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LA STATUA DELL’IGNORANZA

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Il dito di Cattelan davanti a Piazza Affari a Milano è un esempio di come funzioni questo Paese. L’incompetenza vestita da una furba provocazione che si spaccia per cultura, i messaggi dei guru dell’arte (che a quanto pare non hanno assorbito la lezione di Truffaut: “Se devo mandare un messaggio, a quel punto invio un telegramma”) che esprimono il risentimento verso la finanza con raffinate argomentazioni. Quella scultura (non una delle più brutte) fa male a Milano, fa male all’arte e fa male pure a Cattelan. La finanza, il luogo della perdizione, del malaffare, non è diversa però dalle cene con intellettuali e assessori che da decenni sponsorizzano un signore privo di talento e qualità. Le provocazioni dada erano davvero un’altra cosa e avevano il decoro dell’onestà intellettuale; qua siamo al dadaumpa da osteria. Gretto intellettualmente, populista, retorico, tecnicamente incapace. Ma in questo Paese funziona così, vieni insignito di premi prestigiosi e riconoscimenti accademici. Deprecata un tempo, l’ignoranza è oggi un valore e si mette in mostra, tanto da farne un monumento. Ognuno fa quel che crede e si esprime come può. Il livello è quello del dito medio, deciso alle cene illustrissime con  illustrissimi uomini e nobilissimi assessorati che hanno a che fare proprio con quella cattiva finanza. Coubert a suo tempo rifiutò la Légion d’honneur, ma era un altro genere di uomo e aveva un talento vero. Le sue erano profonde riflessioni e non messaggi banali e mediocri, legittimate dalla cultura, da una reale competenza e da un indiscusso  spessore.

QUELLO CHE E’ REGALE E’ ANCHE RAZIONALE

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QUELLO CHE E’ REGALE E’ ANCHE RAZIONALE

Nelle favole i significanti abitano la narrazione, s’impadroniscono e modificano il racconto, identificano e contestualizzano i personaggi, prevalicano la scena. Il principe non ha un nome e la principessa è solo temporaneamente imprigionata nel corpo di una fanciulla popolare. L’atto precede la potenza e Cenerentola era di sangue blu, anche se non lo sapeva. Difficile trovare la regalità in ambienti degradati, ma nelle favole tutto è possibile. Il tutto prevale sulla parte, svilendo però i protagonisti in una metonimia che annulla le identità. L’identità si vanifica nei processi di identificazione superiori fino ad annullarsi. Svuotata la relazione di una reale affettività e privando l’altro di una realtà ontologica, predomina il significante regale che passa da un corpo all’altro, al di là delle differenze. Non c’è alterità, la domanda si restringe in una solitudine priva di desiderio e la richiesta d’amore è mediata da un eccesso che ordina la scena. In un tale campo privo di un (reale appunto) scambio affettivo non è più il piacere, ma il potere, l’idea, il blasone a passare da un corpo all’altro. Quello che è regale è anche razionale: cenere siamo ma Cenerentola diventiamo.
(Da Per me Biancaneve gliela dava ai sette nani)

MISS ITALIA: SE IL PAESE VA A PUTTANE…

SE IL PAESE VA A PUTTANE E SONO TUTTE A CASA TUA, FATTELA UNA DOMANDA…

Tante, troppe polemiche su una ragazza uscita vincente da un concorso di bellezza, di per sé vecchio e inutile. Gli intellettuali sbandierano il gonfalone dell’intelligenza e della cultura, le donne politicamente impegnate sono indignate, le femministe di ritorno scioccate. Guardiamola bene l’intelligentia italiana. Ricordo Lucio Colletti, studioso di tutto rispetto e marxista abbracciare il nuovo che avanzava (e il nuovo era Berlusconi), giornalisti lacchè deflorati per deontologia, Rutelli che appendeva il cappio in Parlamento nel nome della laicità dello Stato e che pro beneficio è diventato un integralista alla Torquemada, Dalema che passa per essere l’uomo più intelligente della politica nostrana, le cui profezie sono rimaste proverbiali (ad ogni elezione dal 1994 in poi se ne usciva con la frase: “l’Italia finalmente si è liberata del Giullare”, puntualmente smentito dai fatti, tanto che ad ogni vaticinio mi toccavo). La laicità dello Stato, argomento fondamentale, nessuno ne parla, pochi la vogliono. Si discute invece di una bella ragazza che incespica nell’italiano, non di migliaia di persone che ogni giorno sono mutilate nel diritto e nella dignità. Di mignotte in questo Paese ce ne sono eccome, ma non stanno sul podio di Miss Italia. Raccontano favole e lo sappiamo, ci vuole però la faccia tosta per trasformare Cappuccetto Rosso nel Lupo Cattivo. In Italia si va a puttane, è lo sport nazionale, ma di notte quando la moglie dorme e il prete è in sacrestia. Tanta troppa morale da parte di un Paese che ha il tasso più alto di evasione e che in Europa (per questo e non certo a causa di una bella figliola) è rimasto ai margini del diritto e della civiltà.

