LA BELLA INTERVISTA DI FRANCESCO SANSONE AL LINK IL MONDO ESPANSO
Da DIVENTARE GAY IN DIECI LEZIONI (De rerum contronatura)
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STORIA DELL’OMOSESSUALITA’
Non si può dire con sicurezza se la pederastia (paiderastia), come molti pensano, sia arrivata in Grecia da Creta (dove, come dice Teopompo, ognuno era dispostissimo ad offrire il proprio deretano a chiunque lo chiedesse), o da Sparta (un giovane spartano aveva ben quattro tipi di rapporti 1) rapporti occasionali nelle caserme, 2) la relazione con un pedagogo più anziano, 3) il matrimonio, 4) una o più relazioni con un‘eromene, cioè con una fanciulla non maritata che veniva posseduta analmente), oppure se sia stata ereditata direttamente dal vecchio Laio (che, da sessuamane qual era, rapì il figlio di Pelops, Crisippo, portandolo nascostamente a Tebe). Per Aristotele, che a buon diritto si può considerare il primo vero sessuologo della storia, ad inventare il coito anale furono piuttosto due eterosessuali del calibro nientemeno di Teseo ed Elena; ma anche su questo argomento le affermazioni dello scienziato appaiono laconiche e, come sempre quando tratta l’argomento “sesso”, di parte. Sta di fatto che questo tipo di attività erotica non solo era ben tollerato ad Atene ma addirittura istituzionalizzato e protetto con severe leggi dall’autorità. A patto naturalmente che si rispettassero alcune regole di fondo concepite per tutelare la dignità dei due amanti, ed in particolare del partner più debole e effeminato (malthakos):
– a) la coppia doveva essere formata da un adulto (l’erastes, una specie di pedagogo colto ma incline al vizio) e da un giovanetto (l’eromenos); mentre, se non proprio vietato, era comunque sconsigliato il coito fra coetanei che avessero entrambi passato la pubertà. Rari anche sono i casi come quello di Agatone che prese un adolescente di diciotto anni, Pausania, e lo tenne con sé per dodici (per lo meno a sentire quello che Platone dice nel Protagora: Eppure, quando l’altro giorno l’ho visto [Pausania], mi sembrava -sì- ancora un bell’uomo, ma un uomo, appunto, caro Socrate; per dirla tra noi: già gli fiorisce in pieno la barba);
– b) le intenzioni dell’adulto dovevano essere chiare da subito: l’erastes aveva l’obbligo di notificare alla famiglia e gli amici dell’eromenos di cui era innamorato, il desiderio di corteggiare il fanciullo; in genere una richiesta di questo tipo era considerata un onore, e i familiari rifiutavano il consenso solo se l’erastes era considerato indegno. Nel caso invece l’uomo godesse di una buona reputazione (e naturalmente di un rispettabile conto in banca) poteva portare con sé il giovane (a cui aveva l’obbligo di fare da tutore, di nutrirlo, istruirlo, proteggerlo e, quando fosse cosa gradita, di fargli regali costosi) e goderselo (ossia di penetrarlo, paiderastein, da cui il termine paidea, che vuol dire “educazione”, “istruzione”) per un tempo imprecisato. Una chiara documentazione su questo tipo di rapporti amorosi ci è stata lasciata da Aristofane che, nella commedia Gli uccelli, fa dire a Pistetero: [mi piacerebbe vivere in] un paese dove un tale, padre di un fanciullo, incontrandomi mi facesse una rimenata di questo genere, come offeso: “Bravo! Trovi mio figlio che torna dalla palestra, tutto ben lavato, e non gli dai un bacio, non gli dici una parola, non lo porti con te, non gli tasti i coglioni: tu, un amico di famiglia!;
– c) in cambio dell’istruzione che riceveva, il giovanetto doveva accettare che il maestro gli mettesse il pene tra le cosce (l’atto di “fare tra le cosce” era considerato sacro e veniva chiamato diamerizein, cioè “coito intercrurale”) o, anche se con particolari accorgimenti e posizioni che ne salvaguardassero la dignità, nell’ano (cioè nel kusos, parola che significa tanto deretano quanto vulva; i greci non si perdevano affatto -come di vede- in inutili sofismi dialettici quando si trattava di sesso). La tendenza era insomma quella di privare l’eromenos se non del piacere comunque dell’orgasmo conclusivo. A testimonianza di questo interessantissimo, quanto intellettuale, modo di concepire la dinamica omoerotica, si può leggere quello che Platone scrive nel Simposio: Il ragazzo, nell’atto amoroso, non partecipa del piacere dell’uomo, come avviene per una donna; distaccato, sobrio, costui guarda il suo partner ubriaco e pieno di desiderio sessuale;
– d) benché fosse tollerato, il coito anale (binein) tra persone adulte era ostacolato dall’autorità e comunque denigrato dai cittadini ateniesi che lo consideravano poco decoroso per il soggetto passivo. La regola, come ci informa Alceo, rimaneva sempre quella di “fare tra le cosce”: Quando nel bel fiore della gioventù si innamora di un fanciullo, bramando le sue cosce e la sua dolce bocca;
– e) raramente il giovane veniva sottoposto, nella sua istruzione amatoria, all’atto del laikazein (fellazione), né veniva umiliato chiedendogli una femminea laikastria (pompinata). Pratiche sessuali considerate denigranti per l’uomo e di uso esclusivo femminile (in particolare delle meretrici che esercitavano nel porne, nel bordello);
– f) era severamente proibito l’adulterio, non solo alle donne maritate, ma anche ai giovinetti in tutto il periodo dell’afrodisiazein, del tempo cioè dedicato all’iniziazione amorosa. Questo tipo di infrazione poteva anche essere punito; Aristofane nelle Nuvole racconta, magari con qualche esagerazione, che all’euruproktos (letteralmente: “culaperto”, così il commediografo simpaticamente chiamava l’eromenos) trovato tra le braccia di un altro uomo, veniva talvolta infilato nell’ano (con una finalità educativa) un piccantissimo ravanello;
– g) favorevole a stimolare un po’ tutte le espressioni della sessualità, la legge ellenica era molto severa contro la prostituzione maschile, e piuttosto tollerante verso quella femminile. Per una fondamentale ragione pratica che fa ancora oggi di quello ateniese uno dei popoli più vigili in campo etico che l’umanità abbia mai avuto: poiché nella polis era il maschio ad intraprendere la carriera politica, era logico impedire a una persona abituata a vendersi per denaro di accedere alle cariche pubbliche; proibendo in tal modo a chi avesse interessi privati di assumere incarichi difficilmente (se uno vende se stesso è facile che si lasci tentare di vendere una decisione, una legge) compatibili con la propria storia personale. La modernità di questo atteggiamento non ha ovviamente bisogno di commenti. Per quanto riguarda specificamente questo problema, notissimo fu un caso giudiziario che avvalora quanto si è detto sulle qualità morali di cui un uomo di governo doveva avere dato prova di affidabilità; il processo intentato da Eschine nel 346 a.C. al politico ateniese Timarco, sospettato per l’appunto di essersi in giovane età prostituito per denaro.
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