SE NON CI FOSTI, IO TI INVENTAVO

L’amore non ha età

E’ commovente                                             
vederli tra la gente
mano nella mano
a dirsi ti amo
due vecchi alla posta
nella fila scomposta.

E così penso a noi
nel giorno del poi
con le teste canute
e le rughe cresciute.

Uno nell’altro in adorazione?
No, io e te con la pensione

 

Si supera tutto

Si supera tutto
soprattutto il male
quello graffia
e se non graffia non vale.
Si supera tutto
le ferite d’amore
l’ansia, le sciagure, il dolore.
Si supera tutto
il fato, il destino.
Si supera tutto
ma non il Pandino
guidato da un vecchio strano
che viaggia col freno a mano

 

Benedetto sia

Benedetto sia 
il punto, il mese e l’ora
il tramonto e l’aurora
dove t’ho incontrato
e baciato.

Tornare su quei sentieri di parole
mai nuove
sgrammaticate e violate
a lenti passi nella sintassi
a cercare il mio altrove.

Mille volte ancora tornerei.
Poi però mi hai detto “se sarei” …

 

Io, tu e le mensole

Le voci di un mondo a vivere
il rumore dal quale attingere
qualcosa che pare vero
i passi, la luna, il cielo.

E poi ci sei tu, bella come una dea
però col cazzo che ti porto all’Ikea

 

adesso(1)

libro

MI FAI MORIRE DAL RIDERE

riso

Gli innamorati si avvicinano con la parola e il discorso d’amore non è mai vuoto in quanto nella parola scorre il desiderio; tuttavia c’è un altro fenomeno sempre presente nelle relazioni amorose, la risata. Lacan ha affrontato marginalmente la questione (rileggendo Marx, in relazione all’umorismo del capitalista, collocava il riso tra plusvalore e plusgodere, definendolo con il neologismo Marxlust. La risata come maschera o distrazione rimanda al significato del potere attraverso un meccanismo che preserva la vita privata a detrimento di quella pubblica; provoca un cortocircuito nel senso, un’assenza di significato come rimando al reale) perché le sue intenzioni primarie sono dirette ad ordinare uno scenario che confermi la presenza come fondo sostanziale. Il riso non è il motto di spirito di Freud e non serve solo per una scarica pulsionale; nasce e si risolve piuttosto nella manque-à-être, rimane nelle fenditure del significato dando accesso non tanto all’Altro grande, ma risolvendo l’ordine nella mancanza. Che questa assenza nel discorso sia significativa si vede dal piacere che muove a soddisfare un bisogno primario. Il riso porta oltre il campo della relazione in quanto trabocca dal discorso e richiama all’assenza di un fondamento nella parola. Come una traccia che segna in profondità il linguaggio. Bataille ha inquadrato il problema sul piano antropologico. Descrive la risata come una forma embrionale di sacrificio, qualcosa di sacro in cui le forze distruttrici della dépense sono in azione. Ridendo di qualcuno lo dissacriamo, strappandolo dall’ordine abituale lo svuotiamo di senso per consegnarlo al nulla. Lo prendiamo in giro, girandogli appunto intorno senza centrare la verità. La relazione amorosa non è un luogo nel quale trovare la verità, non si tratta di ordinare i termini nella presenza (o nell’identità), pur spostata nel simbolico o nell’immaginario, ma nel vuoto dell’essere e nella privazione di un’identità. L’amore disturba, disorganizza, scioglie e non unisce l’Io e l’altro col linguaggio dell’Altro; si presenta piuttosto nel sopraggiungere di un elemento perturbante e disorientante. La risata sacrifica l’altro, non lo conferma: “Il riso comune … è indubbiamente la forma insolente di un simile imbroglio; non è chi ride a essere colpito dal riso, ma uno dei suoi simili quantunque senza eccesso di crudeltà. Le forze che lavorano alla nostra distruzione trovano in noi complicità così felici – e talvolta così violente – che non ci è possibile allontanarci da esse semplicemente perché lì ci porta l’interesse … Certamente questa parola, sacrificio, significa che alcuni uomini, per loro volontà, fanno entrare alcuni beni in una regione pericolosa, in cui infieriscono forze distruttrici. Così sacrifichiamo colui di cui ridiamo, abbandonandolo senz’angoscia alcuna a una decadenza che ci sembra lieve” (Bataille). Non sempre “dove si parla si gode” (Lacan, Sem. XX). Il piacere amplia e dilata la scena amorosa, la prolunga per conservarla nel tempo. Per Lacan il campo della parola è il campo possibile di ogni relazione, del simbolico e dipende da ciò che accade nel linguaggio. Il campo del godimento è quello della pulsione, oltresimbolico, eterogeneo a quello della parola. La materia della pulsione non è quella della parola; è fatta di un composto simbolico, mentre la pulsione ha una natura erogena. Il problema della psicoanalisi consiste nel verificare in che modo la funzione simbolica della parola possa modificare l’economia della pulsione. Con una certa autocritica Lacan dice che là dove prima pensava si comunicasse e si muovesse il senso, in realtà si trova il godimento. Il linguaggio è invaso dal godimento: quando si parla qualcosa gode. Lacan imbastardisce il rapporto tra la parola e la pulsione come se la pulsione interferisse con la funzione della parola. Non solo si parla per essere ascoltati; la parola necessita di essere riconosciuta e a un tempo fa anche da veicolo a quello strano godimento che è il godimento della parola stessa, il piacere del parlare. E tuttavia la lingua langue, mentre costruisce un flusso di fonemi rimanda a un venir meno, si indebolisce nell’incedere delle parole; non è solo un pieno di voce ma è composta anche da silenzi, pause, modulazioni, assenze. Quando langue non si verifica una stasi nel desiderio che continua comunque a defluire. Tra gli innamorati in particolare, prima si distorce, poi si carica di nonsense, i neologismi si contraggono in monosillabi incomprensibili, infine interviene la risata e in essa il sacrificio di un ordine nella lingua.

FRAMMENTI 3D

Non è un fenomeno marginale, il riso che subentra alla lingua serve a riempire connotandolo di un senso il vuoto delle parole. E così quella che era la dépense, ciò che non serve a nulla si presenta come la “parte maledetta per eccellenza” (potlach), qualcosa di sostanziale che serve a dare continuità al discorso. Per quanto l’uomo neghi la natura, essa ricompare nelle deiezioni, in un gesto che non è solo negazione dialettica, perché nella risata i termini non sono superati come nell’Aufhebung hegeliana. Non si tratta di un superamento, ma di una trasformazione. La “parte maledetta” consegna l’altro ad una natura sconosciuta all’indagine concettuale, il piacere è subordinato e consegue. Il riso, se è di difficile integrazione nella teoria psicoanalitica (se non come motto di spirito), lo è ancora di più nell’indagine filosofica. Pone di fronte all’estrema corruzione del linguaggio e del pensiero, va al di là dell’inconscio, trascina nel luogo in cui si apre una ferita che non può rimarginarsi. Apre uno spazio sconosciuto in cui si respira qualcosa di nuovo, il desiderio non dell’Altro, ma di un oltre. La risata è il momento in cui la conoscenza si arresta di fronte all’esperienza di ciò che è essenziale e che Nietzsche ha raccontato come il grido angosciato di una soggettività felice. Bataille ha maturato la consapevolezza di un’incapacità nel dire l’impossibile, l’estremo, connotando positivamente lo svuotamento dell’Io. La “parte maledetta” rivela che nella natura sia presente un eccesso di energia non canalizzabile. Sempre secondo Bataille l’uomo è dotato di un’energia eccedente; questa “parte maledetta” deve defluire attraverso la nutrizione, la riproduzione, la morte. La risata consente un primo e attuale sacrificio dell’eccedenza, non come appagamento della libido ma in quanto usura e straniamento dall’Io, che è una radicale inesorabile erosione della vita. A un tempo si rivela però anche come una specie di riassorbimento, qualcosa che nasce da quanto c’è di indigesto nel linguaggio, rendendolo assimilabile. E’ una voce che parla dall’infinito prima che dall’inconscio. Più che Freud o Lacan è stato Nietzsche a dare una disincantata spiegazione della risata, in quanto terapia contro la veste restrittiva della moralità logica; una retrocessione dalla ragione così come scorre nel discorso. L’amore -ed è questo il punto- irrompe come una dolce morte che traccia ridendo qualcosa di infinito.

