MEMORIE DI UN SEDUTTORE

Ogni notte inventerò una bugia, ma farò in modo che ogni mattina diventi una verità.

Improbabile ma verosimile, è questa la natura di un seduttore. Di essere rappresentativa, istrionica, affabulatoria. Non vera ma credibile, plausibile prima che possibile. Più che reale quindi, perché la realtà è poco scenografica e plateale. Ero cosciente di questa cosa e ingannavo me stesso prima che gli altri. Seducevo perché avevo un rapporto conflittuale con la verità. .

Può un uomo amare qualcosa che non rappresenti se stesso?

Un giorno la lasciai, per noia. Nei suoi occhi vedevo i miei e io non mi ero mai piaciuto.

Un seduttore accarezza quella parte dell’Io che manca all’Io stesso. Afferra ciò di cui è assente completandolo nell’immaginario. Il seduttore è necessario a chi è mancante del sogno, gli dà forma e sostanza. Lambisce il vuoto lasciato da un desiderio inespresso. Ma è appunto un venditore di niente, gradevole a volte, deleterio e nocivo altre. Perché prima o poi ci si sveglia e quello che era un sogno continua a rimanere tale.

Ogni notte inventerò una bugia, ma farò in modo che ogni mattina diventi una verità.


Egidia Rossi era una bellezza antica. Anche nei modi, con quel rossore che la svelava fragile e il garbo nello sguardo che avevano certe donne di una volta. Riservata, pronta a sostenere le sue ragioni ma anche ad ammettere i torti. Accompagnava le parole abbassando gli occhi, come a scusarsi di avere avuto un pensiero. La voce dialettale appena, carezzevole e di un tono familiare, non credo abbia mai graffiato nessuno. Era bella Egidia e sapeva parlare e di più raccontare. E non importa se quello che diceva non era la cosa giusta, perché giusto diventava comunque. Conosceva l’arte della seduzione, che non è fatta di cose vere, ma di favole e parole. E come nelle favole il drago continua a non essere reale ma lo diventa se c’è chi riesce a fartelo sentire e vedere.

Amavo e odiavo quell’essere antinomico. Il suo polimorfismo mi impauriva eppure mi piaceva. Non c’era nessuna finalità in quella sessualità vissuta in un improbabile presente. Godevo l’apostasia di una carne che sentivo finalmente libera, leggera, viva. Il suo corpo demitizzato, svuotato di una storia, concentrato nel piacere era per me fonte di eccitazione e riflessione.

Il seduttore gode di un sesso senza antinomia. Non è un superficiale proprio perché vive nella superficie. Pensa che la realtà si risolva tutta in quello che vede e sente, è un fenomenologo e un agnostico. Non si pone problemi nella relazione in quanto la domanda se la porta dentro, ed è una sola: se esista o meno. E’ mancante di una teleologia sentimentale, che dilata nel qui adesso. L’al di là affettivo non fa parte del suo obiettivo erotico.

Amavo la sua bocca perché ogni volta mi diceva una bugia. Ed era la sola cosa che volevo sentirmi dire.

Desideriamo ciò che non è, quello che non siamo. E più cresce la consapevolezza di tale assenza, che è un vuoto nel nostro essere, più l’eccitazione dilata l’Io. Il desiderio è consapevolezza di una mancanza. Non può esserci erezione senza questo stato nella coscienza.

Le parole svuotano i corpi e li rendono penetrabili. Quando si desidera anche il corpo diventa un ostacolo. E così la spogliavo con la lingua. Volevo la sua carne ma sentivo che era fatta di parole.

Stavamo nudi a guardarci come fosse la cosa più naturale del mondo. Era tutto così banalmente ordinario nello straordinario intreccio di quelle labbra. Che si erano incontrate per caso e da allora non avevano smesso di baciarsi.

Si seduce per stupidità e fragilità. Perché non si sa amare. Perché la seduzione impegna una piccola parte del proprio essere. E quella parte, guarda caso, è quella meno seduttiva. Un seduttore ama se stesso, è concentrato nel proprio Io. La seduzione è l’antitesi dell’amore, è paura dell’altro.

Mi chiese di farla godere con la bocca. Le dissi che l’amavo.

Tutta la vita avevo cercato di sedurla. Poi ogni un giorno le dissi che avevo bisogno del suo amore e mi buttò le braccia al collo. Era evidente che voleva essere baciata con le parole. Non era una questione di forma, quelle parole mi avevano cambiato, dandomi il modo di incontrarla.

Aveva l’infinito negli occhi e non avevo paura, la guardavo e riuscivo a tenerne lo sguardo.

E’ duro guardarsi dentro e non trovare nulla.

Da CRONACHE DALL’EPIGASTRIO (memorie dalla pancia)

alla pagina http://goo.gl/B8chfL


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