“ASSEMBRAMENTO”

Un’altra parola è stata sdoganata: ASSEMBRAMENTO. Non si sentiva dall’epoca del Ventennio e ha sostituito termini come relazioni, affetti, famiglia (il blasonato al governo l’ha sovrapposta anche agli ambienti intimi e domestici). Con una connotazione assolutamente negativa rispetto alla socialità promossa e tutelata dalla Costituzione. Assembramenti sono anche le associazioni, le organizzazioni politiche e le libere espressioni di protesta, anch’esse censurate con l’alibi neanche troppo originale di un virus influenzale.

La stampa igienica e la Tv spazzatura la usano con metodo e anche voi con troppa disinvoltura. Attraverso le parole manipolano il vostro pensare, vi fanno assorbire contenuti che non hanno, veicolando una forma di società autoritaria e priva dei caratteri della solidarietà.

A parte la matrice fascista (o nazimaoista) non sottovalutate il lato semantico. Due o più persone non sono un assembramento, mi sembra una sintesi impropria e riduttiva di una realtà più articolata. L’amicizia, il dialogo, la socialità sono un fatto affettivo. Le aggregazioni politiche il bisogno a riunirsi per dare luogo a un corpo sociale. Le orge, pure loro, non le puoi chiamare assembramenti. Hanno qualcosa di poetico, dipende ovviamente da chi hai dietro. La messa e la scuola anche. Non ho mai sentito dire a nessuno: questa sera vieni a casa mia, facciamo un assembramento. La gente normale cena, si incontra, parla. Ci vuole una mente malata per concepire un gruppo di persone come un assembramento.

Fa tanto mandria o gregge, corpo nelle sole funzioni biologiche. Neanche Marx era arrivato a tanto, da quel che so non ha scritto: proletari di tutto il mondo assembratevi. Eppure questa è la neolingua di un dittatoruncolo spuntato chissà come dall’Istituto Luce. Con mille difetti e un solo pregio, quello di non averne nessuno.

Un giorno si dirà del blasonato: quando c’era lui gli assembramenti arrivavano in orario. Anzi no, credere obbedire distanziare. O meglio: È l’aratro che traccia il solco ma è Casalino che lo difende. Ma forse sui libri di storia verrà ricordato con una sola frase lapidaria: visse un giorno da leone e cento li passò a pecora. Perché può anche capitare che quando vai per fottere vieni fottuto

LA VIROCRAZIA E LA SINDROME DI STOCCOLMA

Vivere in una virocrazia, derogando alla scienza la democrazia e le libertà dei cittadini è pericoloso. Anche nell’emergenza sanitaria (con restrizioni previste dalla Costituzione e ben delimitate nell’ordinamento) sessanta milioni di reclusi fanno comunque impressione. La vicenda è questa: Sgarbi (che è anche un parlamentare) ha in corso un processo per le sue esternazioni pubbliche in merito alle misure prese dal governo: “notizie false, esagerate e tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico (Art. 656 del Codice Penale), Istigazione a disobbedire alle leggi (Art. 415 c.p.) e Istigazione a delinquere (Art. 414 c.p.).

Il PTS (patto trasversale per la scienza) ha inoltre richiesto di adottare ogni provvedimento volto a oscurare o sequestrare il sito web e i canali social del critico d’arte. “Oscurare e sequestrare“. Gli oscurantisti non erano gli altri?

Esiste un patto trasversale per la scienza. Lo apprendo con qualche apprensione, che “oscura e sequestra” il pensiero, la parola, la critica. Le libertà, queste sconosciute alla scienza (o presunta tale). Un luminare (bravissimo nel suo mestiere) ieri ha ammonito il Papa: “Dio vuole che si preghi da casa“. Ho sempre pensato che l’etica non fosse un campo dello scienziato, scopro invece che sconfina anche nella religione. Il laureato in biologia in futuro potrà dire messa, abbiamo risolto l’antinomia tra ragione e fede.

Sostituiamo papa Francesco con uno specialista in igiene e medicina preventiva.

A questo punto si può chiudere il Parlamento e sostituirlo con un comitato tecnico/scientifico permanente. Perché no? Economico, funzionale e pratico.

 

La-guerra-dei-mondi-di-Orson-Welles

 

Non entro nel merito della vicenda Sgarbi, ma la virocrazia mi sembra un’oligarchia degenerata. Parere personale e sicuramente sbagliato (ok). La tecnocrazia non temperata dalla politica è però anche questo: se un esperto di statistica elabora studi e modelli matematici anapodittici sugli incidenti stradali, i tecnocrati del mondo immaginario di Welles potrebbero vietare l’uso delle auto o del tabacco. Proibire su base epidemologica l’alcol, limitare la viabilità a piedi, contingentare le piazze, chiudere giornali e programmi di svago che rincoglioniscono le persone. Chiedete a un sociologo se la tv di Barbara D’Urso abbia determinato un deficit cognitivo su scala nazionale.  Ed è un allarme sociale anche quello.

La scienza ha ragione. Nei numeri sempre.

Non ricordo l’epoca, ma il controllo sanitario sulle condotte individuali, di movimento e di pensiero lo abbiamo vissuto. E aveva un nome: Ordine e disciplina. Leggetevi Foucault, la biopolitica. In Sorvegliare e punire (1975) descrive un lockdown del XVII secolo:

«Alla peste risponde l’ordine: la sua funzione è di risolvere tutte le confusioni: quella della malattia, che si trasmette quando i corpi si mescolano; quella del male che si moltiplica quando la paura e la morte cancellano gli interdetti. Esso prescrive a ciascuno il suo posto, a ciascuno il suo corpo, a ciascuno la sua malattia e la sua morte, a ciascuno il suo bene per effetto di un potere onnipresente e onnisciente che si suddivide, lui stesso, in modo regolare e ininterrotto fino alla determinazione finale dell’individuo, di ciò che lo caratterizza, di ciò che gli appartiene, di ciò che gli accade. […] la penetrazione, fin dentro ai più sottili dettagli della esistenza, del regolamento ­– e intermediario era una gerarchia completa garante del funzionamento capillare del potere; non le maschere messe e tolte, ma l’assegnazione a ciascuno del suo “vero” nome, del suo “vero” posto, del suo “vero” corpo, della sua “vera” malattia. La peste come forma, insieme reale e immaginaria, del disordine ha come correlativo medico e politico la disciplina.»

La quarantena è sopravvissuta alla peste come possibilità di normare lo spazio urbano, le vite e i corpi portando alle società disciplinari autoritarie e fasciste  del XX secolo. Il pericolo reale è che il cordone sanitatrio diventi nel tempo sorveglianza, repressione e controllo sociale. C’è da augurarsi che a qualche mascherina autoritaria travestita da virologo non venga in mente di estendere nel tempo le misure restrittive ai diritti costituzionali inviolabili, magari con maglie allargate solo per consumo, studio o lavoro.

Sul Manifesto del 26 febbraio scrive Giorgio Agamben: “Innanzitutto si manifesta ancora una volta la tendenza crescente a usare lo stato di eccezione come paradigma normale di governo. Il decreto-legge subito approvato dal governo per ragioni di igiene e di sicurezza pubblica si risolve infatti in una vera e propria militarizzazione dei comuni e delle aree nei quali risulta positiva almeno una persona […] Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite. L’altro fattore, non meno inquietante, è lo stato di paura che in questi anni si è evidentemente diffuso nelle coscienze degli individui e che si traduce in un vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo, al quale l’epidemia offre ancora una volta il pretesto ideale. Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo”.

Al termine dell’emergenza “Il tran tran sarebbe ricominciato, ma con più controllo di prima, più sorveglianza, e con l’idea condivisa che da un giorno all’altro si poteva bloccare la cultura, vietare ogni riunione, associazione, assembramento di persone non finalizzato al mero consumo, col consenso di un’opinione pubblica impaurita (qualcosa si deve pur fare!). O meglio: col consenso dei media e di una minoranza rumorosa di imparanoiati, che creavano l’effetto di un’opinione pubblica impaurita”.

