LA STATUA DELL’IGNORANZA

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Il dito di Cattelan davanti a Piazza Affari a Milano è un esempio di come funzioni questo Paese. L’incompetenza vestita da una furba provocazione che si spaccia per cultura, i messaggi dei guru dell’arte (che a quanto pare non hanno assorbito la lezione di Truffaut: “Se devo mandare un messaggio, a quel punto invio un telegramma”) che esprimono il risentimento verso la finanza con raffinate argomentazioni. Quella scultura (non una delle più brutte) fa male a Milano, fa male all’arte e fa male pure a Cattelan. La finanza, il luogo della perdizione, del malaffare, non è diversa però dalle cene con intellettuali e assessori che da decenni sponsorizzano un signore privo di talento e qualità. Le provocazioni dada erano davvero un’altra cosa e avevano il decoro dell’onestà intellettuale; qua siamo al dadaumpa da osteria. Gretto intellettualmente, populista, retorico, tecnicamente incapace. Ma in questo Paese funziona così, vieni insignito di premi prestigiosi e riconoscimenti accademici. Deprecata un tempo, l’ignoranza è oggi un valore e si mette in mostra, tanto da farne un monumento. Ognuno fa quel che crede e si esprime come può. Il livello è quello del dito medio, deciso alle cene illustrissime con  illustrissimi uomini e nobilissimi assessorati che hanno a che fare proprio con quella cattiva finanza. Coubert a suo tempo rifiutò la Légion d’honneur, ma era un altro genere di uomo e aveva un talento vero. Le sue erano profonde riflessioni e non messaggi banali e mediocri, legittimate dalla cultura, da una reale competenza e da un indiscusso  spessore.

MI PADRE

dai RIGURGITI ROMANESCHI

RIGURGITI ROMANESCHI

CRONACHE DALL’EPIGASTRIO

CRONACHE DALL’EPIGASTRIO

(memorie dalla pancia)

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Per il titolo avevo pensato a “Memorie dal sottosuolo”, ma pare che qualcuno l’abbia già usato. Ho ripiegato su “Cronache dall’epigastrio”, anche perché non era mia intenzione discutere di inconscio, pensiero o anima. Il mio sottosuolo si trova nella pancia e il libro racconta appunto le sue cronache. Non amo i totalitarsmi dell’Io e le sue aberrazioni metafisiche. Esiste qualcosa fuori di me e questa cosa la chiamo reale. Mi hanno insegnato che questo altro da me sia la realtà, e mi piace. Mi piace perché mi colloca, mi definisce, mi dimensiona nella cosa. E mi fa sentire vivo. Se esiste qualcosa, la sua esistenza si conferma non in una relazione col mio percepirla, ma indipendentemente da quello che sono. Non ho un Io tautologico, non mi va di delirare in termini idealistici e penso che la verità non necessiti della mia presenza. Sono certo che possa fare a meno della mia ontologia. Non sono un metafisico e la veritas (come) est adaequatio rei et intellectus (la verità come l’adeguatezza o corrispondenza della cosa e dell’intelletto) mi pare una forma di delirio. E così guardo alle cose e per lo più mi piacciono, le spoglio e le scopro ogni giorno. E ogni giorno mi sembrano meravigliose.
CRONACHE DALL’EPIGASTRIO, al link

HAI SCRITTO IL MANUALE DELLA PROSTITUTA?

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PERCHE’ BIANCANEVE MANGIA LA MELA?