Frammenti di un monologo amoroso

 

MARISA … FACCE TOCCA’ LA SISA

Io e Anna Maria ce semo visti il film Straziami ma di baci saziami. Stemo ancora ridenno e mo ve lo raccontemo. Anna è marchiggiana doc (o marchisciana) e io ce sto a provà a scriverce, ché a me quella lingua me piace tanto.

straziami

Di Anna Maria

L’hai visto il film sennò na che l’hai da vedè, che poi ce famo na recensione pari pari a linguaggio. L’ho visto sì, me pare perfetto e preciso,  se mischia er romano co la marchiggiana. Marchiggiano voi dì,  linguaggio s’è mica femmina. Linguaggio  eh appunto, na sta attenti proprio co questo caro mio che a fraintenne ce vole n’attimo,  me vorrai mica fa  confonne e famme fa  un miscuglio gay, eh no, de romanzo popolare se tratta e qui se sa, voce de popolo voce de Dio, na sta alla verità come menzogna detta, se po’ mica pervertì la perversione,  certe cose se fanno ma nun se dicono insomma, non ce impicciamo eh, restamo in superficie pe la cosa lì, come se chiama mannaggia… quella  che fa filà tutto liscio mentre dentro te rodi er fergato… il quieto vivere ecco! Vedi che bella parola, mica come quelle che me suggerisci tu, che poi te fai nemici, che secondo me te amano e te fanno bannà pe avette tutto per sé, e che ce vole a capì, oggi ce semo quasi e ancora se fa gli gnorri. E pe tornà ai giorni nostri mo’ tu t’hai da vedè Closer, come che è, naltro film, naltra lingua, sempre lo stesso minestrò travestito da minestra, dove  appunto, ce se scambia le donne, ma quarcosa nun torna, e chi nun torna è l’omo pe l’omo capisci? Ma torniamo nelle grazie del Signore, a sapè quale, perché poi tornacce se sa come se fa, l’importante è che nun se ne accorga delle tante pen.. azz  no! pene non se po’ dì, sia mai lor signori fiutassero quarcosa, pasciò ecco, pe niente!!!  ma quanto ce piace la pasciò, sai quella che ce scusa e ce fa fa le cose più insensate, ieri come oggi,  non come quelle de ieri, ma sempre insensate so, se va avanti insomma perché come se dice correa l’anno… e pe tornà da dove siamo partiti appunto,  quel che correa nella storia de sto film qua era il 1969 e semo a Roma, e se stanno a celebrà la Giornata folcloristica nazionale. Ecco che a un certo punto, nun te scocca il córpo de furmine tra un certo Marino e Marisa, e basta poco eh, du parole, perché lui romano de Roma se trasferisca da lei marchiggiana de le Marche.

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Eccoli dunque, che carini che so, e pure ingenui però, fanno na tenerezza…  e certi giri ce stanno pure, come l’ostacolo che non po’ mancà. Prima er padre de lei se oppone, ma la divina provvidenza che ce sta a fa? Appunto, e siccome Dio vede e provvede, quando se deve ripiglià sti due giovani che pare proprio che se vogliono suicidà, se riprende er… no siamo nelle Marche e se dice “lo” vecchio, ecco,  ma non è che poi tutto po’ andà liscio come l’olio, e come se dice  lo diavolo ce mette lo zampino, certo che se tirava via questo invece del vecchio,  cioè tutto lo diavolo eh, no solo lo zampino come al solito, ma se sa,  quei due glie piace giocà a rimpiattino co noi, e i tifosi de parte se ne accorgono mica, e procedono, pe modo de dì, verso un altro ostacolo. Eh sì, quello delle malelingue, ce n’è sempre una, che invaghita de Marino, glie fa crede che la sua Marisa mica se l’è tanto pura, qui mi sa so sforato co lo dialetto, facciamo che sia della malalingua via! E se torna a Roma, oh yea,  questo deve esse no strascico de Closer, perché Marisa sconvolta qua se trasferisce, e così Marino dietro pe tornà da do era partito. E ne passa de tempo prima che i due se rincontrano, e quanno succede,  l’amore se riaccenne sì,  ma che te pareva, ecco  nartro ostacolo, un certo Umberto sarto sordomuto che Marisa s’è sposato.  Staorda però, perché è proprio vero che chi te toglie da l’impicci te c’ha messo, o pe nun da la soddisfazione a due creature umane de risolvelo da loro,  perché pure il libero arbitrio, qui ar contrario, se dice ma nun se da, e se fa pe niente, dunque e pe questo a venì,  decisi gli amanti a  toglie de mezzo Umberto,  il cosiddetto terzo incomodo, che poi fa comodo, da qui i sensi de corpa che poi so de indecisiò, mettono in atto de fa saltà la cucina e co questa pe  aria il povero sarto,  ma questo che te fa? invece de morì  s’è preso solo un forte shock,  e non te racquista udito e parola? perdendo de diritto la moglie però, eh sì, perché mo’ cià da scioglie er voto, come desiderio della madre,  e se deve da fa frate cappuccino, e  così… glie tocca pure da benedì  “er” e “lo” matrimonio de Marino e Marisa.

MARISA … FACCE TOCCA’ LA SISA

Di Giancarlo Buonofiglio

Dopo quello che ha scritto Anna me tocca parlà in marchiggiano pure a me. E mo ce provo, guarda un po’. E voio dì ‘na cosa, che a me Balestrini Marino me piace. Pure Marisa di Giovanni però, che lavora in fabbrica e fa i pantaloni da omo. Il film di Dino Risi è la storia di du giovani vittime dell’egoismo del mondo e della scarsa comprenzione che c’ha per noi giovani. Come quella tra Lara, Živago e Viktor Komarovskij, ma il protagonista è l’amore, quello della canzone Nell’Immensità e nel senso che non esiste nulla all’infuori di esso. Con Marisa che fronda: musicabilmente me piace, ma le parole no. Sono scritte per chi si ama, come me e te. Tante grazie, e io sarei nullità? Nullità intesa in confronto all’immensità dell’infinito. Non me convince pe niente, il nostro amore è lui l’immensità, nullità semmai sarà tutto il resto. In senso che non esiste altro all’infuori di esso, del nostro amore? E’, vidente. Può darsi, del resto è un concetto presente anche nella canzone C’è una casa bianca che.

Marino (‘ntelligente, struito, che trovò di collocare il suo lavoro a Sacrofante) a un scerto punto va a cercà la fidanzata fuggita a Roma, dopo averla ‘ngiustamente accusata di essere andata pe l’alberghi co Scortichini Guido Komarovskij (che se tu sei il Gigante di Rodi io non so il nanetto de Biancaneve; ‘n campana). Fa il cameriere ma finisce in disgrazia e si butta nel Tevere. Prima però cerca conforto nel Telefono Amico:

– Psichiatra: Chi è Marisa?
– Marino: Eh… è la mia fid…
– Psichiatra: No, Marisa è la mamma!
– Marino: La mamma?
– Psichiatra: Il bisogno della mamma che lei probabilmente avrà perduto giovanissima…
– Marino: 86 anni
– Psichiatra: Ecco, vede?

Mo me tocca però che ve spiego il titolo mio: Marino comincia a strillà Marisa, Marisa… e uno che c’aveva le recchie comme lu somaru, gli risponne: facce toccà la sisa. Poco gentili questi romani; ma nelle Marche c’erano l’etruschi e apposta je l’hanno date. A me le sise me piacciono, pe carità, ma non ne parlamo che il discorso è troppo spregiudicante. ‘Ntanto Marisa s’è sposata con Umberto Ciceri, sarto sordomuto che ordina il caffè fischiando e cucina come nonna quando te tocca la panza e dice: viè qua, che te la riempio. So corna e Marino se gioca i numeri (fanno 58 e chissà poi perché); la vita è pur sempre una roda che gira e li sordi e l’anni non se rifiuteno mai. Torna ricco e spietato a riprendersi i ricordi, il sapore dei baci, un disco per l’estate, le domeniche a Macerata e la prima frase che mi scambiasti: gradisce una gomma alla licurizia? No, grazie annerisce i denti. Marisa cede (la musica è finita, gli amici se ne vanno, impossibile resistere al melodramma) e come nei romanzi d’amore progettano l’inzano gesto, liberarsi del sor Ciceri (ma il rimorso arriva subito: il nostro amore ce stava portando su una brutta china, come tante volte si legge sulla cronaca degli amanti diabolici).

Umberto Ciceri, all’apparenza omo mite e marito premuroso ma violento tra le lenzola: come si chiama uno (domanna Marisa) che nell’intimità picchia la moglie? E che ne so, nervoso? Ma no, è un vizio, una perversità. Ma allora è un notanaso… un nasochista ! Ma il film va visto tutto, che qua con le parole ce famo notte.

