; proibendo in tal modo a chi avesse interessi privati di assumere incarichi difficilmente (se uno vende se stesso è facile che si lasci tentare di vendere una decisione, una legge) compatibili con la propria storia personale. La modernità di questo atteggiamento non ha ovviamente bisogno di commenti. Per quanto riguarda specificamente questo problema, notissimo fu un caso giudiziario che avvalora quanto si è detto sulle qualità morali di cui un uomo di governo doveva avere dato prova di affidabilità; il processo intentato da Eschine nel 346 a.C. al politico ateniese Timarco, sospettato per l’appunto di essersi in giovane età prostituito per denaro.

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DAL MANUALE DELL’ANTIPSCHIATRIA

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DA CRONACHE DALL’EPIGASTRIO

(memorie dalla pancia)

sito web del libro http://cronachedallepigastrio.weebly.com/

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I SECRETI AMOROSI DI ISABELLA CORTESE

consigli, amenità e facezie sopra l’esercizio del meretricio e dei lupanari

CONSIGLI IGIENICO-SANITARI SOPRA I MODI DI PRENDERE MAGGIORE DILETTO NELLE COSE AMOROSE ET SALVAGUARDARE LA SALUTE DE LO CORPO

I presenti secreti venerei sono tratti dal mirabilissimo prontuario di donna Isabella Cortese (“I secreti della signora I. C.”), maestra impareggiabile
ne la scientia de lo membro, pubblicato a Venezia nel 1584 (A); con l’aggiunta di qualche consiglio medicamentoso preso da “I segreti dell’arte profumatoria” (Venezia 1555), di Giovanni Ventura Roseto (B).
A)
ALLI PORRI SOPRA LA VERGA (cap. XVI)
Piglia orpimento del più bello, e quello si triti sottilmente, e mettilo in una piccola boccetta, tenendola sopra i carboni accesi, e l’orpimento si verrà a liquefare, dove il tenerai tanto, che in tutto non sia desiccato, e che non si abbrucci, e che sia in color di rubino, e condotto a tal modo, ne pigliarai quella quantità che vorrai, per bisogni, e tritalo sottilmente, poi habbi acqua d’alume di rocca e di quella bagnerai i porri, e lavati gli infalarai di questa polvere, e lassagli, così farai due volte al dì, et in tre giorni sarai libero.
ALLE CRESTE E MORICI, SANARLE IN TRE DI’ (cap. XII)
Piglia euforbio, cinabrio, olio de mastici, ana incorpora e suffumiga con le dette cose, e guarirà.
PILLOLE CONTRA IL MAL FRANCIOSO (cap. XVIII)
Piglia elleboro nero, turbiti eletti, ana, gengiovo, bistorta, terebintina, dittamo bianco, diagridio, rubarbaro eletto…
ALLI CALLI DELLE MANI PEL MAL FRANCESE (cap. XXIV)
Malva, viola,caoli, semola, grasso di castrato… Ogni cosa fai bollire con lisivaccio marcio, poi ricevi quel fumo nelle mani, e ciò farai due volte al dì.
A FAR DRIZZAR LO MEMBRO (cap. LXIII)
Testicoli di quaglie, olio benzui, di storace, sambucino ana, formiche maggiori con le ali, muschio, ambra di levante… mistica ogni cosa insieme, et adopra al bisogno.
CONSERVA DA DENTI (cap. XLVIII)
Prendi sangue di drago, alume di rocca bruciato, incenso, mastici, sale, peli delle cimatura di grani ana, e siano tutti ben pesti e setacciati, e mistificati col zuccaro rosato, o col miele.
A FAR STAR LA CARNE SODA (cap. CCXX)
Piglia acqua quanto vuoi et mettila in una inchistara, poi mettici lume di rocca brugiata, et fior di osmarino, et falla star al sole per otto giorni, et sarà fatta.
A MANDAR VIA PORRI E CALLI FRA LE DITA (CCXXI)
Habbi orecchina del muro, cioè sopranina maggiore, e levavi quella prima pellicina sottile di sopra, et metti detta herba sopra i calli fra le dita, et concela in modo che vi stia suso, e questo fa per sei, o diece volte, mattina e sera, et presto anderanno via.
B)
BELLETTO DELLE DONNE
Pigliate litrigerio d’oro di oncie una, boraso in pietra, lume gemini anna oncie meza, canfora dragme tre, oglio di tasso oncie due, ponete ogni cosa insieme, con acqua rosa oncie sei, e poneteli a dissolvere, e solute che saranno mettetevi a distillare, e come vorrete far l’opera pigliate una parte di questa acqua, e una parte di aceto distillato, e mescolate assieme, e ponete detta compositione sopra le palme delle mani, et adoperatela.
A FAR BIANCHE LE MANI
Pigliate trementina oncie due lavata otto fiate con acqua rosa, butiro fiate, biacca oncie una, canfora dragma mezza, pestate et incorporate sottilmente, et ongetevi le mani, e questo fate quando andarete a dormire, e portate li guanti in mano, accioché l’onto s’incorpori nelle mani.
A LEVAR LE CRESPE DAL VISO
Plinio dice che lo latte d’asina ha quella virtù, che a lavarsi la faccia con quella scaccia le crespe, et è provato.
A CACCIAR LE LENTIGGINI DAL VISO
Pigliate fele di becco, e mescolatelo con l’oglio di solfere vivo, espongia arsa, e fatela in forma d’unguento, e mettetela sopra il fuoco che vorrete operare sopra ‘l viso, o petto o spalle, e vedrete.
A FAR LI DENTI BIANCHI
Pigliate salnitrio, e abbrugiatelo, e pigliate quella gomma, e fregate li denti, e veniranno bianchissimi.
A CACCIAR OGNI MACCHIA DALLA FACCIA
Pigliate orina d’asino, e di quella che finisce d’orinare, e laverete la faccia, che sarà opera bella.
A CACCIAR LE RAPPE DALLA FACCIA
Pigliate colla di pesce, e fatela bollire quattro hore in acqua commune, dipoi pestatela, e distemperatela, e rimanetela fino che la torna liquida come melle, e così preparata salvatela in un vaso di vetro novo, e quando la volete usare pigliate quattro dragme e due dragme di schiante over limature d’argento.
Fai come è indicato in queste pagine, dilettissima fanciulla, et se ti riuscirà di trovare gli ingredienti loro cerca almeno di non intossicarti.

DA IL MANUALE DELLA PROSTITUTA

(consigli, amenità e facezie sopra l’esercizio del meretricio e dei lupanari)

sito web http://ilmanualedellaprostituta.weebly.com/

manuale della prostituta BookCoverPreview (2)

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