La paura genera mostri e apre un varco allo stato di polizia e non più di diritto. Non siete criceti ammaestrati per vivere in una gabbia, o no?

 

sorvegliareepunire

#covid-19 #coronavirus #decretoconte #zonarossa #quarantena #sgarbi

 

FILOSOFIA SOCIALE

Ho seguito quel che è accaduto sulla bacheca della donna di Settimo Torinese; non ho l’indole del guardone, i fatti sono quelli (una madre uccide il figlio) e non li giudico. Giudicare è un mestiere da logico e la logica istituisce relazioni. Ho l’idiosincrasia per le relazioni, ci vuole uno spirito sociale e il carattere da voyeur che non ho. I social seguono una logica matrimoniale e proprio come in certi matrimoni creano sodalizi inossidabili su un’idea piuttosto che nelle cose; le cose o i fatti sono assolutamente marginali, ciò che conta è la comune visione. A sua volta la visione comune necessita di luoghi abituali (appunto comuni) del ragionamento e della parola. In sostanza vuol dire: stesso dizionario, non troppo articolato e identità di pensiero. Ed è logico: se pensiamo diversamente dobbiamo anche essere diversi per antropologia (tertium non datur) e dunque il matrimonio non funziona. Di norma il soggetto asociale viene bannato e bannare significa divorziare, il luogo non è più in comune, la casa è mia e tu vai a rompere i coglioni da un’altra parte. L’identità prevale sulla diversità, funziona così nei social come nella vita e i parenti si mettono davanti alla porta di casa impedendo l’accesso all’escluso. Il terzo escluso appunto, l’incomodo che cerca la relazione con i fatti prima ancora che tra le idee.

Più o meno consapevolmente i membri dei gruppi sociali parlano di filosofia, o meglio sono portatori sani di un pensiero filosofico. Proprio dalla pagina della madre scellerata di Settimo ho estratto un ordine di ragionamento inappuntabile, come ogni pensiero strutturato attorno alla medesima idea: sei una zoccola e devi morire. Difficile confutare. Mi limito a riportare le massime e sentenze più significative, alcune davvero sottili e raffinate; quelle di tale Antonio S. Il mio filosofo preferito dopo Aristotele.

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SULLA DEPRESSIONE
Antonio S.: Ho sentito parlare di depressione, ma è assolutamente non credibile. Una persona depressa non fa sesso, e soprattutto nessuna malattia può giustificare. Io stesso ho sofferto tanto nella vita, e non ho mai fatto male ad una mosca.

– Risposta:

Carlo Z.: La depressione non esiste è una cazzata inventata dalle case farmaceutiche per vendere i farmaci.

– Risposta:

Antonio S. (notate la competenza logico-matematica): No, uno se conosce i propri limiti non si supera.
Io ad esempio ho le idee chiarissime sul fatto che non farò mai figli.
Conosco il preservativo e lo uso, semmai dovessi fare sesso, ma anche quello mi interessa poco.

– (In sostanza: Antonio S. è uno stoico e non scopa; ora dormiamo tranquilli.)

LA TESI

Dario R: Facebook rovina le donne che, anziché prendersi cura dei figli, cazzeggiano su Facebook!

Dario R.: REAL TIME HA FOTTUTO IL CERVELLO A TROPPE GIOVANI.

Federica A. F.: Zozza…quando hai preso il cazzo ti è piaciuto? Grande troia,devi morire…puttana!!!

– (In questo passaggio i filosofi sentenziano che alla madre di Settimo piaccia il sesso e che i social rovinino il cervello)

Maurice M.: DEVI MORIRE MA NON IN CARCERE ..NON PER MANO DI DIO …MA TI AUGURO UNA MALATTIA ..UNA MORTE LENTA E DOLOROSA ….TROIAAAAAAAAA

Francesca V. (introduce un argomento concreto nella discussione) Per mano nostra, datela a noi

Antonio S. interviene dopo lunga assenza: Eccomi (se ne sentiva la mancanza infatti e riporta un canto del poeta Francesco Renga)
Bicchiere tra le dita / E gente sconosciuta intorno a noi… (segue testo completo)

L’ANTITESI

Tale Simone G. irrompe a controbilanciare con buon senso: Che bello che è il nostro paese, il nostro popolo: combattenti dei poveri, delle cause già perse in partenza, quelli che ci mettono un sencondo a lasciare commenti senza cognizione di causa ma che allo stesso tempo subiscono leggi insensate che realmen… Altro…

– Ma il nostro filosofo non demorde:

Antonio S.: per cosa dovremmo combattere, genio?

Simone G.: Antonio S. Hai mai sentito Parlare della Legge fornero? hai mai sentito parlare di intere famiglie che perdono la casa e vengono sfrattate perchè non sono piu’ in grado di pagare l’affitto o alle quali per debiti di poche migliaia di euro con il fisco gli viene pignorato l’immobile anche se prima casa? Hai mai sentito parlare di reddito di inclusione? vivi nel tuo mondo genio e continua a divertirti a leggere o a fare commenti idioti su una tragedia familiare, non sociale.

Antonio S.: Nella mia famiglia queste cose non sono mai esistite e mai esisteranno. Fiero di essere cresciuto in una vera famiglia, nonostante lo schifo di città in cui vivo.

– Nel simposio giunge Luca F., l’antitesi appunto

Luca F: Quali sarebbero le differenze tra voi e i gli islamisti? Nessuna

– Il filosofo ha pronta la risposta:

Antonio S.: Gli islamisti fanno bene ad avere la pena di morte per chi uccide.

Luca F.: Sono estremisti come esattamente tutti voi, a Salem bruciavano le streghe, siamo tornati a quei tempi

Antonio S.: Mi sembra giusto.

Antonio S. Io sono un “estremista della vita”, per me la vita è quanto di più sacro ci possa essere (e infatti la vuole togliere alla madre scellerata, la logica ancora una volta ricompare)

Luca F.: Bene, anche per me, ma essendo una persona COERENTE come potrei augurare la morte di questa donna?

Antonio S.: Io sono talmente coerente che la morte la auguro a tutti quelli che non si meritano un dono così sacro come la Vita.

LA SINTESI

Luca F.: Vabbè, non sono abituato a disquisire con persone simili. Ti lascio coi trogloditi, vi trovate meglio.

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Il gruppo a quel punto si ricompone sull’idea comune, e la logica e la filosofia sociale trionfano con gli anapodittici: zoccola, troia, devi morire.