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Marisa, facce toccà la sisa

Ora noi facciamo fatica a capire, ma anche quello era un modo per fare la corte. L’uomo era omo e pertanto malandrino, anche con le parole. Per quanto sgradevole, l’approccio urlato veniva comunque digerito in un mondo che parlava una lingua povera, contadina, almaccata dai fotoromanzi e dalle epiche del cinematografo, svincolata dai fasti grammaticali (che sono roba da signori). Ma è possibile che in tre mesi di questa schermaglia neanche un bacio? Tempo al tempo, Casanuovo. Una sintassi affrancata dalla scola, che si capisce meglio. Il sintagma percorreva la catena dei significanti e per metonimia la “sisa” prima che una metafora sessuale catturava il fotogramma della femmina (il profumo della tua pelle me fa ‘mpazzì… voglio ‘nfangà, voglio ‘nfangà). Storicizzandola anche. Corposa, materna, sostanziosa (ti mangerei; fallo… fallo). Perché la fame era fame e pure quello era un modo per saziarsi. Almeno l’occhi, come direbbe Marino. La lingua rurale tracciava la passione tra Marino e Marisa collocando la donna in un ambiente domestico e riproduttivo (Marisa mia, mia… mia… no sono la signora Ciceri; sempre di qualcuno ‘nzomma era). All’interno di un contesto familiare (ingenuo e immacolato: me so comportato sempre da gentilomo), il corpo femminile veniva abitato da significati che andavano al di là delle parole, diventando un modo per dare voce prima che ai ruoli tra maschio e femmina (so mai venuta qualche volta con te? Non ce sei venuta ma ce potevi venì, perché io so ‘n cavaliere e non ho ‘nsistito), a una narrazione romanzosentimentale come nel libro (o meglio nel film con Omar Sharif) di Pasternak, che ordinava la scena muovendo da un desiderio che pure c’era (hai voluto solo il mio corpo, non avrai la mia anima). Perché sempre di sceneggiata e di letteratura comunque si trattava.

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Pe concludere: Straziami ma di baci saziami racconta le peripezie di du giovani innamorati, de sor Ciceri e del fantasma della gelosia che ha i muscoli di Scortichini Guido. Se ride e se piagne nel film, però se ride de più. E tu Anna cara, te la si fatta ‘na risata con me?

Link

Film completo su Youtube

Nell’immensità

Telefono amico

Regia: Dino Risi
Interpreti: Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Pamela Tiffin, Gigi Ballista, Moira Orfei, Ettore Garofolo
Durata: 100’
Origine: Italia/Francia, 1968
Genere: Commedia

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FRA CASSO E SORA GINA

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FRA CASSO
Due sfere in basso, il corpo snello o grasso, l’asta come una bandiera, il baffo adorna la figura intera. In punta si trova una cappella, dimora dei santi e dei dannati, a ricordar che siamo condannati a ricercare l’anima gemella. L’umore entra nei corpi cavernosi, dall’albuginea ai vicoli arteriosi, sfidando il peso grave, la carne morta, cercando la durezza che conforta. Il maschio adulto è legato alle catene di una rigidità che a volte non mantiene; e quando accade è una disfatta in terra, come il soldato che ha perso la sua guerra. E a nulla vale l’uman conforto di una femmina che dice: è un bel rapporto; ché lo sappiamo e si trova nelle cose: lo stelo del virgulto si spinge nelle rose. A mio parere, è un argomento antico, non puoi deporre l’arma e combattere col dito. Perdonate la scostumatezza, ma gli uomini son forti dell”unica certezza: dal re al nobile al villan fottuto, voglion sentirsi dire che hanno goduto.

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SORA GINA
Dice che noi femmine siamo sprovvedute, vittime del piacer e di virtù perdute; eppure non sa il maschio nostrano che anche a noi piace l’amor e lo facciamo. Diversa è nostra natura questo è certo, come la foresta con il deserto; e mo vi racconto com’è il piacer nostro, con qualche esempio ve lo dimostro:
A noi piace quando ci toccate, le carezze non lesinate.
Non siate avari con le parole, ti amo, cuore mio, luce e sole.
Se volete scaldare quella cosa, trattatela con garbo, come una rosa.
Non correte subito al boschetto, indugiate piuttosto sopra al petto.
Le spalle, il collo, i fianchi e non andate avanti: finché non sentite che son cose gradite.
baci non devono mancare, ma senza esagerare; perché son belli i tocchi di un poeta, ma tra le lenzuola preferiam l’atleta.
Ricordate che il sesso è allegria, prima di tutto ci vuole fantasia. Lo sapeva pure il Padreterno che mise il Paradiso dentro all’Inferno, collocando ciò che dà diletto proprio là, vicino al gabinetto.

Classe mista di commedia sexy all’italiana

Due blogger infoiati e una gentil donzella a discorrere di film che hanno fatto la fortuna degli oculisti di tutta Italia… (Ogni refuso è puramente dovuto a decimi mancanti e ostinazione a non portare gli occhiali). Con Cuoreruotante, RedBavon, G.Buonofiglio.

PARTE PRIMA

Il ruolo della donna nella commedia sexy all’italiana

di Cuoreruotante

Mi è stato chiesto, senza alcuna forzatura, di scrivere un articolo insieme ai due mostri sacri di WordPress. Ovviamente ho prontamente rifiutato, ma il mio dissenso è stato accolto con dispiacere, così non mi sono potuta esimere nell’aiutarli. Aiutare loro? Questo sì che è paradossale. Nella fattispecie l’argomento non è propriamente nelle mie corde (a differenza dei due fetenti), così mi sono documentata… non leggendo, ma guardando.

Ho acceso il computer, digitato i titoli dei film che mi sono stati suggeriti di guardare, preso una confezione di pop corn e una lattina coca cola  e, comodamente sdraiata, ho visto:

– La patata bollente, 1979, su Wikipedia la trama (Wikipedia)

– Spaghetti a mezzanotte, 1981 (Wikipedia)

– Rag. Arturo De Fanti, bancario precario, 1980 (Wikipedia)

Insieme ad altri spezzoni di pellicole simili su YouTube. Quello che leggerete di seguito è il mio pensiero, non tanto sul genere di film perché quello è materia loro, sul ruolo avuto dalla donna nelle commedie sexy all’italiana.

Mi sono chiesta, prima di tutto, come potessi fare per “entrare nella parte” , allora, a giorni alterni, sotto lo sguardo disorientato dei miei, ho indossato le parigine (tipiche calze autoreggenti moderne che, personalmente,  amo tantissimo), ho aggiunto il Babydoll (che uso esclusivamente d’estate, maquandomai), mi sono “coperta” con la classica vestaglia trasparente fatta di pizzi che ognuna di noi ha nell’armadio (ce l’avete, vero?) e per ultimo mi sono fatta fare la permanente (ai capelli eh) trasformandomi così nella brutta copia di Edwige Fenech, di Gloria Guida e di Barbara Bouchet,e cercando, tra  ammiccamenti e docce sexy, alternando candore e malizia, di diventare quella femme fatale che tanto faceva, e fa, sognare gli uomini e i ragazzi da quel periodo fino ai giorni nostri.

Quello che principalmente mi è saltato all’occhio (languido) è che il personaggio femminile non è lo stereotipo di una figura oca e promiscua, con una parte inferiore e marginale all’interno della scena, ma riveste ruoli e funzioni ben costruiti e presenti nella trama non per evidenziare la virilità maschile, impersonificata da uomini per lo più bruttini (perché si trascurano),  ma per supportarli, amarli e prendersene cura.

Una donna con cultura, determinata, disinvolta, appassionata, per lo più fedele e provocante, maliziosa, fintamente sciocca, velatamente vestita, dispettosa a piacimento, mai completamente estranea alla scena anche se potrebbe sembrare il contrario. Intanto che l’uomo si perde nel guardarla con le autoreggenti, in una vasca da bagno ricoperta a metà di schiuma, mentre sale una scala con il gonnellino, lentamente, scalino dopo scalino, consapevole del suo sguardo, lei è padrona e può, con un semplice battito di ciglia, fargli fare quello che vuole. Perché è lei che muove i fili, che si avvicina e che si allontana, spudorata e ritrosa, sfacciatamente impudica, ma con quel sorriso che, come avviene sempre a dispetto degli anni, dei luoghi e delle situazioni, ti rigira come un calzino senza che neanche tu te ne accorga.