(Da Per me Biancaneve gliela dava ai sette nani)

IL FASCINO

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IL FASCINO
L’altro reale serve a confermare i bisogni primari, morali e narcisistici, quando il cuore e la testa sono comunque altrove. Ci facciamo un’immagine di questo altro piccolo e diciamo che ha fascino, che è interessante, solletica pruriti nascosti e normali esigenze di evasione. L’attualità di una relazione porta a sentire l’altro come una parte di sé e averne cura. Ma non bastiamo a noi stessi e per lo più non ci piaciamo, quello che conta è altrove. Subentra allora il senso dell’estraneità, quel sentirsi fuori posto dovuto alla collocazione data dal desiderio. Questo altrove dà un significato al di là di quello che siamo e mette in un campo di significanti estranei, ma ai quali restiamo sospesi proprio perché la nostra significazione dipende da un diverso ordine immaginario. L’altro reale non basta a soddisfare il desiderio, necessitiamo di un Altro con fascino che non è il simile in cui riconoscersi (è anzi difforme, blasonato nelle favole), ma un’immagine perturbante che porta a desiderare fino a completarsi nelle azioni più stravaganti, insolite, paradossali. Questo Altro fuori campo completa, libera, riempie il vuoto, dà un senso alla domanda e placa le pulsioni. In sostanza, la principessa non la dà al principe in quanto rimane ideale, ma al più vicino giullare, che sta comunque a corte e appunto le fa la corte.

(Da Per me Biancaneve gliela dava ai sette nani)

I MONOLOGHI DI BIANCANEVE

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I MONOLOGHI DI BIANCANEVE
L’amore è fatto di favole e parole. La favola prende il sopravvento e il lupo continua a non essere reale ma lo diventa se c’è chi te lo racconta. L’amore è una storia (una storia appunto d’amore) e le storie, come le favole, sono fatte di parole.
(Da Per me Biancaneve gliela dava ai sette nani)

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LEZIONI DI SESSO

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Come godersi la vita senza sensi di colpa
La cura del corpo è una buona regola per quanti decidono di dedicarsi ai piaceri dell’amore. Fate tesoro dei consigli esposti in questo libro e nessuno potrà accorgersi che in realtà fate schifo. Cinque utilissime lezioni d’amore, un indispensabile vademecum sui godimenti della vita.
LECTIO PRIMA: dell’arte del costume e del portamento
LECTIO SECONDA: dell’arte dell’approccio
LECTIO TERZA: dell’ineguagliabile arte della menzogna
LECTIO QUARTA:  dell’amplesso e della contraccezione
LECTIO QUINTA: dell’arte dell’abbandono

MI PADRE

dai RIGURGITI ROMANESCHI

RIGURGITI ROMANESCHI

E FATTELA UNA RISATA !

E FATTELA UNA RISATA !