TORNATE A LEGGERE, CHÉ I SOCIAL VI FANNO MALE

Se parli male ragioni male e ti comporti peggio. La grammatica non è qualcosa di marginale, è l’ordine che diamo al pensiero. I commenti che si leggono in rete su Valentina V. * rilevano un dato statistico interessante: le costruzioni sintattiche più volente hanno una semantica prescolastica, tradiscono la sindrome da deficit fonologico e disprassia verbale ad andamento paranoide e un vocabolario che non va al di là delle cinquanta parole. Niente a che vedere con le grammatiche del quotidiano dei contadini e degli operai del dopoguerra. Quella italiana è una lingua viva, evocativa, sensibile alle flessioni territoriali; gli uomini delle campagne la modulavano con competenza e profondo rispetto per le parole. Nella lingua ordinavano il quotidiano e si davano delle regole. Mi pare invece che questa analfabetizzazione di ritorno, sgrammatica e decomposta, gutturale prima che compiuta nelle forme adulte della comunicazione, fortemente contaminata dal t9 e e da un uso disinvolto di una tecnologia che non si padroneggia sia qualcosa di profondamente diverso. Certo c’è anche chi si cimenta in sottili questioni teologiche: “Dio? Dove era in quel momento?” A cui segue la sentenza implacabile: “Dio non esiste”. Teologia negativa dunque, onore al merito. Articolare vuol dire ragionare, vedere le cose da diversi punti di vista, attingere da un dizionario disomogeneo e variegato. Qua siamo invece alla rigidità del pensiero e della lingua. Se conosci cinquanta parole vedi solo cinquanta cose e il mondo diventa infinitamente piccolo. Sempre in termini teologici c’è anche la “buonista” (la chiamano così i cattivisti): “Chi non ha peccato scagli la prima pietra”. L’argomentazione è forte e meriterebbe due righe in risposta; e infatti arrivano: “Sei qualche parente x caso . La devono ammazzare a sta troia”. Argomento inconfutabile e allora si procede oltre. “Lurida troia”, “bastarda”, “In galera le faranno festa .. !!! Trasferitela a Palermo noi sappiamo cosa farne”. Qua abbiamo proprio uno spostamento verso la filosofia pratica, perché le parole non bastano più e perlamiseria la preda va data in pasto al branco: “Non ha avuto pietà per il bimbo perché dobbiamo averne noi per lei?”. Il noi fa ovviamente riferimento a un’identica percezione delle cose, allo stesso linguaggio: noi, i buoni, siamo nel giusto e perciò giustiziamo. È una questione logica: se sono nel giusto, giustizio e ‘ntuculo alla legge, la legge siamo noi. E allora il gruppo si ricompone: “io butterei ii dal balcone questa e la pena che devi pagare brutta stronza😬😬😬😬😬“, “Ma che dici … Nn capirebbe niente … deve essere bruciata viva”. La regola della comunicazione (in questa come in altre discussioni) sembra insomma consolidata: uno parte con l’aggressione e la minaccia e presto arriva un simile a dare il contributo. I simili, come i coglioni, vanno sempre in coppia e fanno gruppo. Dove c’è un gruppo ci sono tanti “simili” e nella pagina di questa signora (come anche altrove) i “simili” davvero non si contano.

***

* Il fatto è noto: una giovane donna getta dal balcone il figlio e il bimbo muore. Il web si scatena, l’italiano di norma belante col padrone si mostra feroce coi disgraziati. Perché sempre disgraziati comunque sono. I commenti su Facebook nella pagina della donna sono migliaia, ho provato ad analizzarne alcuni. La regola è il punto esclamativo e qua si sprecano: come dire tiè o ‘ntuculu e più ne metti più ‘ntuculo lo prendi. L’italiano, inteso come lingua, latita (nel carattere fa invece sentire la fulgida presenza) e all’assenza del congiuntivo siamo però abituati. Il ke scritto con la k viene inteso come un rafforzativo e la x in luogo di per serve a demarcare la differenza antropologica: la lingua italiana è roba da checche intellettuali (e dunque di sinistra), noi siamo altro, nonrompetecilaminchia. I più imbestialiti invitano alla violenza (bruciamola, se ero io ti ficcavo… vabbè ci siamo capiti), altri, gli apocalittici invocano la giustizia di Dio. Io non sono pratico della materia, ma mi pare di ricordare che Dio fosse agape e misericordia. L’aggettivo puttana è la regola e vuol dire: sei un corpo sessualizzato e dedito al piacere piuttosto che all’amore. Sembra che il piacere svilisca l’amore, bah. Troia, cagna etcc. I commenti più garbati sottolineano il disagio mentale della signora e l’opinionista italiano rivela una insolita preparazione psicoanalitica. Le sentenze più violente (e questa cosa mi ha stupito) vengono dal mondo femminile (70 a 30 direi), bassa scolarizzazione, qualche nostalgico fascista. Alcuni commenti li ho trascritti fedelmente qua sotto; buona lettura.

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C’è quella che dà consigli: Troia puttana 😤 xke ucciderlo xke portarlo in grembo x 9 mesi x poi ucciderlo xkeeeee bestia bastarda devi crepare… Nessuno deve avere pietà di te merdaccia umana potevi portarlo in ospedale e rimanere anonima bastarda

Quella che era meglio se chiudevi le gambe: Solo un essere spregevole ed ignobile arriva a qst….sta piezz e puttana bucchina prima gli è piaciuto aprire le gambe…x nove mesi ha nascosto la gravidanza a tutti dicendo che nn sapeva di essere incinta….ha avuto la freddezza e la lucidità di buttarlo giù…ma che psicopatica di 💩💩💩💩 rinchiudetela in un manicomio e buttate le chiavi….

Quella che è stata in carcere: Brutta puttana di merda spero che alle vallette ti mettono subito una corda al collo dopo averti torturata bastarda che sei non meriti neanche la galera tu… meriti torture e morte… non sei una donna e neanche una mamma perche loro non fanno del male hai propi figli tu invece hai avuto il coraggio di uccidere un anima innocente 😈😈😈 crepa all inferno troia maledetta

Il mistico che invoca il giudizio divino: BRUTTA SCHIFOSA, SEI UNA VERGOGNA, MERITI DI MORIRE DOPO TANTO TANTO DOLORE!!!
DEVI SOFFRIRE….NON HO PAROLE BRUTTA TROIA!!!! GENTE COME TE NON DOVREBBE ESISTERE DIO TI DOVEVA FULMINARE PRIMA!!!

Quella di prima che è stata in carcere e ce l’ha anche con tale Mario R.: Mario R. sei un indegno e infame come XXX che di conseguenza spero che quando la mettono nel femminile delle vallette la appendono con una corda alle sbarre della cella sta puttana infame… e tu se sei il marito sotto falso profilo se…Altro…

Una signora interviene a moderare i commenti: siete solo dei meridionali.

Quello che le donne sono tutte: troia di merda….che tu possa marcire all’inferno insieme a chi ti ha aiutato.

L’esperto del sistema giudiziario: Magari la farà franca uscirà presto farà una comunità di recupero e poi libera….
Ma la gente che incontrerà povera lei meglio che si cambia i connotati

– al rogo

– bruciamola viva
(Due promani)

C’è anche chi prospetta l’eugenetica: Una persona malata di mente non dovrebbe mettere al mondo i figli

– Io penso che la colpa più grande ce l’abbia il marito

– Cosa cavolo c’entra il marito?

– il marito oltre a mettere il cazzo in culo non ha fatto nulla.
(Sillogismo perfetto)

Quella coi punti esclamativi: Sei la peggiore delle speci (e già: se specie è al singolare, il plurale dovrà essere speci)… Non so come definirti,ma sicuramente non sei una madre… Sperò tu marcisca in galera e che ti torturano fino alla fine dei tuoi giorniiiiiiiii !!!!!!!!!!!!

Quello che sei mignotta tu, tua madre e tua zia: Brutta puttana devi morire sia tu che quel figlio di puttana di tuo marito!!! Fate schifo bastardi di merda!!!! Meritate di morire torturati lentamente brutte merde indegne!!!

Grande troiaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa se ti terrei nelle mie mani ti farei fare una brutta fine.

Che Dio ti fulmini

Un ardito posta la foto del duce; la didascalia dice: ecco chi ci vorrebbe per salvare questo schifo di paese.(se non ricordo male nell’ultima guerra i morti sono stati 50 milioni, ma non si può pretendere di più)

Quella che la tortura non basta: SE TI AVREI TRA LE MIE MANI TI INFLIGGEREI TALMENTE DI QUELLE COLTELLATE CHE NON HAI IDEA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! MA SENZA FARTI MORIRE!!!!!!!! TI FAREI SOFFRIRE TANTO FINO AGLI ULTIMI TUOI 10 RESPIRI….. POI TI DAREI FUOCO LENTAMENTE!!!!!!! UNA MORTE LENTA ED AGONIZZANTE!!!!!!! E POI TI SQUAGLIEREI NELL’ACIDO!!!!!!!!!!! PER ELIMINARE DALLA TERRA OGNI TUO RESIDUO INUTILE SUPERFLUO! CHE TU PUOI MARCIRE NELLE FIAMME DELL’INFERNO!!!!….. E TUTTO IL TEMPO CHE PURTROPPO RESTERAI SULLA TERRA, DIO TI PUNIRÀ!!!!!…. STANNE CERTA!!!!!! MI AUGURO SOLO CHE TU POSSA FARE UNA LENTA E BRUTTA FINE DATO CHE NON TE LA POSSO FAR FARE IO!!!!!!!!!!