E cosi vediamo l’insegnante, la dottoressa, la poliziotta, la liceale che diventano il perno centrale delle peripezie che vengono raccontate nella scena, alle quali viene riservata  una sessualità che non è celata, ma neanche accentuata, come può essere un vedo e non vedo in un rapporto sessuale  appena intravisto che intriga di più di uno consumato a mo’ di ginnastica a favore di telecamera.

Tutto questo costruito in maniera magistrale, con la figura femminile che non è oggetto del desiderio ma soggetto in primo piano, non come nei cinepanettoni che ci propinano ogni anno sotto le feste, che non fanno ridere, non appassionano, non trasmettono nulla.

PARTE SECONDA

“È morta Cassini!” “Chi Nadia?” “No, la sonda”

di RedBavon

Questo lo scambio al fulmicotone avvenuto durante una pausa pranzo tra due miei amici. L’amico più giovane ha letto sul monitor del PC della scomparsa del segnale della sonda Cassini mentre discendeva nell’atmosfera di Saturno; l’altro amico (e anche io) abbiamo associato “Cassini” alla nota attrice che – inutile fare giri di parole – deve la sua popolarità al suo posteriore, tanto che venne definito all’epoca come “il più bello del mondo”.

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Bella, ma ingenua, che non sa di essere così bella, tuttavia capace di inaspettata furbizia per manovrare gli uomini come più le aggrada. I registi decidono di farle interpretare questo cliché per quasi tutta la carriera di attrice.

Daltronde di cliché è fatta la commedia sexy all’italiana, sottogenere della più impegnata commedia all’italiana.

Una trama vera e propria non c’è, soprattutto quando viene scelta una struttura a brevi episodi come nel primo film in cui ha recitato la Cassini, Mazzabubù… quante corna stanno quaggiù (1971).

Altri contesti come ospedali e scuole funzionano come contenitore di barzellette, cornificazioni a go-go, personaggi perennemente arrapati, donne dalla bellezza prorompente, gag scoreggione e irriverenti; contenutisticamente irrilevante, l’intreccio è assente e lascia il passo a un intrattenimento che oscilla costantemente tra l’indelicatezza e il limite della decenza, almeno quella “dichiarata”, non quella realmente sentita dalla società dell’epoca.

Alla luce di quanto oggi si vede in televisione o è così facilmente accessibile sul web, i seni e i culi in mostra nella commedia sexy all’italiana non possono essere etichettati come “indecenti”. Si tratta, infatti, di film che – per la maggiore parte – possono ancora essere visti sorridendo, come qualche decina di anni fa al cinema.

L’esposizione di “cotanta mercanzia” femminile è per certi versi “sovversivo” per l’epoca; gli eventi e i personaggi si muovono secondo dei cliché consolidati, ma le scene scollacciate e sboccate rompono le convenzioni sia sessuali sia del “bon ton”.

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Non siamo di fronte a pellicole impegnate o di satira, ma tale “stimolazione sessuale” è presente per farsi beffe e ridere delle debolezze e fobie che l’essere umano manifesta nel vivere la sua sessualità. L’uomo, il “maschio” degli anni Settanta, in una società all’inizio di un processo di emancipazione femminile tuttora incompiuto, ne viene fuori con le ossa rotte.

Nel cast di molti film spuntano nomi di attori e attrici di certa caratura: Carlo Giuffrè, Sylva Koscina, Silvana Pampanini, Luciano Salce, Giancarlo Giannini, per citarne alcuni. Insomma, la commedia sexy all’italiana non è soltanto un divertissement edonistico o pecoreccio, ma è un fenomeno interessante anche se non lascia certamente nel Cinema l’impronta come pellicole del neo-realismo o di certa commedia all’italiana.

Senza comunque girarci intorno, per noi ragazzini a quei tempi e nell’immaginario collettivo l’essenza della commedia sexy all’italiana è: il culo di Nadia Cassini, i seni della Fenech, le mutandine di Gloria Guida liceale. Un vero “cult” per segaioli!

C’è poco da aggiungere o ricamarci su: quei perennemente arrapati Lino Banfi, Alvaro Vitali e Renzo Montagnani siamo noi ragazzini.

Se prendete Nadia Cassini, la mandate a scuola come insegnante di “dance” in mezzo a un gruppo di studenti, corpo docente e non docente assatanati, le strizzate il corpo in un body striminzito e attillato, il risultato può essere soltanto uno: il culo di Nadia Cassini all’ennesima potenza e testosterone a manetta!

Questo succede nel 1979 in L’insegnante balla… con tutta la classe, il primo film in cui la Cassini ha il ruolo della protagonista.

Stesso effetto accade se prendete la giovanissima Gloria Guida e le fate interpretare il ruolo dell’adolescente irrequieta che non si sente compresa dai suoi genitori: la madre ha un amante, il padre è un infedele patentato. Sfrontata e smaliziata, si solleva la gonna e mostra cosce e mutandine al professore di italiano, bionda, viso d’angelo, forme tornite, candore e malizia, è la ragazza più desiderata della scuola. Era il 1975 nel film La liceale.

L’attrice in un’intervista dichiarò: “[…]Mi si vede attraverso il buco della serratura, sotto la doccia, in bagno. Non è colpa mia se anche nel cinema ci sono i guardoni.[…]” (cit. “99 donne. Stelle e stelline del cinema italiano”,1999).

L’attrice può anche etichettare spregiativamente gli spettatori, che le diedero notorietà e soldi, ma non si può negare l’evidenza: il sedere della Cassini, i seni della Fenech, le mutandine della Guida bucano lo schermo e sono i protagonisti assoluti della commedia sexy all’italiana, che non viene ricordata per le trame o le gag esilaranti, ma per l’innalzamento improvviso dei livelli di testosterone e conseguenti problemi comportamentali: medio/gravi sbalzi di umore, senso perenne di irritazione non motivata, senso di potere non giustificato; offuscata visione generale e basso valore di buonsenso.

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Il continuo gioco del “vedo-non vedo” montano nello spettatore una tensione al pari di un thriller realizzato a mestiere. L’esposizione della nudità delle forme femminili assume un potere liberatorio.

Le forme femminili esposte, limitate ai seni e ai culi, con una certa specializzazione dei “ruoli” (la Cassini il posteriore, la Fenech i seni), sono parzialmente occultate da vestiario minimo, serrature o tende. L’immaginazione dello spettatore deve fare gli straordinari, il film è nelle nostre teste e ognuno si crea una “fantasia” diversa…fino a quando non viene mostrata la nudità nella sua interezza e bellezza!

Il culo della Cassini ha anche poteri rigeneratori, quasi miracolosi.

In L’infermiera nella corsia dei militari (1979), in veste d’infermiera (ma in realtà ha un altro scopo), la Cassini deambula con effetti “rivitalizzanti” sui pazienti per le corsie di una clinica psichiatrica per militari, cioè dei pazzi che si credono dei famosi condottieri. In realtà, la Cassini è una cantante che si finge infermiera ed è alla ricerca di quadri preziosi nascosti – non si sa per quale motivo – nella clinica.

Il film è il trito e ritrito assortimento di gag grossolane, non esattamente divertenti, ma meno noioso di quanto ci si possa aspettare.

La parte peggiore è quando la Cassini canta “Go out and dance”. L’attrice non ha mai  nascosto di avere aspirazioni di ballerina e cantante, la recitazione non è una sua dote, tanto che l’italiano non lo parla bene e ha conservato sempre un accento comicamente americano (è nata a Woodstock nel 1949). La terrificante “Go out and dance” è contenuta del suo LP, pubblicato lo stesso anno sotto etichetta CBS, Encounters Of A Loving Kind. Nel video potete rendervi conto che la canzone è uno strazio nel suo genere, la “disco dance”, e alla Cassini manca un elemento essenziale: la voce.

 https://youtu.be/dvsP-OjY8jk

La parte migliore del film è l’abilità della Cassini di perdere costantemente i propri vestiti e lo spettatore non attende altro da lei: il sodo posteriore.

Nadia Cassini, Edwige Fenech e Gloria Guida sono indiscutibilmente le protagoniste della commedia sexy all’italiana. Dal punto di vista fisico sono differenti: la Fenech ha un seno prosperoso e voluttuoso, la Guida è una sorta di Lolita petulante e a tratti spocchiosa, La Cassini ha un sedere sodo e arroccato in un corpo flessuoso. Ciò che accomuna queste tre attrici è l’abilità di ritrovarsi in situazioni in cui finiscono per perdere immancabilmente i propri vestiti e di mandare ai matti tutti gli uomini in un turbinio ormonale e di lussuria.

