IL TEMPO DELL’AMORE

Perché l’amore anticipa prima che nella forma emotiva, psicologica, somatica la totalità dinamica del suo essere soggetto desiderante che dilata o restringe spazio e tempo. Analogamente a quanto accade con le parole, che hanno un senso quando svolgono una funzione affettiva prima che rappresentativa.

L’amore non basta mai. Come la lingua subisce un meccanismo equivoco; lo spazio si restringe mentre il tempo sembra dilatare il corpo, l’Io, le emozioni fornendo un campo fisico al discorso. La malinconia è invece un rallentamento e una contrazione, un sentirsi spaesato, fuori luogo. Da cui il senso di vertigine, di vuoto, del buco allo stomaco, del giramento di testa. Ogni cosa gira e sembra non fermarsi mai. Lo spazio diventa insopportabile al malinconico; prevale il senso dell’assenza, lo svuotamento dell’Io e il suo significarsi come mancanza. La percezione del tempo è rallentata, le parole diventano interminabili, segnate da pause, si dileguano come ci fosse una frattura più che una continuità tra l’Io e lo spazio circostante non più colmabile da una parola piena. Afferra le cose che diventano materia per la sua “fissità contemplativa” e “sterile ruminazione” (W.Benjamin); il malinconico è mal collocato, spazialmente e/marginato, decomposto. Parimenti l’innamorato non si colloca in nessun luogo specifico, ma ogni luogo assume una connotazione carica di senso. Ovunque può essere rintracciato. Lo spazio degli innamorati è il loro spazio, accelerato, ristretto, circoscritto. E’ inviolabile, non penetrabile. L’amore è l’impenetrabilità da parte di un altro che non sia l’altro oggettivato dal desiderio. Nessun altro può introdursi o vivere nei luoghi di chi ama.

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Lo stesso concetto di distanza non è quello comunemente percepito; l’Io desiderante sente vicino ciò che per un altro è lontano o assente (“parlo e tu non mi ascolti”, come appunto accade nella distanza nella quale a prevalere è una parola che perde di intensità). Nell’innamoramento scorre un fenomeno inverso a quello della malinconia; lo spazio si contrae fino ad annullare la lontananza. Perché una parola piena di significati è eccedente, invade, raggiunge e si fa sentire; non è il bisbiglio o il sottovoce del malinconico. E’ un sentire l’altro comunque accanto. Anche questo sentire dipende dalla diversa disposizione nel tempo, priva di assenze, senza crepe, un tempo non frammentato come appunto quello che si muove nella lingua. La lingua dell’innamorato è un discorrere ininterrotto, loquace, logorroico, avido, un flusso continuo e lineare che non basta a se stesso. Nell’innamoramento, come nella lingua, il corpo si svuota nel tempo e il tempo e le parole non bastano appunto mai. E’ fame dell’altro che neanche l’altro può soddisfare completamente. L’innamorato dice “non vedo l’ora che arrivi”, misura la distanza spaziale in termini temporali. Il tempo è la misura del corpo e cambia in maniera sostanziale i termini della relazione. Dipende e si regola su quello dell’altro; un’ora di assenza può durare un’eternità. Sensazione insopportabile in cui ricompare il fantasma della perdita o dell’abbandono. L’innamorato sperimenta una specie di riduzione trascendentale, è come organizzato in forme dello spazio tempo non ancora ordinate, determinate, concettualizzate. La riduzione consiste nel passare dai soggetti ordinari, già attuali, costituiti da una concentrazione di emozioni in cui spazio e tempo non sono più quelli del soggetto psicologico. Perché l’amore anticipa prima che nella forma emotiva, psicologica, somatica la totalità dinamica del suo essere soggetto desiderante che dilata o restringe spazio e tempo. Analogamente a quanto accade con le parole, che hanno un senso quando svolgono una funzione affettiva prima che rappresentativa. L’effetto del disorientamento è marginale nell’innamorato ma sostanziale nel malinconico. Il malinconico sperimenta la distanza come una perdita, senza finalità o destinazione, il disorientamento in quanto radicale non riconoscersi in una soggettività integra e appunto integrata. Il malinconico ha un desiderio con/torto, non circoscritto dal significante. L’amore riempie e integra l’Io, lo fa sentire a-posto collocandolo in un luogo affettivo; la malinconia lo disintegra, lo sposta e chi si sposta è appunto uno spostato. Il disorientamento nell’innamorato è strutturale ma marginale; è una sottrazione dell’Io, con la distensione però di ritrovarlo altrove, dove i confini sono definiti dalla presenza temporale dell’altro. Dalla sua perseveranza o continuità, che è la permanenza nel tempo dispiegato nella relazione. Questo ritrovarsi nell’altro dipende dalla continuità discorsiva del corpo disordinato e decomposto nelle forme di spazio e tempo stabilite e delimitate dall’altro innamorato.

adesso (3) (1)  FRAMMENTI DI UN MONOLOGO AMOROSO - Giancarlo Buonofiglio

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QUELLO CHE E’ REGALE E’ ANCHE RAZIONALE

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QUELLO CHE E’ REGALE E’ ANCHE RAZIONALE

Nelle favole i significanti abitano la narrazione, s’impadroniscono e modificano il racconto, identificano e contestualizzano i personaggi, prevalicano la scena. Il principe non ha un nome e la principessa è solo temporaneamente imprigionata nel corpo di una fanciulla popolare. L’atto precede la potenza e Cenerentola era di sangue blu, anche se non lo sapeva. Difficile trovare la regalità in ambienti degradati, ma nelle favole tutto è possibile. Il tutto prevale sulla parte, svilendo però i protagonisti in una metonimia che annulla le identità. L’identità si vanifica nei processi di identificazione superiori fino ad annullarsi. Svuotata la relazione di una reale affettività e privando l’altro di una realtà ontologica, predomina il significante regale che passa da un corpo all’altro, al di là delle differenze. Non c’è alterità, la domanda si restringe in una solitudine priva di desiderio e la richiesta d’amore è mediata da un eccesso che ordina la scena. In un tale campo privo di un (reale appunto) scambio affettivo non è più il piacere, ma il potere, l’idea, il blasone a passare da un corpo all’altro. Quello che è regale è anche razionale: cenere siamo ma Cenerentola diventiamo.
(Da Per me Biancaneve gliela dava ai sette nani)

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