– Purtroppo la giustizia Italiana fà questo , non ce da meravigliarsi se tra un mese o domani anche è agli arresti domiciliari ..

Mario R. (quello con cui ce l’ha la signora che è stata in carcere):
Se ci fosse giustizia in italia le teste di cazzo che stanno qua a commentare non avrebbero diritto di voto

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Ma il commento più bello a mio parere è l’ultimo e lo condivido:

“Io spero che mettano tutti voi in manicomio”.

RUTTO LIBERO

BOSSI DI SEPPIA
“Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non rubiamo.”
Ingenuo Montale

 

Da tempo sfoglio la pagina di un noto politico. Su quel profilo il termine ricorrente è invasione o clandestino, segue extracomunitario, in leggera flessione Roma ladrona. Una ragione c’è, non si sputa dove si mangia. I neologismi si sprecano: sinistrato, cattocomunista (il più delle volte con la k), sinistronzo, sinistrotto, piddino, renzino. Buonista. L’uso del neologismo ha una funzione particolare, tende a circoscrivere l’individuo in un gruppo e il gruppo in un luogo comune con una lingua incomprensibile fuori dal recinto. Lo stesso accade con le degenerazioni neuronali o psicotiche; perché di quello si tratta, le mandrie si recintano intorno al capitano che promette ordine e qualche benevolenza. La parola ordine ha una natura apotropaica e curativa quando l’Io perde le sue funzioni. Le parolacce la fanno da padrone: caxxo (con la x), rottinculo, checca, negrodimerda. La grammatica latita, ma si tratta di gente laboriosa, non di sfaccendati che hanno tempo da perdere con i dettagli. I concetti sono ridotti al minimo: gravitano attorno a poche idee, confuse neanche tanto; la prima attorno alla quale ruotano le altre è l’invasione da parte dell’uomo nero. La medicina che gli accoliti propongono è il rimpatrio, la galera, la frusta a volte per gli indesiderati. La dinamica della discussione è pressoché la stessa: il leader scalda gli animi con una domanda retorica e l’esercito infuriato parte in battaglia. Non c’è posto per la discussione, la regola è che a casa nostra facciamo come ci pare e se non vi sta bene fora di ball. Il condottiero commenta poco e quando irrompe lo fa come bulletto di periferia che fomenta la massa inferocita. Non stempera le animosità, istiga piuttosto con un’ironia che a lui sembra sottile, ma che non va al di là della volgarità e del rutto; la mandria fa muro e tutti insieme si riuniscono a mangiare polenta e osei. I luoghi comuni abbondano; un luogo comune è un pensiero che fa riferimento a un’abitudine maturata nel sentire popolare. La realtà è un’altra cosa, ma quando c’è un limite cognitivo la comprensione viene filtrata da un’idea tanto diffusa da sembrare verosimile. La verosimiglianza è però lontana dalla verità, come la demagogia e la retorica dalla politica. Non si tratta solo di una disfunzione semantica indotta dalla mancata padronanza del vocabolario, ma di una profonda degenerazione neuroantropologica. Si sente nell’assenza del senso delle parole e appunto nel prevalere dei luoghi comuni.

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E vengo al punto: la demenza neurolinguistica è caratterizzata dalla perdita del significato e dal deterioramento cognitivo; è una manifestazione clinica della degradazione lobare frontotemporale, associata all’atrofia del giro temporale inferiore e medio. Le persone affette presentano problemi nella denominazione e nella comprensione di parole, nel riconoscimento dei volti, delle cose, delle situazioni, della realtà; la predominanza del verbale o non verbale (e nel nostro caso delle gutturali che dominano sulle articolazioni mature della lingua) riflette l’accentuazione dell’atrofia cerebrale. Alla distruzione del linguaggio si accompagna quella della personalità e a seguire la dimensione sociale dell’individuo. L’aggressività, la violenza, l’odio razziale e sociale verso un fantasma immaginario e minaccioso è uno dei morfemi dello stato paranoico di un poveretto che ha smesso di desiderare in maniera sana e consapevole e ha cominciato a odiare.
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Da Gli italiani il sesso (la rivoluzione) lo fanno poco e male

 

LE FLATULENZE DI NONNA

Ieri ho ribloggato sbadatamente l’articolo di GengisJokerBaneKhan. Sbadatamente perché non era voluto; per sopraggiunti limiti di età non posso più discutere di sesso orale. L’argomento mi affascina, intendiamoci, sul piano ovviamente filosofico. Parlare di sesso in maniera autobiografica è una cosa da giovani virgulti e qua quel poco che è sopravvissuto lo dobbiamo oramai al Sildenafil; il rischio è di passare per un adolescente di ritorno, o un vecchio satiro che non si rassegna all’entropia della carne. Ci ho però pensato sopra e ho scritto questa cosa; l’articolo è diviso in tre parti: cose che non puoi più fare in età geriatrica; perché è bello essere anziani; le flatulenze quali ultima sublimazione della sessualità.

vecchio

COSE CHE NON PUOI FARE IN ETA’ GERIATRICA

Gli ostacoli sono di ordine psicologico e somatico; morali no, gli anziani sono infinitamente più licenziosi dei ragazzi. Il Diavolo non li vuole più e allora non rimane che pontificare. Non puoi guardare con interesse una fanciulla o approcciarla come farebbe un giovane, il rischio è che la stessa inveisca contro il vegliardo laido e sporcaccione, esponendolo al diniego e alla riprovazione dei passanti. Vecchio porco, ricoglionito, ha un piede nella fossa ma vuole esumare la mummia dal pannolone, se Renzi non gli dava gli 80 euro era meglio (congiuntivi a parte il senso non cambia). Insomma ci siamo capiti e non è bello. L’anziano non può rincorrere una giovane per strada, l’osteoporosi, l’artrosi, la sciatalgia e spesso l’enuresi non glielo consentono. Qualcuno poi ha l’enfisema, difficile starle al passo. Il bacio diventa complicato con la protesi dentaria e sa anche di Kukindent; le mani causa artrite si serrano ai fianchi come tagliole e ci vuole molta fantasia per assimilarle alle carezze; l’epidermide a pelle di daino non scivola su quella levigata; le resurrezioni sono rare e si fanno sempre più insoddisfacenti, il vecchio prima che a una disfatta si espone al ridicolo: non sa neanche lui se quello che sente nel cuore è amore o uno scompenso atriale. Se è un anziano a dire: mi fai morire, ebbene è meglio prenderlo in parola.

