LE TETTE DI FOUCAULT

The Danish Girl è un film del 2015 diretto da Tom Hooper, adattato al romanzo La danese (The Danish Girl) di David Ebershoff e ispirato alle vite dei pittori Lili Elbe e  Einar (Gerda) Wegener. La storia è questa: Einar accetta di posare in abiti femminili per la moglie e capisce d vivere in un corpo che non è il suo; poco alla volta abbandona i caratteri maschili per diventare Lili Elbe, assorbito nella sua identità di donna. 

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The Danish Girl prima che un racconto dell’omosessualità o travestitismo, è una profonda delicata plastica analisi della sessualità ben contestualizzata nella Copenaghen degli anni venti.  La trama è quella, ma va davvero oltre e racconta dell’identità di genere in termini sorprendentemente attuali. Nel film Einar viene ospedalizzato, il corpo sottoposto a terapie brutali, coartato e violato nell’intimità.

La storia si presta a diverse interpretazioni, voglio però soffermarmi su una in particolare, l’identità. Non ci pensiamo, ma è manipolando il corpo che abusiamo della volontà svuotandola di una consistenza giuridica. Siamo corpo e il corpo ha una collocazione politica, anche nel carattere sessuale. La politica evita accuratamente di rivolgersi a noi in quanto carne, perché la carne è rivoluzionaria, libera, è istintivamente rivolta al godimento, non la controlli con le idee, va nutrita ogni giorno, riscaldata in una casa, se la sfianchi di lavoro deperisce, privata dei bisogni primari muore. Può esserci una sola politica ed è quella che si prende cura del corpo, l’anima esula dalle competenze dello Stato. Il corpo desidera, vuole, spera, è attuale e mai declinabile al futuro; l’attualità è possibilità e divenire, non c’è nulla di più eversivo del qui-ora. Poiché lo squilibrio in una struttura sociale comincia riconoscendo l’instabilità, a uomini e donne in transizione da un genere all’altro viene tolto ogni elementare diritto. Lo Stato impone l’identità (anche quella sessuale) e la certifica con una carta con la quale legittima la contraffazione dell’Io; pretende la sua reificazione chiedendo a ognuno di diventare identico a se stesso. Lo squilibrio a quel punto diventa endemico, a cominciare da quello mentale che si riverbera in quello sessuale. 

Nel film Danish Girl le autorità cercano di riportare Einar nella normalità. Normare è controllare, come nominare è identificare; l’identificazione è già uno degli aspetti della normalizzazione, con la quale si chiede a un individuo di diventare identico a se stesso. L’identità è una tautologia che conferma nel singolo il carattere universale dello Stato. Quel che c’è al di là, l’alterità, è qualcosa di patologico e di deviato, di difforme. Il diverso o la deformità come categoria antropologica non è assorbibile dal conformismo sociale così com’è espresso dalla moderna società tecnologica. Collocare la reazione (o alterità) altrove, nei luoghi della perversione vuol dire mantenere inalterato l’ordine, dare una regola e imporre di rispettarla. Sistemarla in una dialettica di opposizione che separa nettamente giusto e sbagliato, normale e anormale, il bene dal male. Un potere di questa natura non può che invadere ogni aspetto della sessualità, del corpo, dei sentimenti e della società nella quale sono collocati. Foucault è stato molto chiaro denunciando il potere e i suoi travestimenti: le relazioni di potere sono immanenti, non una sovrastruttura che esercita da un tribunale il ruolo della censura. I rapporti di forza, multiformi e instabili, si muovono dal basso per poi diffondersi attraversando tutta quanta l’esperienza sociale senza individuarsi in maniera assoluta. Le articolazioni del potere nelle società moderne sono il punto di partenza da cui procedere alla definizione delle modalità con cui tali intrecci producono i discorsi sul sesso. Al centro del discorso-potere si trova il corpo, in qualità di oggetto di sapere che ha assorbito i rapporti e i conflitti di classe. Quello della sessualità si è formato partendo da un meccanismo già in movimento, l’alleanza, all’interno della quale il potere continua a presentarsi nella forma canonica del diritto. Con la nascita delle tecniche di confessione, ossia con lo sviluppo di nuovi discorsi che avevano come oggetto non più i rapporti legittimi o illegittimi discriminati in base al diritto, ma il corpo nella sua espressione erotica, si sono generati nuovi argomenti che dalla famiglia sono poi fluiti nella pedagogia, nella sessuologia, nella psicoanalisi. Mentre in precedenza nel meccanismo dell’alleanza, la famiglia era il luogo dei rapporti coniugali conformi e conformanti, il dispositivo più recente ne ha fatto il luogo in cui dal principio si esprime la sessualità; quello degli affetti e dei sentimenti e per tale ragione secondo Foucault la famiglia nasce come una struttura incestuosa. Per contenere la degenerazione dell’incesto agisce in essa il discorso-potere, che argina la disinvoltura del più recente meccanismo della comunicazione che stimola invece la sessualità all’interno del gruppo familiare. Le nuove tecnologie allentano la morsa morale all’interno del contesto domestico e per scongiurarne l’effetto con un doppio binario comunicativo la ritraducono nella forma del diritto.  Alle strategie di controllo istituzionale corrispondono altrettante figure antropologiche, divenute oggetto del sapere: la donna isterica, il bambino onanista, la coppia maltusiana, l’uomo perverso a cui si affiancano le specifiche tecnologie di intervento e le relative figure professionali (il sessuologo, lo psicanalista, l’assistente sociale, il pedagogo e altre ancora dall’economista al giurista). Il potere-sapere nasce in un preciso periodo storico e con finalità ben demarcate. L’origine si trova nelle classi borghesi emergenti e in quelle aristocratiche del XVIII secolo, dilatandosi all’esterno della famiglia e intervenendo sulle perversioni e le sessualità eterogenee generate in una società che ne stimolava la proliferazione, per poi controllarle con l’apparato delle alleanze. Fino al XIX secolo le fasce popolari non interessavano al dispositivo di sessualità; la famiglia e l’obbligo morale alla fecondità esercitavano dalle mura domestiche il controllo; il corpo proletario solo successivamente è stato identificato con il sesso, come un nuovo regime di segni che ne ha ridisegnato i contorni cancellando quelli prodotti dalla fatica, dalla cattiva alimentazione, dalla povertà. Nella cura che la borghesia ha avuto del proprio corpo Foucault individua gli stessi metodi di cui la nobiltà si era servita per marcare e conservare la differenza di casta. Mentre per affermare la singolarità del proprio corpo le classi nobiliari avevano inventato il concetto del “sangue blu”, la borghesia ha cominciato a guardare alla discendenza e alla salute dell’organismo. Oggi è più che mai evidente che il sesso abbia sostituito il sangue; la prole vigorosa e il benessere del corpo dipendono da una sessualità ordinata, di cui il meccanismo di potere-sapere si prende cura.