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La scena è questa: Biancaneve sente bussare alla porta, compare una vecchia megera con una mela bellissima ma avvelenata, la fanciulla la mangia e muore. Poiché la ragazza è tutt’altro che sprovveduta, viene da chiedersi come abbia potuto fidarsi di una sconosciuta. La questione è importante; in primo luogo perché mi ha tolto il sonno da piccolo (e non mi pare una cosa secondaria) e poi perché ci raccontano favole abituandoci a ricevere informazioni, che per quanto improponibili vengono così assorbite senza problemi. Chomsky ha spiegato i meccanismi linguistici su cui costruiscono le favole, ma sembra averne dimenticato uno fondamentale, la sorpresa e il sogno. I punti 5 (rivolgersi alla gente come bambini) e 6 (concentrarsi sull’aspetto emozionale) delle dieci regole per il controllo sociale non spiegano un elemento importante, l’assenso e la complicità della vittima. I pubblicitari in questo sono molto avanti. Quando vuoi vendere un prodotto lo devi presentare come un sogno e non deve mancare il fattore sorpresa. Chomsky dimentica che veniamo abituati alle favole; viviamo nell’attesa del principe azzurro, dell’albero che produce monete d’oro, del paraclito o di qualcuno che si porti via nostra moglie. Attendiamo, sogniamo, e siamo disposti a pagare per una sorpresa. Siamo complici prima che vittime. Avrò letto il libro dei fratelli Grimm decine di volte e il cartone animato l’avrò visto altrettante, e sempre la mia coscienza di bambino mi faceva battere i pugni dalla rabbia. Qualche volta credo di avere anche gridato nel mezzo della proiezione, ma quant’è cretina. Oggi ne vado orgoglioso, avevo una coscienza di classe e non lo sapevo. Andiamo con ordine: arriva una strega brutta come la fame, roba che pure il cane si nasconde sotto al tavolo e Biancaneve la fa entrare. Ecco un altro meccanismo che nasce dalla favola e viene sfruttato nella vita quotidiana, il travestimento. La vecchia è la matrigna cattiva (quella di “Specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?”) travestita da mendicante. Il cattivo delle favole si traveste sempre; l’integrità e la coerenza sono cose da buoni. Si traveste perché la cattiveria è intenzionale, finalizzata e il resto davvero non conta. Altro elemento di distrazione è il linguaggio; la matrigna porge la mela alla fanciulla dicendo: “Roba bella, roba bella, voglio regalartene una”. Non dimentichiamolo, le favole nascono dalla lingua e si consumano nella stessa. Abbiamo la ripetizione roba bella/roba bella (com fa quell’altro cacciaballe che da vent’anni ci dice che la promozione è solo per oggi e tutte le volte gli crediamo) e la parola regalo. Ripetendo abituiamo l’acquirente al prodotto, lo portiamo nella favola; il regalo macina nelle emozioni scavalcando i processi adulti della riflessione. Le emozioni toccano il desiderio e non c’è ragione che riesca a fronteggiarlo. Il regalo distrae (primo elemento della distrazione sociale in Chomsky), distoglie da altro, serve a: “Sviare l’attenzione dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali”. La parola regalo viene da rex: re, regio, regale, e attraverso lo spagnolo regalo = dono al re, regalare = rendere omaggio al re. Ci sentiamo principi questo è il problema e vogliamo sorprese. Dal latino superprehendere; prendere da sopra, alle spalle. Poi non lamentiamoci se ce lo mettono nel culo.
(Per me Biancaneve gliela dava ai sette nani)

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NOTA PER IL LETTORE

Tempo fa uno sconosciuto mi chiese di fare l’amore. Non usò propriamente l’espressione “fare l’amore”, si servì anzi di una nota metafora domestica. La sua proposta era comunque chiara. Compresi allora che le mie possibilità di acchiappare erano di colpo raddoppiate. Non solo avrei continuato a correre (per lo più inutilmente) dietro alle gonnelle, ma quelle gonnelle avrei potuto metterle io stesso facendomi a mia volta rincorrere da nerboruti e irsuti individui di sesso maschile. Lì per lì sintetizzai le mie motivazioni con un deciso e virile “no!”. Non dissi altro e gli voltai (per modo di dire) le spalle … 

Assume allora un senso insolitamente etico questo corso accelerato per aspiranti gay, e un contenuto morale la sua esposizione in forma scolastica: fornire al neofita che ha deciso di convertirsi gli strumenti più adeguati e aggiornati per iniziarsi ad una normale vita pederasta. O, se si vuole, i fondamentali consigli di adattamento da applicarsi nella dura lotta selettiva per la sopravvivenza … 

Combattuto tra i dubbi della coscienza e la perplessità della scelta di fronte ad una proposta tanto viziosa dell’esistenza, orgogliosamente genitale, e non di meno provocatoria nei confronti di un secolarizzato indottrinamento ideologico che ha fatto dell’infelicità una virtù, anche il lettore più disponibile sarà forse tentato di assestarsi su una posizione conservatrice sentenziando che è “contronatura”, e … magari anche di prendere moglie. Niente di male. Vorrei però ricordargli che la discriminante ecologica non è mai sostanziale, e che il concetto di “natura” è molto spesso un comodo e ozioso alibi, peraltro infondato. Perché, al di là del facile stereotipo, i gay la natura la amano eccome, come e più di altri; la amano anzi così tanto da volerla amare talvolta anche contro natura.

A dissuaderlo dall’intento malsano di convolare a nozze dovrebbe poi bastare una considerazione di tipo logico (deducibile nientemeno da santo Anselmo), semplicemente meditando sul fatto che se la moglie fosse una cosa buona, dio probabilmente ne avrebbe una.

(Dalla prefazione)

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