PERCHE’ E’ BELLO (TUTTO SOMMATO) ESSERE ANZIANI

Una ragione si deve pur trovarla per andare avanti, perché ai vecchi rode proprio il culo. Quando qualche neurone sopravvive ancora, vedono bene che mentre loro fanno briscola al circolo degli ottuagenari, i nipoti si accompagnano con ninfette che provocano le rigidità a tutti note. Alla fine il risentimento è abbastanza naturale; vero è che la natura sia diventata impietosa e consente loro di perpetuare il rancore oltre ai limiti fisiologici. Una volta la fine sopraggiungeva prima ancora del deterioramento organico e mentale; le cose sono però cambiate. Malauguratamente o per fortuna, fate voi. L’anziano gioca a bocce o a poppe (come ho sentito dire), dal filosofo Karl Poppe; è un epistemologo per erotica assonanza. Non esce la sera ed è libero di farlo, nessuno gli chiederà mai se sta male, se la ragazza lo ha lasciato, se ha problemi a socializzare. I vecchi stanno a casa e si sa. Guardare i cantieri è uno sport eccitante e travolgente, gli sbarbati non possono capire. Il gusto di dare buoni consigli arriva con l’età e il giudizio (lapidario ed è il caso di dirlo) stimola un rigurgito di piacere: ai miei tempi ! Con quel che lascia intendere la sentenza: non come voi debosciati e drogati; finocchi qualche volta (perché tanto i giovani sono sempre e comunque attratti dalle aberrazioni: e per il vetusto vuol dire tanta droga e poca figa). La pensione, vabbè lasciamo stare, con quella non ci campano e non infierisco. Il privilegio della badante qualcuno però ce l’ha e l’amore al catetere è un’esperienza unica e irripetibile (anagraficamente parlando). Rutto libero e flatulenze varie, il corpo che si decompone espelle tossine aeriformi; rispetto ai giovani gli anziani possono concedersi qualche disinvoltura lasciandosi andare ai piccoli legittimi godimenti del corpo in decadenza. Ma questo è appunto il prossimo argomento, che è anche un caro dolce ricordo di nonna Cecilia. Sorda come una campana, che rombava tranquillamente per casa le commoventi esternazioni. Inconsapevole del fatto che i parenti ci sentivano invece benissimo.

LE FLATULENZE DI NONNA

Nonna scoreggiava. Nella vita o ti scoraggi o scoreggi; c’è un filo diretto tra la visione del mondo e quel che avviene nell’epigastrio; al di là delle diverse profondità che vanno dal pensiero (più in superficie) alle emozioni (che si radicano piuttosto nella paleocorteccia) quello che conta viene concentrato nella pancia. C’è chi trattiene, gli idealisti e i metafisici per intenderci che pongono una barriera intellettuale tra le cose, e chi come nonna (che era fenomenologa prima ancora che materialista) le avvicina senza sovrastrutture linguistiche o formali. Le cose si possono pensare o vivere, nonna di più a quanto pare le fagocitava. Di per sé già la parola comprensione rimanda alle mani e al corpo che afferrando qualcosa conosce; nella fagocitazione c’è qualcosa di ancora più profondo, la masticazione del pensiero che diventa appunto una ruminazione, con quel che ne consegue sul piano fisiologico. Perché nonna ruttava, seppure arrossendo al momento dell’emissione di quella gutturale il cui suono è pur sempre sgradevole. Faceva brup e qualcosa di simile al raglio di un asino, poi si metteva la mano davanti alla bocca (poi, perché le mani non erano sincronizzate e i movimenti si facevano lenti con gli anni) quasi a scusarsi per essersi lasciata andare ai bisogni ineluttabili. Ed è proprio questo il punto, si lasciava andare verso le cose come se Platone (o Agostino) non fosse esistito. Le idee sono pur sempre portate da intellettuali e il suo era uno stomaco contadino abituato al poco in tavola; l’ho vista inorridire davanti a antipasti raffinati ma non sostanziosi. Le idee appunto che mettono fame e non saziano mai. Nonna non aveva quella forma di analità intellettuale, non tratteneva; si limitava alla sospensione del giudizio quando poteva e se proprio non riusciva evocava dall’intimità ciò che aveva assorbito. Anche i pensieri, che non per niente sono fatti di aria. Non c’è più nonna, era un’altra epoché la sua; con poche certezze, nessuna verità, ma capace di avvicinare le cose nella loro superficiale e sensuale profondità.

LA REGOLA DELLO STUPRO

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E’ successo ieri a Milano: una donna di 81 anni è stata violentata. Questo è un Paese per vecchi, immobilizzato e polveroso. I giovani se ne vanno e anche agli stupratori tocca insomma arrangiarsi. Quando hai fame (giusto per mettersi nella testa del suino) non stai a sottilizzare: non t’importa l’età della gallina, comunque fa buon brodo. Lo stupro come altre forme di violenza sta diventando la regola nel Paese delle eccezioni. Ho provato a delineare un identikit dello stupratore medio e di come agisce. Sembra ci sia un rituale nella scelta della vittima (donna, il più delle volte, qualche trans perché lo stupratore non fa differenze di genere e a volte pure di specie), del luogo (spesso isolato per ovvie ragioni), dei modi (dall’avvicinamento, all’atto, alla fuga). Il canovaccio è sempre lo stesso.

Regola I

Lo stupro è quella curiosa pratica sessuale attraverso la quale prendiamo possesso del corpo dell’altro senza che l’altro lo desideri. Stuprare non è facile, raramente è qualcosa di istintivo; richiede attitudine e sacrificio; il primo dei quali è quello della coscienza: lo stupratore è convinto che l’altro esista unicamente per i suoi vomitevoli passatempi. Non è forse nato apposta?

– Chi è lo stupratore: chi aspira a diventarlo deve essere cinico, violento, erotomane e complessato. Non entro nel merito dell’indagine psicoanalitica, ma ci siamo capiti: ce l’ha piccolo. Se non è tutto questo è meglio che rinunci. Onde evitare brutte figure; onde evitare che l’altro ci stia.

Regola II

– Come si veste lo stupratore: l’abbigliamento sembra fondamentale, curato nei minimi particolari. In testa un passamontagna, spesso forato all’altezza del bocca in modo che consenta il passaggio della lingua. I pantaloni hanno tassativamente la cerniera lampo; sbottonare richiede del tempo e il suddetto non ne ha molto a disposizione.

Regola III

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– Come agisce lo stupratore: scelta la preda (morigerata nei costumi e pura nello spirito, insomma per quanto è possibile illibata: se non lo è, il rischio è che non solo partecipi attiva allo stupro, ma che ci prenda magari gusto), dapprima si comporta con discrezione e gentilezza, onde conquistarsi la fiducia della stessa. Se la vittima sospettasse le vere intenzioni potrebbe non solo dileguarsi, ma decidere o meno di cedere. E il vero stupratore non accetta regali: quello che vuole se lo prende e basta.

Regola IV

– Dove porta le sue vittime lo stupratore: ottenuta la fiducia, la preda potrà seguirlo ovunque. Anche di notte in strade deserte, magari nel suo appartamento. L’essenziale è che fino al momento della rivelazione non si accorga di quello che succederà da lì a poco. L’arma prima di uno stupratore è infatti il terrore, e il terrore non può avere alcuna preparazione. Il virtuoso non opera comunque mai in metropolitana.

Regola V

– Come si rivela lo stupratore: se in macchina, e la vettura è munita di un apparato elettrico, comincia a chiudere gli sportelli automaticamente preparando un eccitante clima di diffidenza. Cosciente di non di non avere possibilità di fuga, è quanto meno probabile che la vittima rimanga terrorizzata facilitando il compito. Ad ogni modo la rivelazione è sempre brutale e inattesa: se finora avrà sospettato, da adesso non dovrà più avere dubbi.

Regola VI

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Che cosa fa uno stupratore: uno stupratore stupra. Affinché si possa però parlare di violenza è necessario che il predestinato non solo non sia consenziente, ma che non ci goda nemmeno. Se gode, come sa ogni giudice chiamato a pronunciarsi sull’ipotetico reato, non c’è violenza ma mutuo consenso. Supposto quindi che la vittima non ci stia, la successione degli eventi è  sequenzialmente impostata:
1) assoggettamento della preda: il rituale porta a mettersi sopra ed impedirle ogni movimento;
2) i vestiti non vengono tolti ma lacerati, le mutande strappate (il rumore del tessuto che va in frantumi suscita un vero stato di panico);
3) il coito è rudemente animale (cosa che rende più imbarazzante e posticipa la denuncia). Per evitare di farsi mordere la lingua lo stupratore evita il bacio in bocca;
4) la regola è quella di insultarla, violentandola anche a parole (come se in fondo le piacesse). L’umiliazione dapprima suscita qualche reazione, poi subentra la rabbia, lo svilimento e infine la resa;
5) ad eiaculazione avvenuta lo stupratore si alza e si allontana con indifferenza, come se nulla fosse accaduto: non lo ha infatti voluto lei? Quante storie, si vedeva che non desiderava altro.