La commedia sexy all’italiana è concentrata in questo semplice ma sempre vincente “particolare”.

PARTE TERZA

Corno di bue, latte scremeto, proteggi questa casa dall’Innomineto

di Giancarlo Buonofiglio

“Capdicazz”, il titolo del mio contributo doveva essere questo; l’espressione la conosciamo e non ha bisogno di commenti. Ma c’è una presenza femminile, Cuoreruotante, e un minimo di eleganza è richiesta; siamo pur sempre un trio, come i Ricchi e Poveri e un po’ di contegno bisogna tenerlo. Tuttavia l’argomento invita alla disinvoltura e qualche oscenità mi è scivolata; come dice Pasquale Baudaffi in Vieni avanti cretino, potrò insomma apparire sguaiato, ma laido no: a me non me lo può dire, perché io vado a messa ogni domenica mattina, anche se lei si legge l’Osservatore Romano!

Nell’articolo con RedBavon e Cuore si parla della commedia sexy degli anni ’70 e vuol dire liceali, dottoresse, supplenti, insegnanti, poliziotte; docce, seni e culi (la parola natica non è appropriata a un genere che qualcuno ha definito pecoreccio) spiati dal buco della serratura. In quegli anni dopo Pasolini (Decameron, 1971) si allenta la morsa della censura e il cinema italiano represso da una cattiva legge prima ancora che bigotto scopre un sesso leggero e ironico, ma mai morboso o pornografico. La pornografia è un’altra cosa: i giornalisti italiani sono pornografi, le tette della Fenech celebrano l’inno alla fertilità come quelle delle Venere di Willendorf (però più belle).

Veniamo ai film.

Il genere sexy comincia con Mariano Laurenti, quando il regista prende a raccontare in maniera marcatamente eversiva (con Quel gran pezzo della Ubalda e La bella Antonia, prima monica poi dimonia) desideri e comportamenti degli italiani, pur cautamente filtrati dall’ambientazione medievale. Qualcuno storceva il naso, ma tanti riempivano le sale cinematografiche; a Milano ad esempio non si contavano i cinema e a pensarci oggi un po’ di commozione viene. Il Paese non è mai stato narrato con tanto disincanto come in queste pellicole spregiudicate (Pasolini a parte, che era la coscienza critica popolare e dunque un’altra cosa). Fotogramma per fotogramma veniva (e viene) fuori l’immagine di un’Italia contraddittoria e paradossale, fatta di brava gente ma anche di mascalzoni, cattolica ma solo la domenica; comunista con la proprietà altrui, altrimenti sfrontata con la propria, laboriosa quando capita e se non capita è comunque meglio, sfaccendata, lenta nelle istituzioni ma veloce sulle strade, addormentata eppure con l’occhio vigile sulle cose perché c’è sempre uno pronto a fregargliele, fedele tra le mura domestiche ma in coda dalle prostitute, moralista e pornofila a un tempo; arraffona quando può e se non può cambia casacca e partito, pronta a scendere in piazza se però ha la sicurezza di tornare a casa per cena. Pur con qualche interessante cambiamento dovuto anche a questi improbabili racconti goliardici che sono entrati nell’immaginario popolare, l’Italia sembra sempre la stessa, sessuomane e sessofobica ad un tempo, chiusa in casa a spiare la vita dal buco della serratura.

Registi e sceneggiatori di calibro, con una connotazione dal principio boccaccesca e a partire da Giovannona Coscialunga finalmente ambientata nel tempo attuale, hanno raccontato con il sorriso quanto stava avvenendo nella società. Il ’68 era appena passato e se l’immaginazione andava al potere, alla donna e al corpo femminile non più segregato tra le mura domestiche subentrava quello della femmina emancipata, disposta al piacere quanto quello maschile: noi abbiamo gli stimoli della carne, mentre loro hanno gli stimoli del pesce ! (come si sentenzia in L’insegnante viene a casa).

Un corpo che era comunque letterario e romanzato: più che di sublimazione è corretto parlare di detonazione del desiderio, contestualizzato in un ordine estetico e mai intenzionalmente sociologico. Lo stesso discorso vale per la lingua, che assorbe le varie contaminazioni: mi spettano sei ore di riposo; allora siediti e non ci rompere la minchia; questo suo modo di esprimersi mi ricorda Kafka prima maniera. Il corpo della Fenech, della Bouchet, di Gloria Guida, della Rizzoli, di Nadia Cassini e Lilli Carati veniva erotizzato ma non era mai osceno, rivestito cioè di un significato che non ha; svincolato semmai dall’ideologia che trasforma il piacere in un dovere sociale e l’erezione nella metafora di una società robusta e sana (dove l’impotenza rappresenta piuttosto la paralisi politica e sociale). Per Pasolini (è doveroso ricordarlo) i maschi fino ad allora erano sconvolti da un modello sessuale che obbligava alla disinvoltura. Ma nelle commedie sexy di Martino, Tarantini, Cicero e gli altri i ruoli in qualche modo si ribaltano; il messaggio era dichiaratamente reazionario (gli studenti più che politicamente impegnati erano sfaccendati e dediti all’onanismo (pippe, come le chiamava Montagnani): nella mia scuola … se non rigate dritti vi spezzo la quinta vertebra della spina dorsale; le istituzioni barbaramente svilite: la piaga sociale della disoccupazione giovanile, ma pure gli adulti che non fanno un cazzo; l’omofobia solleticata: te sì che se n’omo, no tua sorella!) eppure come accade nella narrativa l’intenzione ha finito per trasformarsi in altro adeguandosi al comune sentire.

Negli stessi anni di piombo questi film venivano assorbiti senza imbarazzo; e così non poteva non essere da parte di una generazione che faceva cose e incontrava gente. La conservazione ha ceduto il passo prima che all’erotismo a una disambiguazione linguistica nella quale il corpo non è più il soggetto che gode, ma l’oggetto di un piacere che si soddisfa nel racconto più che nel godimento stesso. Oltre che la metafora del rapporto sessuale, il sesso diventava la metafora del rapporto tra classi sociali. Steno nella Patata bollente (un film di rara intelligenza che tratta di politica e omosessualità) fa dire al Gandhi (Pozzetto nel ruolo dell’operaio ideologizzato e al principio omofobo): Senti ti ho portato un grappino perché ho pensato che la camomilla è una roba da culi. Nel potere c’è sempre qualcosa di feroce, stimola e nobilita la violenza sui ceti sociali più deboli; i film neorealisti che hanno preceduto Monicelli, Risi (Sessomatto), Steno (La patata bollente), Comencini (Lo scopone scientifico), Scola (Brutti, sporchi e cattivi) fino alla commedia pecoreccia lo raccontavano bene; l’anarchia degli oppressi è invece disperata, primordiale, ma soprattutto spontanea. Libera dai tegumenti culturali, come appunto accade in queste esilaranti cronache surreali. Pozzetto contratta l’acquisto di un’auto e non avendo di che pagarla sollecita il concessionario: vuole approfittare del mio corpo? (Zucchero, miele e peperoncino). Neanche Breton è arrivato a tanto. Il neorealismo aveva denunciato le aberrazioni del potere; dal ’68 in poi le incrostazioni politiche e culturali si andavano però sgretolando più per una naturale disposizione al piacere (il corpo femminile prima vincolato ai cliché domestici, diventava libero e sfrontato, la giovinezza distesa e disincantata, le istituzioni ridicolizzate, la famiglia ridimensionata) che per una autentico atto di coscienza rivoluzionaria. Lo slogan capdicazz si sostituiva in qualche modo all’immaginazione al potere, o meglio nelle fantasie popolari aveva il medesimo contenuto etico e eversivo: mica ti vorrai mangiare tutta questa roba! Oh, ricordati che hai un soprannome da rispettare: Gandhi, il campione del mondo dello sciopero della fame. A me mi sta sulle balle quel soprannome lì! Non potevate chiamarmi Bombolo? (La patata bollente)

E’ Sergio Martino ad aprire la strada alla commedia sexy: nel 1973, col capolavoro Giovannona Coscialunga disonorata con onore. La bella Cocò (Fenech) prostituta ciociara viene disonorata dall’onorevole (Vittorio Caprioli). Seguono quindi i le pellicole di Michele Massimo Tarantini, con la trilogia sulla Poliziotta.