Marcuse si è spinto anche oltre. La repressione (perché di questo si tratta) non è un fatto costitutivo della civiltà umana o un fenomeno storico, ma la conseguenza a una specifica organizzazione sociale. Un particolare aspetto della repressione è quello che chiama “addizionale” e si fonda sul principio di prestazione; tale forma repressiva è diversificata sulla base del lavoro che svolgono i singoli individui. Produrre la repressione addizionale è compito della struttura familiare patriarcale e monogamica, dell’industria culturale di massa e soprattutto della divisione gerarchica del lavoro. In quest’ordine di idee la società è determinata a diventare totalitaria, ossia a rendere impossibile ogni opposizione. L’apparato produttivo ha raggiunto un tale livello di sviluppo, da rendere disponibili le risorse necessarie a soddisfare i bisogni umani, ma la società totalitaria crea sempre nuovi bisogni falsi e artificiosi alimentando il desiderio per impedire l’emancipazione degli individui. In L’uomo a una dimensione sottolinea l’attuale impossibilità della liberazione, perché la società industriale avanzata si conforma in maniera sempre più totalitaria, unidimensionale. La stessa tecnologia si configura come uno strumento per istituire nuove forme di controllo e di coesione sociale, il più delle volte piacevoli e quindi maggiormente efficaci. Questo vuol dire che è proprio l’innalzamento del tenore di vita, dovuto ai progressi tecnici raggiunti, a diventare veicolo di repressione: genera infatti il bisogno ossessivo di produrre e consumare e abbassa la soglia di resistenza al sistema. Marcuse parla di desublimazione e tolleranza repressiva; grazie all’estensione in massa di valori culturali, che vengono appiattiti sull’ordine esistente, si verifica anche una concessione di libertà apparenti che non danneggiano gli interessi dominanti ma garantiscono e rafforzano la continuità della repressione. Nelle democrazie moderne la tolleranza coincide con il permissivismo, perché viene concesso sulla base dell’idea che nessuno sia in possesso della verità e che pertanto il soggetto delle scelte deve essere la collettività, che si suppone composta di individui capaci di scegliere liberamente. In realtà la società produce l’effetto contrario, un generale conformismo. Anche il pensiero corrispondente a questa situazione è una unidimensionale, modellato sulla realtà esistente e incapace di opposizione e critica. Più che alla classe lavoratrice, che appare sempre più integrata nel sistema e da cui tende ad assorbire i valori, Marcuse guarda agli studenti e ai gruppi marginali come i neri, i guerriglieri del terzo mondo, gli emarginati e il sottoproletariato delle periferie, le prostitute, i disadattati come a potenziali soggetti rivoluzionari. La diagnosi della società tecnologica che Marcuse ha delineato è più pessimistica di quella di Foucault ma inappuntabile. Tutti i luoghi alternativi, tutte le forme di opposizione, tutte le dimensioni diverse da quella della tecnologia sono stati conquistati dalla finta democrazia della società industriale: l’uomo, la società e la cultura sono ridotti all’unica dimensione che condiziona nel profondo bisogni e desideri. Nessuno è svincolato da questa non-libertà, tutte le classi, compresa quella operaia, sono ormai assorbite dal sistema; solo fuori del sistema si può ancora trovare qualche potenziale rivoluzionario (“Al di sotto della base popolare conservatrice”), tra gli emarginati, i reietti, gli stranieri, gli sfruttati, i disoccupati. Tra coloro che non sono integrabili in un’identità storica e politica; come Lili Elbe, le transessuali nella più radicale tra le alterità, quella sessuale. 