Regola VII

– Come abbandona la sua vittima lo stupratore: completamente nuda e magari malconcia. Lo scopo è di impedirle di correre a chiedere aiuto; se perciò non avrà vestiti addosso e sarà dolorante è evidente che il suino potrà allontanarsi in tranquillità. Perché il carattere dello stupratore è quello: la tranquillità d’animo e la coscienza di avere fatto la cosa giusta.

Da Lezioni di sesso (il sesso in cinque lezioni)

 

QUIZZIAMOCI

Il nostro tempo verrà ricordato come quello dei quiz (o dei test, per dirla in un modo più professionale). Ce n’è di tutti i generi e per le diverse tipologie. Quelli per misurare il QI, la personalità, l’orientamento politico, il Rorschach; ne ho anche trovato uno che valuta la capacità di sopportazione al pecorino e ‘nduja mangiati a Ferragosto. I quiz sono semplici, danno risposte immediate e spesso compiacenti, forniscono qualche conferma e ognuno ha l’illusione di aver capito qualcosa di sé. I più gettonati sono ovviamente quelli di psicologia, sintetici, inconfutabili, veloci e l’oracolo si esprime in pochi minuti più che in anni di autoanalisi. Quelli che affondano nella sessualità sono parimenti ricercati: ti piace il sesso e quanto ti piace, come lo fai e dove lo fai, quante volte e perché. Con chi sembra irrilevante e sul perché il più delle volte tacciono. L’erotismo è indagato con questo insolito strumento che ha il carattere di soppesare la personalità in un contesto più ampio, diffuso, socialmente accettato. Qualcuno dopo i test si adegua alla sentenza, ma i più perseverano nelle abitudini; perché un test è solo un test e si fa più per curiosità che per una reale morbosità o interesse, mentre la vita è pur sempre un’altra cosa.

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Qualche tempo fa mi sono cimentato anche io coi quiz, scrivendone qualcuno. Uno in particolare (dal mio De rerum contronatura) lo riporto qua: sono domande per valutare il grado di omosessualità, latente o meno, nascosta o orgogliosamente palese. A margine ci sono anche le soluzioni.

DIVENTARE GAY IN DIECI LEZIONI - giancarlo buonofiglio

DOMANDE

1) Vi trovate in una camera d’albergo con una donna meravigliosa. E’ nuda, distesa sul letto, vi chiama. Cosa pensate?
a) Che cosa vuole da me?
b) Chissà se mi presta lo smalto
c) Certo che l’idraulico è proprio carino

2)Tornate prima dal lavoro. Vostra moglie è a cavalcioni sull’idraulico. Cosa fate?
a) Chiedete all’operaio il numero di telefono
b) Chiedete a vostra moglie chiarimenti sulle lezioni di ippica
c) Chiedete di partecipare

3) Cosa fate prima di un rapporto sessuale?
a) Leggete la biografia su Maria Goretti
b) Telefonate ad un amico e chiedete come comportarvi
c) Telefonate all’idraulico
d) Non avete mai avuto un rapporto sessuale

4) Che cosa fate dopo un rapporto sessuale?
a) Ricominciate
b) Abbracciate la vostra compagna
c) Abbracciate l’idraulico
d) Non avete mai avuto un rapporto sessuale

5) Cos’è l’orgasmo?
a) Un programma di studio universitario (tale Programma Orgasmus); come lo chiamano gli studenti
b) No…n..lo..sa…p……ete!!!
c) E’ quell’intensa sensazione di piacere che provate quando pensate all’idraulico

6) Dove si trova il punto “G”?
a) Di sicuro tra la “f” e la “h”
b) Nella regione periuretrale della parete vaginale anteriore
c) Sul glande
d) Sull’idraulico

7) Quali sono le dimensioni medie del clitoride?
a) 1 mm
b) 1 cm
c) 18 cm (?)

8) Quale parte del corpo vi eccita di più in una donna?
a) Le scarpe
b) Il seno
c) La sacca scrotale (?)

9) Che metodo contraccettivo usate?
a) Il profilattico
b) La pillola (?)
c) Il coito interrotto

10) Quale di questi animali ad ogni singola eiaculazione produce 1 litro di liquido seminale?
a) L’uomo
b) Il maiale (non per caso è chiamato “porco”)
c) L’idraulico (non per caso ci state assieme)

11) Quale delle seguenti disfunzioni è la più frequente nel sesso maschile?
a) Eiaculazione precoce
b) Difficoltà erettiva
c) Difficoltà a distogliere lo sguardo dal televisore
d) Eccessiva lubrificazione vaginale che provoca difficoltà a contenere il pene (?)

12) La fantasia erotica più comune nei maschi è:
a) Andare in giro senza mutande
b) Guardare due femmine che fanno all’amore
c) Leonardo di Caprio

13) Quali sono le vostre zone erogene?
a) Il pene soprattutto
b) La vagina (?) soprattutto
c) In centro, vicino piazza S. Babila

14) I preliminari sono per voi:
a) Un modo sicuro per convincere la vostra compagna a stirarvi le camicie
b) Una scusa per arrivare tardi al lavoro (del tipo: “Mi scusi direttore se ho fatto tardi, ma mia moglie stamattina ha richiesto i preliminari”)
c) Quei 15 minuti a fine partita che precedono i tempi supplementari

15) La pratica più richiesta alle prostitute è:
a) Il sesso orale (da non confondere con il turpiloquio; nel senso che se la fanciulla si limita ad insultarlo il cliente è più che legittimato a non pagare)
b) Il sesso anale (scegliendo con oculatezza la meretrice; nel senso che se la fanciulla è dotata di un clitoride che supera i 18 cm il cliente è più che legittimato a non abbassarsi i pantaloni)
c) Il sesso vaginale (richiedendo alla passeggiatrice serietà e deontologia; nel senso che se la fanciulla vuole farlo accoppiare con una borsa da viaggio -è ad esempio straniera e confonde la parola vagina con valigia- il cliente è più che legittimato a mandarla a cagare)
d) Il sesso manuale (pretendendo una rigida ortodossia; nel senso che se la fanciulla vuole limitarsi ad infilargli le dita negli occhi o a pettinarlo il cliente è più che legittimato a iscriverla a un corso accelerato di sessuologia)
e) Il sesso strano (mettendo da subito un limite alla perversione; nel senso che se la fanciulla pretende non solo di frustarlo ma di cospargerlo di benzina e di dargli fuoco; il cliente è più che legittimato a rivolgersi all’ autorità)

16) Il seno per voi è:
a) Un discutibile ornamento
b) Un utile passatempo
c) Un incubo scolastico (seni e coseni)
d) Peccato che l’idraulico ne sia sprovvisto

17) Il termine bondage indica un tipo di piacere estremo ricercato per la pericolosità; qual è nel sesso la cosa che più vi attrae, ma che ad un tempo temete?
a) Irrompere in un confessionale mimando un rumoroso orgasmo come la protagonista del mitico Hanry, ti presento Sally
b) Vestirsi con una maglietta rosa con su scritto “baciami stupido” ed entrare in un circolo di neonazisti
c) Guidare a fari spenti nella notte, per vedere se è poi tanto difficile morire
d) Indossare l’ampallang, il tubetto di metallo che i nativi del Borneo inseriscono nel glande per migliorare il piacere del partner
e) Comprare le fragole all’uranio che il supermercato svende con l’offerta 3X2 per fare tutte le cose che avete visto in 9 Settimane e mezzo