Cene
C’è una mancanza nelle favole, la risata. Le principesse non ridono mai, i principi hanno un tono grave e serioso, così che quando leggiamo “e vissero felici e contenti”, viene da dire “ma va là”. Ed è strano, perché dove non c’è un sorriso non c’è amore. Nella tecnica narrativa gli innamorati si avvicinano con la parola e il discorso non è mai vuoto in quanto nella parola scorre il desiderio; c’è però un altro fenomeno sempre presente nella narrazione amorosa, la risata, ed è proprio quello che manca nella fiaba. Lacan ha affrontato marginalmente la questione (rileggendo Marx, in relazione all’umorismo del capitalista, collocava il riso tra plusvalore e plusgodere definendolo con il neologismo Marxlust) perché le sue intenzioni sono dirette ad ordinare uno scenario che confermi la presenza come fondo sostanziale. Ma quello che conta, nella vita come nelle favole, è altrove, nell’assenza, in quello che non c’è. Il sogno, l’attesa, il principe. Il riso non è solo il motto di spirito di Freud e non serve unicamente per la scarica pulsionale; nasce e si risolve nella manque-à-être, rimane nelle fenditure risolvendo l’ordine nella mancanza. Che questa assenza nel discorso sia significativa si vede dal piacere che muove a soddisfare un bisogno primario. Il riso porta oltre il campo della narrazione, in quanto trabocca dal discorso e richiama a un’assenza nella parola. Come una traccia che segna in profondità il linguaggio. Bataille ha inquadrato il problema sul piano antropologico. Descrive la risata come una forma embrionale di sacrificio, qualcosa di sacro in cui le forze distruttrici della dépense sono in azione. Ridendo di qualcuno lo dissacriamo, lo strappiamo all’ordine abituale, lo svuotiamo di senso. Lo prendiamo in giro, girandogli appunto intorno senza centrare la verità. Nella favola la narrazione amorosa non è un luogo nel quale trovare la verità; non si tratta di ordinare i termini nella presenza (o nell’identità), pur spostata nel simbolico o nell’immaginario, ma nel vuoto dell’essere e nella privazione di un’identità. L’amore disturba, disorganizza, scioglie e non lega l’Io e l’altro col linguaggio dell’Altro; si presenta piuttosto nel sopraggiungere di un elemento perturbante e disorientante. La risata appunto, che sacrifica desacralizzandolo l’altro. Non sempre “dove si parla si gode” (Lacan, Sem.XX). Il piacere amplia e dilata la scena amorosa, la prolunga per conservarla nel tempo. Per Lacan il campo della parola è il campo di ogni relazione, del simbolico e dipende da ciò che accade nel linguaggio. Il campo del godimento è quello della pulsione, oltresimbolico, diverso da quello della parola, pulsionale. Il problema della psicoanalisi consiste nel verificare in che modo la funzione simbolica della parola possa modificare l’economia della pulsione. Con una certa autocritica Lacan dice che là dove prima pensava si comunicasse, in realtà si trova il godimento. Il linguaggio è invaso dal godimento: “quando si parla qualcosa gode”. Lacan imbastardisce il rapporto tra la parola e la pulsione come se la pulsione interferisse con la funzione della parola. Non solo parliamo per essere ascoltati; la parola necessita di essere riconosciuta e a un tempo fa anche da veicolo a quello strano godimento che è il godimento della parola stessa, il piacere del parlare. E tuttavia la lingua langue, mentre costruisce un flusso di fonemi rimanda a un venir meno, si indebolisce nell’incedere delle parole; non è solo un pieno di voce ma è composta anche da silenzi, pause, assenze. Quando langue non si verifica una stasi nel desiderio che continua comunque a defluire. Tra gli innamorati in particolare, prima si distorce, poi si carica di nonsense, i neologismi si contraggono in monosillabi incomprensibili, infine interviene la risata e in essa il sacrificio di un ordine nella lingua. Non è un fenomeno marginale, il riso che subentra alla lingua serve a riempire connotandolo di un senso il vuoto delle parole. E così quella che era la dépense, ciò che non serve a nulla, si presenta come la “parte maledetta per eccellenza” (potlach), qualcosa di sostanziale che serve a dare continuità al discorso. Non si tratta di un superamento, ma di una trasformazione. La “parte maledetta” consegna l’altro ad una natura sconosciuta all’indagine razionale, il piacere è subordinato e consegue. Il riso, se è di difficile integrazione nella teoria psicoanalitica, lo è ancora di più nell’indagine filosofica. Pone di fronte all’estrema corruzione del linguaggio e del pensiero, va al di là. Apre uno spazio sconosciuto in cui si respira qualcosa di nuovo, il desiderio non dell’Altro, ma di un Oltre. La risata è il momento in cui la conoscenza si arresta di fronte all’esperienza di ciò che è essenziale e che Nietzsche ha raccontato come il grido angosciato di una soggettività felice. Bataille ha maturato la consapevolezza di un’incapacità nel dire l’impossibile, l’estremo, connotando positivamente lo svuotamento dell’Io. La “parte maledetta” rivela che nella natura sia presente un eccesso di energia. Sempre secondo Bataille l’uomo è dotato di un’energia eccedente; questa “parte maledetta” deve defluire attraverso la nutrizione, la riproduzione, la morte. La risata consente un primo sacrificio dell’eccedenza, non come appagamento della libido ma in quanto usura e straniamento dall’Io. A un tempo si rivela però anche come una specie di riassorbimento, qualcosa che nasce da quanto c’è di indigesto nel linguaggio. L’amore -ed è questo il punto- irrompe come una dolce morte che traccia ridendo qualcosa di infinito. Le principesse muoiono, ma c’è subito un principe innamorato pronto a salvarle. Morale della favola: il principe sta sul cazzo alla principessa, ma la poveretta che deve fare? E’ imprigionata in una storia che la vuole in attesa di un aristocratico, non può evadere dai limiti della narrazione. Arriva quindi a palazzo dove appunto “quando si parla qualcosa gode”; e c’è da supporre, che tra una chiacchera e l’altra qualche risata col giullare (da ciullare, che è quello che tromba) finisce per farsela.
(Da Per me Biancaneve gliela dava ai sette nani)

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