I registi che hanno lasciato il segno:

1) Mariano Laurenti. Laurenti, che aveva già diretto Franco e Ciccio, ha lavorato quasi sempre con gli stessi attori (Alvaro Vitali, Gianfranco D’Angelo, Lino Banfi, Renzo Montagnani, Mario Carotenuto; Gloria Guida, Edwige Fenech, Annamaria Rizzoli, Barbara Bouchet, Lilli Carati, Paola Senatore). Nel 1972 con La bella Antonia, prima monica poi dimonia e Quel gran pezzo della Ubalda, tutta nuda e tutta calda, consacra Edwige Fenech come icona del genere erotico/comico. Classe Mista viene girato nel 1976, con Alfredo Pea, che sarà poi il protagonista de L’Insegnante, diretto da Nando Cicero. Nel 1977 Laurenti affida il ruolo principale femminile a Lilli Carati (lanciata da Michele Massimo Tarantini l’anno precedente in La professoressa di scienze naturali) ne La compagna di banco. Firmerà poi alcuni film con Lino Banfi (L’insegnante va in collegio, 1978; La liceale nella classe dei ripetenti, 1978; La liceale seduce i professori, 1979; L’infermiera di notte, 1979; L’infermiera nella corsia dei militari, 1979; La ripetente fa l’occhietto al preside, 1980; L’onorevole con l’amante sotto il Letto, 1981. Quest’ultimo di livello nettamente superiore.

2) Nando Cicero (porta il suo nome il ciclo della dottoressa e della soldatessa all’interno dei distretti militari). Sua è anche la regia di un film strepitoso Bella, ricca, lieve difetto fisco cerca anima gemella, 1973. Cicero si è spesso servito di attori di rilievo: Giuffrè, Buzzanca, Franca Valeri, Erika Blanc, Rossana Podestà. Nel 1975 dirige L’insegnante e la trilogia militare (La dottoressa del distretto militare, 1976); La soldatessa alla visita militare, 1977; La soldatessa alle grandi manovre, 1978). Nel 1981 gira L’assistente sociale con Nadia Cassini. I film che seguono, W la foca (con Lory del Santo) e Paulo Roberto Cotechino, centravanti di sfondamento sono di un livello marcatamente basso.

3) Miche Massimo Tarantini. dirige il ciclo della Poliziotta (sostituendo la Melato con la Fenech). L’insegnante al mare con tutta la classe, 1979, con un nutrito numero di attori: Banfi, Vitali, Anna Maria Rizzoli, Francesca Romana Coluzzi. La Poliziotta della Squadra della Buon Costume, 1979, sempre sceneggiato da Milizia e Onorati. L’Insegnante viene a casa (titolo che rimanda a L’insegnante va in collegio, diretto l‘anno prima da Laurenti) con Montagnani. Nel 1980 è alla regia di La moglie in bianco… l’amante al pepe, pellicola esilarante diretta e recitata con rara eleganza. La dottoressa ci sta col colonnello, 1981, con Nadia Cassini e i mediocri La poliziotta a New York, 1981 e La dottoressa preferisce i marinai, 1981.

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4) Sergio Martino. Quello che è forse il miglior film del genere, Giovannona Coscialunga, disonorata con onore, 1973, porta il nome di Martino. Gli attori sono di primo piano: Pippo Franco, Garrone, Caprioli, Ballista; la storia è spassosa, le musiche trascinano e la Fenech che parla ciociaro è di una bellezza museale. In un altro Paese la pellicola avrebbe avuto un successo epocale, ma in Italia la comicità viene considerata un prodotto culturale inferiore. Piace, la guardano, ma nessuno la consacra. Luciano Salce ad esempio ha firmato pellicole molto divertenti, come Il federale, il primo Fantozzi e l’Anatra all’arancia (Vieni avanti cretino rimane e concordo un prodotto invece minore) contrassegnate dalla Critica come serie B. Nel 1976 gira due film di valore: Spogliamoci così senza pudor (sceneggiato da Sandro Continenza e Raimondo Vianello) e 40 Gradi all’ombra del lenzuolo. In Sabato, Domenica e Venerdì, 1979, Martino dirige uno degli episodi (gli altri sono di Pasquale Festa Campanile, Castellano e Moccia). La moglie in vacanza…. L’amante in città, 1980, rimane uno dei film più belli di tutta la filmografia dell’epoca; gli attori sono Banfi, Montagnani, Solenghi, Pippo Santonataso e la Bouchet come protagonista femminile. Se ancora non l’avete visto si trova facilmente in streaming, ne vale davvero la pena. Zucchero miele e peperoncino (1980), Spaghetti a mezzanotte (1981) e Cornetti alla crema (1981), che portano in locandina i nomi (tra gli altri) di Teo Teocoli, Gianni Cavina, Daniele Vargas, Marisa Merlini, Milena Vukotic, sono tra le produzioni più alte del genere. Nei primi anni ‘80 il regista firma alcuni titoli con Gigi e Andrea (Se tutto va bene siamo rovinati e Acapulco, prima spiaggia… a sinistra) di livello però imbarazzante. Altra cosa è Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio (1983), girato con Lino Banfi,  Johnny Dorelli, Paola Borboni, Mario Scaccia, Milena Vukotic, Janet Agren, Gegia, Adriana Russo, Ugo Bologna, Renzo Montagnani, Mario Brega.

In ordine sparso quelli che seguono sono i film (a mio parere) più belli. L’aggettivo però non rende; surreali, con una scrittura fluida e matura, ben recitati, ironici e autoironici, mai volgari. Un magistrale prodotto culturale, esteticamente compiuto nella forma e nei contenuti. Iper/neo/postrealista (come preferite), a volte con una dichiarata matrice ideologica, altre quasi poetica: Essere ciechi e sordi davanti a qualsiasi cosa di diverso non è forse una malattia? (Claudio -M. Ranieri- La patata bollente).

La moglie in bianco l’amante al pepe, Spaghetti a mezzanotte, Occhio malocchio prezzemolo e finocchio, La patata bollente, Ricchi, ricchissimi praticamente in mutande, Cornetti alla crema, Giovannona Coscialunga disonorata con onore, La prima notte del dottor Danieli industriale col complesso, La moglie in vacanza l’amante in città, L’onorevole con l’amante sotto al letto, La soldatessa alle grandi manovre, La vergine, il toro e il capricorno, Sessomatto.

PAROLE D’AMORE

 

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L’innamorato parla. La parola esiste perché l’Io è in uno stato di tensione verso l’altro; attende ed è come un “tumulto d’angoscia suscitato dall’attesa dell’essere amato in seguito a piccolissimi ritardi”. Il discorso mancato porta a una specie di delirio che identifica l’innamorato in colui che aspetta l’altro, con quell’affanno per l’abbandono che trasforma la parola in un discorso paranoico e l’angoscia in una paradossale soddisfazione al suo ritorno. L’attesa è il campo dove l’amore staziona, la sala d’aspetto in cui l’innamorato ”si vede con tristezza esiliato dal proprio immaginario”, che è l’immagine capace di suscitare un sussulto con il solo ricordo. L’esilio è necessario in quanto “il prezzo da pagare è la morte”. Morte simbolica, ovviamente e silenzio della parola. L’Io parla perché è il simbolo ad averlo fatto parlante e in quanto il linguaggio è desiderio dell’Altro. Il significante è invece pura trascendenza. Nella distanza viene a mancare uno dei termini e il discorso è un monologo nel quale il soggetto annulla l’oggetto d’amore per l’amore stesso: il soggetto ama l’amore e non l’altro reale. Anche la lingua subisce il significante che anticipa il fantasma della separazione. L’altro è in uno stato di continua partenza, al di là; è un passeggero senza meta. L’innamorato invece aspetta, è sedentario, a disposizione, sempre nello stesso posto, è come sequestrato dalla scena. Parla a se stesso prima che all’altro assente. Come quando sulle panchine dei binari un uomo attende tra i frammenti del tempo che la donna scenda dal treno, mormorando sottovoce le frasi d’amore che le dirà. Il monologo anticipa il discorso, sottrae, colma il vuoto e per lo più assorbe la totalità della relazione. La voce annuncia l’arrivo al binario e tanto basta a quietare l’ansia per la mancanza. L’uomo si alza e mentre il treno giunge in stazione, non può far a meno di anticipare quello che le dirà. Parla da solo come i pazzi. La gente attorno fa caso al suo parlare, non alle parole. Perché “le parole non sono mai pazze (tutt’al più sono perverse); è la sintassi ad essere folle”. (R. Barthes, Frammenti di un discorso amoroso).