18) Narra la leggenda di un tale che andato a cercarsi nel deserto si perse. Pregò che qualcuno lo cercasse. Nessuno lo cercò. Scoprì allora che cercarsi è bene, ma essere cercati è comunque meglio. Se voi foste quel tale, da chi vorreste essere cercato?
a) Da un gruppo Balint di signore in cura per ninfomania
b) Da Monica Bellucci
c) Da una guida turistica
d) Dal sottoscritto (parliamone)
e) Dall’idraulico

19) E’ meglio un uovo oggi… che:
a) Un ovulo domani
b) Il cugino Filippo (citazione purtroppo autobiografica) dopodomani

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RISPOSTE

DOMANDE 1-2-3-4-5-6-7-8-9-10
Prevalenza di risposte A: a voi il sesso non interessa. Ma siete comunque ricambiati. Probabilmente da piccoli al chirurgo che vi praticava il taglio del prepuzio deve essere scappato di mano il bisturi, o l’ostetrica al momento della vostra nascita può avere tirato la parte sbagliata, che ora necroticamente conservate in un barattolo di formaldeide assieme al cordone ombelicare. Magari siete vittima di un errore cromosomico o di una natura matrigna, forse addirittura lo scherzo di un Dio col senso dell’umorismo. Sta di fatto che Heidi rispetto a voi sembra un’erotomane, e se non vi chiudete in convento siete comunque sulla strada per fondare un partito politico. Una curiosità: come avete risposto alla domanda numero 4?

Prevalenza di risposte B: non siete un uomo ma un complesso vivente di contraddizioni; la dimostrazione che non solo Dio c’è, ma che probabilmente ci odia. Oscillate infatti tra l’universo femminile e quello maschile nell’indecisione più completa. Ma non è un problema grave. Forse anzi è addirittura un vantaggio dal momento che il sabato sera avete il doppio delle possibilità di rimorchiare. La cosa che stupisce della vostra personalità è il fatto che non proviate imbarazzo nell’indossare con il gessato blu e la cravatta i tacchi a spillo o le calze a rete. Qualche distonia sarebbe bene correggerla, perché, lo capite anche voi, che uno scaricatore di porto villosiso, con la barba incolta e dei bicipiti che fanno invidia a Mastrolindo, non può parlare con la voce di una soprano, né tanto meno ancheggiare come la Fracci. Insomma, quando vi assentate dal lavoro dovete per forza giustificarvi dicendo che avete le vostre cose?

Prevalenza di risposte C-D: probabilmente non avrete avuto il tempo nemmeno di leggere i risultati del test impegnati come siete a correre dietro all’idraulico. Anche se vi chiamate Umberto, avete moglie e figli e le vostre gonadi continuano a produrre testosterone in quantità industriale. Bravi. Una sola raccomandazione: se alle domande numero 7 e 8 avete risposto C fareste bene ad iscrivervi ad un corso di anatomia.

DOMANDE 11-12-13-14-15-16-17-18-19-20
Prevalenza di risposte A-B: va bene che a voi dell’universo femminile non può fregarne di meno, ma uno sforzo per non passare da deficienti potreste farlo. Ricordatevi che in genere i maschi non hanno problemi di lubrificazione vaginale (risposta D alla domanda numero 11). Sciocchini.

Prevalenza di risposte C-D-E-F: siete rimasto uno spermatozoo, per quanto un po’ cresciuto e alle soglie del quarto decennio. Ma uno spermatozoo molto particolare, l’unico che quando veniva lanciato nel corpo della femmina (ricordate?) invece di dirigersi verso l’ovulo cercava di fecondare gli altri spermatozoi. Tanto tempo è passato da allora, vissuto ai margini di una comunità virile e guerriera che vi ha tenuti a distanza; eppure nonostante tutto parte di quell’istinto primitivo dovete averla conservata. E’ solo cambiato l’oggetto del vostro desiderio; e se una volta correvate dietro ad amorfi animaletti che assomigliano a Claudio Bisio, oggi più pragmaticamente rincorrete quelli che lo ricordano per fenotipo e morfologia.

Risposta G: caro Filippo, è inutile che fai il test sotto falso nome, ti ho riconosciuto. Non hai motivo di vergognarti, tanto più che sono a conoscenza dei tuoi gusti sessuali. Fin da piccolo, ricordi? Quando giocavamo a nascondino e tu candidamente dicevi: “Se mi trovi mi puoi violentare; se non mi trovi sono nell’armadio”.

 

(Ed. Cartacea alla pagina)

