La vita di noi buonisti è faticosa. Dispendiosa anche: compriamo Rolex e maglioncini in cachemire; a volte ipotechiamo la casa, perché la barca magari non serve, però è un cliché e dobbiamo averla. Per mantenere lo status di radical chic ci sottoponiamo ad allenamenti sfiancanti, trenta riflessioni al giorno: leggiamo Adorno più che Marx e non guardiamo la televisione. Dobbiamo tenere pulito l’appartamento, perché i profughi che troviamo in strada li portiamo a casa nostra. Paghiamo le tasse, ma solo per un fatto estetico, per carità. Impopolari, ci guardano con disprezzo quando raccogliamo le deiezioni del cane. Emotivamente coinvolti se qualcuno annega in mare, anche se non lo conosciamo; coste libiche o italiche, non fa differenza. Ci esprimiamo confidando in un italiano decoroso, perché c’è una demarcazione tra la parola e il rutto. A volte mi piacerebbe essere un cattivista; deve essere bello parlare alla cazzo di cane, dissertare di tronisti e commuoversi per i casi umani raccontati dalla D’Urso. Deve essere bello informarsi con Studio Aperto. Pronunciare a voce alta la sentenza ricchione o negro, sparare a un clandestino (che tanto lo sappiamo: sono tutti clandestini.) È bello fare i duri coi deboli, spietati e feroci ma col crocifisso in mano. Frequentare i rave party con Salvini; deve essere bello essere Salvini. Non rispondere di cinquanta milioni di euro, trombarsi la Isoardi, difendere la famiglia tradizionale dopo aver figliato altrove. Mi sto allenando però. E come un mantra ogni mattina evoco lo slogan del Capitano: “Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”. Deve essere bello non demarcare il confine tra un pensiero e una scoreggia.