Da Frammenti di un monologo amoroso https://goo.gl/b21Q8Z

AMORE SOTTO L’OMBRELLONE

L’estate è la stagione dell’amore, del sorriso, del sogno. D’estate partiamo e lasciamo a casa i pensieri in cerca di un po’ di sollievo. E così sopportiamo le file in autostrada, le valigie, il caldo, il rimorso per la nonna alla casa di riposo. L’odore della crema, i discorsi da ombrellone, io quella me la farei e io il bagnino me lo sono fatto, la cellulite, le smanie erotiche mugugnate a bocca stretta. Un libro, le chiacchere, il pianto del bambino, papà che mette a dura prova il miocardio correndo dietro a una palla. Il sudore, il pesce, l’anguria non più fortunatamente esumata dalla battigia, le finestre aperte. le zanzare. Quelle sono immancabili ad avvertirci del cambio di stagione. Ma l’estate è soprattutto immaginazione, evasione; un sogno e un desiderio non pronunciato. Come un bacio che si dà così, perché è bello rimanere senza fiato.

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L’estate è anche il tempo dell’incoscienza, dei libri giocosi, delle letture corrive, delle fantasie sfrenate. Morbose a volte. Queste pagine sono per voi, una lettura leggera e spero gradevole da fare sotto l’ombrellone. Naturalmente sul sesso e i modi di procurarselo.

LECTIO PRIMA

dell’arte del costume e del portamento

La cura del corpo è una buona regola per quanti decidono di dedicarsi all’amore. Fate tesoro dei consigli esposti in questo capitolo e nessuno potrà accorgersi che in realtà fate schifo.

1) Nettarsi è d’obbligo. La persona che emana vapori insaporiti da giorni di sudata attività risulta antipatica e scortese. Peggio ancora se tali vapori vengono avvertiti con curiosa veggenza, sopravvivendo agli assalti della metropolitana e dei bagni pubblici. In ordine di importanza, la pulizia dell’epidermide andrà così eseguita:

– ascelle: evitare di coprirne i fumi con deodoranti e balsami il cui impiego risulta tra l’altro anche laborioso. Meglio è denudarsi dalla cintola in su (con discrezione se vi trovate in un posto affollato) e ricorrere al sempre ottimo sapone. Pratica igienica che preserva da battute, spesso offerte da simpatici colleghi d’ufficio, del tipo: “ecco il solito troglodita che invece di lavarsi copre il sudore col deodorante”. Ricordatevi che potrebbero anche incriminarvi, magari con la complicità del codice penale;

– capelli: la persona costumata li tiene in ordine. Cercare di far passare l’unto accumulatosi in settimane di negligenza per l’ultimo ritrovato dei gel è dimolto inurbano. Capire se è arrivato il momento per lavarli non è difficile: ci arriverete quando appoggiandovi sulla camicetta del direttore del marketing avrete lasciato le prove inconfutabili del vostro passaggio. Per quanto riguarda invece la forfora il problema probabilmente neanche lo sentite: a quest’ora i vostri capelli saranno infatti completamente bianchi e voi potrete spacciarvi per un accattivante cinquantenne;

– barba e peli superflui. Una precisazione è d’obbligo: si intende con la poco simpatica locuzione “pelo superfluo” tutto quel groviglio di arbusti che prolifera su gambe e volto e che da sempre attenta alla sensualità delle fanciulle in fiore. Se la fanciulla non è in fiore il pelo non è invece più superfluo ma congenito alla triste condizione cui natura matrigna volle imprigionare la stessa. Per quanto riguarda la barba il problema è presto risolto: basta radersi;

– denti: vanno puliti dopo ogni pasto. E’ buona cosa passare, dopo il lavaggio con lo spazzolino, anche il filo interdentale (così detto per non confonderlo con quello da cucito). L’operazione richiede una certa pratica; la cosa fondamentale rimane il destino del suddetto: ricordarsi sempre di gettarlo dopo l’uso e di non riciclarlo per attaccare i bottoni di giacche e pantaloni;

– igiene intima: dicesi igiene intima l’attività di pulizia che si attua nei confronti di quella parte del vostro corpo di cui voi vi vergognate (ed è scorretto perché essa non si vergogna affatto di voi). Va messa in pratica ad evacuazione avvenuta (mai durante) e ogni qual volta l’organo si esprime in tutto il suo rancore per il mondo. Le lavande in commercio sono per lo più buone ed evitano i fastidiosi pruriti a cui sottoponevano i detersivi granulari delle vostre nonne. Quanto all’oggetto uscito dal postero (la cui biodegradabilità non è mai stata veramente provata) andrà a riporsi nel luogo a lui preposto se in appartamento, o abilmente occultato se in luogo aperto, onde evitare all’altrui persona la rivelazione traumatica della vostra intimità. E’ comunque sempre sconsigliato l’uso del pubblico bagno (treno, pizzeria, bar), che dicesi pubblico proprio in quanto partecipa gli utenti della flora batterica che lo caratterizza, suscitando dai tempi antichi la curiosità della scienza e della virologia. Non scordarsi, in ultimo e in luogo della igienica invenzione, mai gli indispensabili clinex che evitano lo spiacevole inconveniente della carta da giornale, la cui incompatibilità con il carattere del tergo è da tutti conosciuta;

– piedi: lavarli è più di una buona educazione, un vero e proprio dovere sociale. Sappiate che finché continueranno ad imporre la loro imbarazzante presenza i vostri rapporti con il prossimo rimarranno seriamente compromessi (se il vostro prossimo non vi è simpatico il problema ovviamente non si pone). 

– unghie: è severamente vietato mangiarle. Soprattutto quelle dei piedi (e non solo per un fatto igienico). Non andranno mai trascurate e si curerà in particolare di rimuovere la patina color seppia che sembra ostinarsi sotto le medesime, intonando l’espressività dei colori coi fumi della Cappella Sistina;

– naso e orecchie: tenete a mente che il materiale che in essi si trova non è affatto commestibile, e che la cui ingestione può anche provocare nel prossimo un più che giustificato ribrezzo. Quanto all’oggetto delle mistiche introspezioni andrà sempre depositato in appositi tovagliolini di carta che saranno a loro volta riutilizzati nel riciclaggio dei rifiuti. Fatto questo potrete finalmente ritenervi soddisfatti: anche voi avrete contribuito alle campagne ecologiche contro l’inquinamento, fornendo preziosa materia prima da convertire in oggetti di largo consumo.

– brufoli e punti neri: ricordarsi di non schiacciarli mai in pubblico, attività deplorevole a cui sembrano affezionati molti giovani. Nonostante la diffusione rimane una pratica inurbana e come tale va evitata. Sempre;

– seguono quindi in successione: volto (guance, collo), gambe (ginocchia, stinchi, polpacci), torace, braccia, schiena, su cui è però inutile dilungarsi.

2) Vestirsi con gusto è sempre imperocché inevitabile. I trasandati, gli stropicciati, i macchiati, i trascurati vengono guardati con ragionevole sospetto e naturale diffidenza. 

– Intimi: dicesi intimi tutti quegli indumenti che coprono le oscenità. Dopo scrupolosa pulizia degli stessi il cambio, sempre quotidiano, andrà così eseguito: mutande (che dal latino furono non a caso dette mutate mutandis in luogo della giornaliera transustanzazione) almeno una volta al giorno (le fanciulle costumate anche due o tre, a seconda del mentale bisogno), ed è comunque disdicevole attendere che acquistino i colori degli umori. Cavernicola è anche la pratica tuttora in uso di odorare le stesse interrogandosi se sia il caso di continuare ad indossarle: le grandi decisioni si prendono di petto e voi dovrete essere forti nel separarvi da un indumento con cui avrete diviso le più intime aspirazioni; per le calze (collant, pedalini, ma anche magliette, body, guêpiere) valgono le succitate regole, fermo restando che una persona a modo non attende che irrigidiscano prima di riporle in lavatrice, e che alle voragini che si aprono innanzi ai pollicioni si dovrà porre rimedio, evitando l’imbarazzante effetto “buco” di scarsa chissà come mai attrattiva sessuale; il reggiseno (che curiosamente portano oggi anche alcuni folcloristici e simpatici uomini) si avrà cura di consegnarlo alla saponetta prima che acquisti quella curiosa tonalità ramarro che più di moda non è;

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– camicia: non dovrà aspettare di assumere ai bordi (colletto e polsini) i colori della vostra sudatissima giornata. Ottima abitudine è quella di stirarla prima di indossarla, durante l’operazione si dimostra invece complicata e non priva di difficoltà;

– pantaloni, gonne, giacche: dovranno essere di un colore prevalentemente scuro (tutti sanno quanto sia faticoso il lavaggio e l’asciugatura dei medesimi) che sia in grado di coprire le negligenze dell’educazione datavi da fanciulli, e che ora non vi permette di gustarvi serenamente una pizza o un piatto di spaghetti al sugo;

– scarpe: due o tre paia almeno sono indispensabili. Nella società dell’immagine cambiarsi è un obbligo, e voi non potete sottrarvi al sacro dovere. Capire quando è ora di sostituirle non è difficile: se camminando sotto la pioggia vi sembrerà di sprofondare in una laguna melmosa allora il momento sarà arrivato. Se no il momento allora non è. 