UNA LETTERA D’AMORE

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La lingua è tiranna in quanto costringe a parlare, a nominare, a disporre in un ordine. Nominare significa identificare, imporre all’altro un’identità. E’ per questo che Barthes invita a fingere con la lingua, a nascondersi nelle parole, dove per l’appunto abitualmente veniamo individuati. Ma per sottrarsi alla lingua è richiesta una scrittura intransitiva, spersonalizzata, desoggettivata e tuttavia intima e radicale. Lo scrittore è capace di silenzio, di eccedenza. Come l’innamorato che ama, ma non per sua scelta. E infatti “Innamorato” si pronuncia nella forma passiva. “Io sono innamorato”, abitato dall’amore. L’amore non dà un ordine, non è funzionale; l’innamorato è fuori posto, come lo scrittore a cui si assimila per una profonda contiguità col racconto amoroso. L’ipergrafia, il bisogno di mettere nella scrittura le emozioni, le poesie, un certo lirismo nel comportamento derivato anch’esso dalla scrittura, come a colmare con un flusso di parole la distanza con l’altro. Anche in senso grammaticale l’amore è coniugale, una coniugazione di termini. L’innamorato parla (comincia così il libro di Barthes, Frammenti di un discorso amoroso) e la parola segue dal flusso della scrittura. L’amore si muove dall’Io all’altro e nel ritaglio semantico in cui costringe la relazione, la sottrae all’intervento di qualunque altro (il nome dell’Io e dell’altro circoscritti dal segno “cuore” ha questa intenzione sacralizzante, il témenos che contiene e protegge il theos). In questo consiste la discrezione dell’amore, la sua “solitudine costitutiva”. La parola d’amore è una parola che proprio tacendo diventa eccedente. Questa parola silenziosa come quella dello scrittore, disturba perché non è funzionale, è anarchica, senza norma, sediziosa. L’innamorato si viene a trovare in una dimensione straordinaria rispetto alle comuni regole della comunicazione. Che la sua sia una scrittura straordinaria lo dimostra il bisogno di ricostruire lo scenario anche quando la narrazione viene a mancare. Narrazione e Io sono infatti continui nel discorso. L’Io ha un crollo quando perde la sua narrazione, o sono presenti buchi che devono essere riempiti ritrovando gli anelli perduti nella catena. L’assenza di storia è come un appuntamento mancato, un significante smarrito, la sovversione della successione narrativa, della logica, dell’Io, dell’ordine si riflettono nel carattere frammentato del testo scritto, che difatti anche nella forma della lettera predilige quella poetica, del verso isolato, dell’interruzione a margine. Nasce e muore ogni giorno, l’innamorato va di continuo a capo. Il lirismo dell’innamorato racconta dell’ambivalenza del linguaggio, la tendenza a coprire e scoprire; si esprime in una forma che riferisce della possibilità di bleffare con la lingua, di imbrogliare il potere, attraverso quell’altro elemento sempre presente nel discorso: la significanza, come ciò che eccede, il senso che viene incontro (le sens obvie). L’amore scritto o raccontato come metafora di tutto ciò che è eccezionale, improduttivo, non funzionale. È il corpo innamorato a creare un disturbo nell’equilibrio dei sistemi interni al discorso. I limiti del corpo sono i limiti del lingua, la sua frantumazione porta il corpo a frammentarsi fino a perdere un ordine. Nella relazione l’amante prende coscienza delle potenzialità, ma anche dei limiti del proprio corpo. Nel momento in cui sente il corpo, lo avverte nella sua fragilità come qualcosa di estraneo e non duraturo, che ha un termine. Amare significa sentire la morte sulla pelle come qualcosa di inesorabile. Il rapporto amoroso viene raccontato come una perdita di sé e una tensione verso l’altro. Gli amanti sono eccedenti rispetto all’ordine; equivoci e “transgredienti” (Bachtin). Fluiscono di continuo l’uno nell’altro come se non avessero un’identità o un corpo. Il corpo innamorato è infatti contrassegnato dall’inquietudine per l’assenza dell’altro, come un lutto che anticipa la fine della relazione; la paura dell’abbandono viene esorcizzata con la richiesta continua di rassicurazioni (“giurami che mi ami”). Per Barthes il rapporto d’amore si propone come il luogo del desiderio, come metafora dell’eccedente (Bataille, Baudrillard), del disordine, della frammentarietà. C’è in Barthes un rispetto profondo per l’incertezza. Nell’amore come nella scrittura l’Io è decentrato, perde di consistenza. Diventa una scrittura del corpo e nell’immaginario si presenta nella forma radicale del “ti amerò per tutta la vita”. La scrittura d’amore, in quanto riscrittura, esonda dall’ordine della lingua e si fa “perversa” (Barthes), instabile, porta a estraniarsi dall’appartenenza a una specie in quanto specificarsi, dal perdurare nel proprio essere nel principio di identità. Sovverte le normali regole della comunicazione. La lingua comunica (e scomunica, desacralizza) mentre la parola si muove al di là della comunicazione, non ha bisogno dell’altro. Il significato di una parola non è solo verbale, linguistico, ha anche componenti che derivano dalla funzione pratica, dall’uso. Una parte del significato di una parola sta nel significato che produce in combinazione con altre parole. E’ contestualizzato in un ordine sistemico di interazione, il cui significato è determinato dal codice. La parola si restringe o si dilata, svuotandosi o riempiendosi di contenuti; la grammatica ordina poi la struttura. L’uso della parola è una scelta individuale che risente delle influenze psichiche. La scelta delle parole richiama a un contenuto profondo, legato ad associazioni “inconsce”, oppure consapevoli ma isomorfiche, proprie dell’individuo prima che della collettività e non sempre spiegabili, ma mai prive di senso. Wittgenstein si concentra ad esempio nella modulazione della voce, nella pronuncia, nelle espressioni facciali che accompagnano l’attività di parlare. Saussure considerava il discorso un atto lineare, nel senso che ogni espressione si succede all’altra, non vi è mai espressione contemporanea di più elementi. Ma esistono come eccezione a questa regola i “tratti soprasegmentali”, ossia le modalità espressive che accompagnano l’atto linguistico. La dimensione soprasegmentale suggerita da Wittgenstein aggiunge uno spessore affettivo-tonale alla parola. In una scrittura attraversata dal desiderio diventano determinanti il parlare indiretto, la metafora, la metonimia, il neologismo, la parodia, l’ironia, le diverse “forme del tacere” (Bachtin), non essendo praticabili nel consueto uso della lingua. E ciò spiega il carattere frammentato, ossia la prevalenza delle parole sull’ordine del linguaggio; la parola poetica più che la prosa, l’immagine isolata, il segno elementare, la grafia fine a se stessa che ritaglia i nomi circoscrivendoli (sacralizzandoli e sacrificandoli) dal contesto in un cuore, o anche l”incisione dei nomi su un tronco. Wittgenstein vedeva il linguaggio come un esercizio di traduzione intersemiotica tra immagini mentali e affetti e parole. La relazione si delinea come un’attività traduttiva, parimenti a quella interlinguistica, caratterizzata da anisomorfismo. Un sentimento tradotto in parole e poi ritradotto in sentimento (una ritraduzione) non porta allo stesso risultato. C’è una lingua che scorre nella lingua, con significati che vanno al di là dei significati. L’amore vuole essere corrisposto, proprio perché è una corrispondenza. Una lettera d’amore racconta della disponibilità alla frantumazione della totalità. Affonda la penna nell’immaginare più che nell’immaginario, nella significanza della significazione prima che nel simbolico; è la pratica del significare che precede la comunicazione. La scrittura segnata dalla parola amore, precede il parlare ed è nella sostanza amore per l’altro. Più che un dialogo è però un monologo. Lo dimostra la prevaricazione della parola sulla lingua quando scriviamo una lettera amorosa. Saussure distingueva tra “lingua” e “parola”; la prima rappresenta il momento sociale del linguaggio ed è costituita dal codice di strutture e regole che un individuo eredita dalla comunità, senza poterle inventare o modificare. La parola è invece il momento individuale, intimo, sregolato, mutevole e creativo del linguaggio, la maniera in cui il soggetto “utilizza il codice della lingua per esprimere il proprio pensiero personale”. La lingua si giustifica nell’uso e l’uso dipende da un’abitudine che ordina dando, nella regola alle parole, un senso alle cose. A differenza dalla lingua la parola non è un elemento rigido ma in movimento; è soggetta alle modificazioni indotte dall’intervento simbolico, culturale o emotivo. Si muove nell’eccedenza (l’ampio uso del superlativo per indicare l’altro, la punteggiatura esasperata, il ricorso a nomignoli, come se la lingua non bastasse a se stessa), dove l’assenza diventa “rispondenza” prima che corrispondenza, mantiene la domanda in una tensione costante. La lingua comunica, afferisce, mentre la parola differisce (différance); è attraversata dal desiderio indipendentemente dalla comunicazione, non ha bisogno dell’altro.

Dai Frammenti  di un monologo amoroso

L’ESTATE

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L’estate più che una stagione è un’emozione; coincide con la chiusura delle scuole, le città deserte, il rumore degli zoccoli sul catrame. Una volta comportava una pausa lunga dal lavoro, ma i tempi si sono ristretti. Ci accorgiamo dell’estate dal numero di uxoricidi, perché il caldo amplifica le insofferenze domestiche, dai furti in casa, le code sull’autostrada, dai piedi che salutano dai finestrini. La pubblicità progresso che ricorda di non abbandonare i cuccioli all’autogrill e di andare a riprendere nonna alla casa di riposo. Giusto per mettere in valigia qualche rimorso. Totò, la commedia sexy che un moderato eccitamento lo provoca, ma nel modo giusto, gradito dalle signore che si lusingano con qualche inaspettato risveglio; l’abbronzatura rende più belli e una volta che la pelle è color amaranto ci sentiamo insolitamente desiderati. Estate vuol dire palestra, la prova costume, estenuanti sedute dall’estetista che si prende cura delle negligenze, adipe o punti neri. La pancia dentro, aspirata ai limiti del verosimile, perché il confronto coi giovanotti ancora integri nell’anatomia è inevitabile. Le infradito; io le bandirei ma le portano tutti. Costumi sgambati per le donne, che scoprono di essere belle e sempre comunque lo sono, orgogliosamente sfacciate nell’esporre la mercanzia reclusa durante l’anno; pantaloncini per gli uomini con annessa carenza pilifera al polpaccio, che tradisce mesi di fustigazione del pedalino. L’odore della crema, i discorsi da ombrellone, io quella me la farei e io il bagnino me lo sono fatto, la cellulite che pare essere una piaga sociale, le fantasie erotiche mugugnate a bocca stretta mentre le mogli sono distratte da altro. Un libro, le chiacchere con l’amica, il pianto del bambino che strilla il rancore per mamma in una spiaggia affollata. Papà che mette a dura prova il miocardio correndo dietro a una palla, con quel dolore al fianco a ricordargli inesorabile che non ha più l’età. L’estate comporta il sudore, le magliette appiccicate come una seconda pelle, il pesce, l’anguria non più fortunatamente sotterrata ed esumata dalla battigia, le finestre aperte. le zanzare. Quelle sono immancabili ad avvertirci del cambio di stagione. Ma l’estate è soprattutto fantasia, immaginazione, evasione; un sogno e un desiderio non pronunciato. Come un bacio che si dà così, perché ogni tanto è bello rimanere senza fiato.

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