Da Gli italiani

Autore: Giancarlo Buonofiglio

Manipolo paradossi sito web http://giancarlobuonofiglio.weebly.com/

16 pensieri riguardo “LE TETTE DI FOUCAULT”

  1. Conformismo e anti-conformismo (conforme) è il classico cane che si morde la coda. Permissivismo come concessione, quasi una liberalità, fino a che non vada oltre i limiti della “società” (non uso la parola “sistema” perché mi urla troppo al “gomBlotto!”).
    In questo paese (“p” minuscola) si è arrivati a fare sdoganare la prostituzione fino al punto di pensare che sia un’opportunità il concedere la propria figlia al potente di turno per il suo “bene” (e quello della famiglia…bella famiglia eh!). Si volevano creare un milione di posti di lavoro, le oRgetttine dell’Olgiata erano il primo contingente, poi si sarebbe abolita la Legge Merlin e riapertura delle case chiuse così gli italiani potevano lamentarsi solo della “spazzatura” dei rifiuti casalinghi e non più di quelle disgraziate o disgraziati a vendersi per strada.
    Vi sono molti spunti in questo tuo post, OnGiancà! Questo è quello che mi è uscito dalle dita per primo. Non so se sono uscito fuori tema, ma il sesso e le sue dinamiche c’entra moltissimo con l’esercizio e i tentativi di controllo e d’influenza sulla collettività.

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    1. direi che hai ragione su tutta la linea. E’ vero, quando parlavano di un milione di posti di lavoro pensavano a far diventare gli italiani delle prostitute. Ho guardato i numeri, c’è un incremento del meretricio locale impressionante; casalinghe che non arrivano a fine mese, disoccupati, studenti che devono pagarsi gli studi. C’è poi la violenza silente: impiegate falsamente compiacenti, ma in realtà molestate e… vabbè ci siamo capiti. Opinione personale: a me uno Stato che lucra sul corpo dei disperati fa schifo, la prostituzione è legittima solo nell’illegittimità. La legge Merlin era una buona legge, destrasinistra l’ha rovinata. Insomma va sempre peggio

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      1. “Uno Stato che lucra sul corpo dei disperati fa schifo”. Pari pari le mie parole in discussioni su questa materia e sono immancabilmente in minoranza. Non vorrei tirare fuori i padri costituenti, ma non credo proprio fosse questa l’intenzione quando hanno scritto che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. E non continuo con l’Art. 2 altrimenti mi tacciano di idealista/buonista.
        Una cosa bisogna però riconoscerla a quel periodo e a quei personaggi: c’era dell’onestà di fondo…Mi si dice:”Allora preferisci vedere quello schifo per strada?!? Perché non te ne porti tu a casa una di quelle!? ( o “quelli” quando vogliono essere più cattivi, secondo loro mi offendono se mi tacciano di avere un orientamento sessuale ondivago)
        Effettivamente mi sarebbe difficile giustificarlo a mia moglie. Mentre, vedi l’onestà di costoro? Se le sono portate a casa, nei loro palazzi, hanno offerto loro cene e regali, occupate in funzioni pubbliche e altre vitto e alloggio assicurato in residenziali zone cittadine. “Loro” sì che se le sono portate a casa! E che non gli abbiamo dato fiducia e i posti di lavoro sarebbero pure raddoppiati. Altro che quella miseria di qualche centinaia di migliai di precari e temporanei con il (blow)Job Act!
        Il sesso ricorre sempre, hai notato? E’ inquietante.

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      2. a parte il fatto che fosse per me mi riempirei la casa di mignotte, e qualcuna ci ha pure abitato, il nocciolo è quello: uno stato che fa cassa su gente che vende il decoro, si espone a malattie e pericoli (vai a vedere che razza di psicopatici sono i clienti), che si decontestualizza mettendosi ai margini della comunità, che viene quotidianamente stuprata fa schifo. Ma è una storia vecchia e va al di là dell’italietta delle oRgettine. Nelle crociate le armate nobilissime che mettevano la cintura di castità alle spose, si portarono dietro 13000 prostitute; senza contare quelle arruolate sul campo. E’ un antico cavallo di battaglia dei regimi fascisti, la dicotomia tra santa e puttana. a cui si è presto adeguata l’altra parte politica. Ma come hai ben ricordato, con il numero di etere in crescita negli ambienti aristocratici una legittimazione andava loro pur data. Viviamo in uno Stato di diritto e che si occupa dei cittadini, no?

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