3) Dato che su quel corpo ripugnante che vi ritrovate proprio non potete contare, fare dei buoni ragionamenti è un dovere al quale non potete sottrarvi. Se proprio volete rinunciare ad istruirvi e intendete comunque fare colpo col vostro encefalo (ammesso che ne abbiate uno) i trucchi che seguono potranno esservi di grande aiuto. Gli altri, come sapete, vi amano per quello che non siete e non sarete mai: se diverrete perciò abili nel mettere in pratica le semplici regole sottostanti, potrete anche farvi passare per un intellettuale malinconico alle prese con i problemi dell’essere, e nessuno si accorgerà mai che siete semplicemente un imbecille.

a) Discorsi da evitare:

– gioco del calcio (se siete uomini e l’oggetto del vostro desiderio è una donna), detersivi e prodotti per la casa (se siete donne e la vostra preda è un uomo). E’ infatti poco piacevole sentirsi abbordare per strada con frasi del tipo: “signorina, lei è più entusiasmante della finale di coppa delle coppe”, “ragazzone mio, tu sì che hai dei muscolacci possenti, non come quel rammollito di Mastro Lindo”;

– lavoro: non parlate mai di lavoro; a meno che naturalmente non facciate gli avvocati o i dentisti, se uomini, e se femmine le infermiere (gli uomini sembrano apprezzare particolarmente siffatte fanciulle, retaggio onirico di infantili polluzioni adolescenziali). Ai commercialisti, ai ragionieri, agli impiegati è comunque assolutamente sempre e in ogni caso vietato. Se poi fate i becchini, è buona regola anche quella di non portarsi mai il lavoro a casa;

– malattie e disgrazie varie: sbaglia chi crede di usare la carta della compassione per indurre l’altro a concedere le grazie. I tempi sono difficili e non c’è più pazienza per ascoltare le sciagure di chicchessia. Oltre al non trascurabile motivo che è sempre cosa saggia non rompere i cosiddetti. In luogo dei deprimenti aggiornamenti gastro-intestinali, circa le abitudini deplorevoli del vostro intestino (di cui non frega a nessuno), è meglio ripiegare sul classico repertorio: “bella giornata, vero? Ma lo sa che ha degli occhi splendidi?”, che evitano approcci catastrofici: “signorina, permette che la erudisca sull’attività peristaltica del mio intestino? (e magari con dimostrazione pratica del vostro singolare meteorismo)”. Piuttosto tacete;

– banalità: non è una regola questa; ma se intendete davvero fare colpo col vostro acume dovete rinunciarvi. Preferite perciò ad elucubrazioni del tipo “che bella luna, brilla come il mio amore”, le più ardite “e pensare che si è dovuti arrivare a Galilei (le date sono facoltative) per comprendere che l’universo tolemaico era una fesseria; io l’ho capito in un attimo guardando (ricordarsi a questo punto di assumere un’espressione teatralmente estatica) i tuoi occhi: tutto sembra ruotare attorno alle tue piccole orbite, amore mio”. Passerete per ruffiani di prima categoria, ma i ruffiani adulatori piacciono, oh se piacciono; e voi in questo diverrete maestri;

– cultura: non esagerate mai. A nessuno piace sentirsi denigrato, e meno che mai attraverso la sicumera dei libri. Adulare facendo avvertire un interesse filosofico per l’altro è una cosa che lusinga, schiacciarlo con il peso di un’autocelebrazione provoca solo un forte senso di rabbia e di competizione. Esercitatevi perciò a lungo prima di intraprendere questa strada (ma forse queste raccomandazioni sono inutili perché esagerare voi non lo potreste giammai);

– televisione: già è deprimente di suo, se poi vi ci mettete anche voi. Ad ogni modo fate sempre attenzione acché la vostra preda non si accorga che siete un teledipendente accessoriato occasionalmente di un encefalo. Bisogna arrendersi all’evidenza: un individuo siffatto che si trastulla in pantofole davanti ad un elettrodomestico non risulta affascinante;

– riunione del condominio: non aggiornate mai l’altro sulle eccitanti novità che si preparano nel vostro abitat, comunque non invitatelo mai ad assistere alle performance con cui di trimestre in trimestre vi battete eroicamente per difendere le vostre idee;

– sesso: alle donne, si sa, il sesso piace farlo ma non parlarne. Gli uomini invece ne fanno poco e ne parlano molto. Evitate comunque dal principio apprezzamenti troppo arditi (“bella maiala vorrei assaggiarti tutta leccandoti come un cono al pistacchio”) e commenti esageratamente espliciti (“ma lo sa, signorina, che il suo magnifico postero non manca di tormentare i miei pensieri?”);

– bollette del telefono: dovete sforzarvi di cambiare la brutta abitudine di angosciare i vostri simili con siffatti ragionamenti. Reprimete pertanto tali bestiali istinti, e rassegnatevi: non frega un cavolo a nessuno della diligenza con cui assolvete agli impegni quotidiani;

b) Discorsi concessi:

– poesia e filosofia: al prossimo piace sentirsi partecipe e oggetto dei buoni ragionamenti. Imparare a farli non è complicato a patto che vi armiate di un poco di pazienza facendo vostre alcune piccole astuzie. Innanzitutto, dato il vostro disinteresse per la materia (non state infatti studiando per diventare dei perfetti maiali?) e dato pure che dell’altrui vi interessa solo quella parte compresa tra l’ombelico e il coccige, non è assolutamente necessario che diventiate un’enciclopedia, basterà che impariate a memoria alcuni semplici passi delle opere maggiormente conosciute, curando di ripeterle con la drammaturgia con cui si legge l’involucro dei cioccolatini (del tipo: “il bacio è un apostrofo rosa posto …”). Più complesso è muoversi alla ricerca degli autori giusti: Platone è sempre apprezzato, Spinoza mai. Evitate gli scrittori medievali (Bonaventura, Anselmo mancano di quella morbosità o è comunque occultata dai buoni ragionamenti che state disperatamente cercando di stimolare), e rivolgetevi invece al sempre attuale Leopardi (“Tornami a mente il dì che”, “Dolcissimo possente dominator”). Petrarca non è mai completamente intelligibile, meglio è ripiegare su Alberoni, Recalcati e compagnia: anzi proprio su quest’ultimo e farete un figurone;

– denaro (solo se ne avete molto): l’argomento denaro ha indubbiamente un suo fascino. Non è però necessario che mostriate al primo incontro il vostro conto in banca (il successo sarebbe assicurato, ma voi siete dei cacciatori ortodossi e non volete essere amati per i vostri soldi), basterà che invitiate la preda ad un romantico fine settimana sul vostro panfilo, facendo delicatamente intendere dove lo tenete ancorato (Portofino), e portando magari il discorso sui dipendenti (diciotto) che lo accudiscono;

– cinema, mostre, teatro: le persone normali amano divertirsi, e voi questo lo sapete. Se i mezzi non vi mancano vedete allora di darvi da fare. Al cinema evitate i films volgarotti (del tipo “Lecca lecca al cioccolato per mia moglie”, “Cappuccetto Grosso”) e sempre comunque quelli che mostrano all’insegna un inequivocabile “vietato ai minori di anni diciotto”, ripiegando piuttosto sulla commedia americo-italiana. Trascinate quindi l’oggetto dei vostri desideri di esposizione in esposizione (dai fiamminghi agli artisti concettuali) facendo intendere di saperla lunga in fatto di arti figurative. A teatro mostratevi appassionati (anche quando avvertite che i vostri cosiddetti scivolano dall’orlo dei pantaloni), e ai concerti sempre entusiasti;

– sentimenti: alle femmine in particolare piace sentirsi apprezzate per le doti spirituali che suppongono di avere. Non deludetele. Anche loro non desiderano che l’amplesso, solo che non amano chi glielo ricorda. E’ infatti molto più pratico rivolgersi a una fanciulla dicendo “amore mio, sei meravigliosa”, piuttosto che apostrofarla con un diretto “bella manza, mi tiri un casino”. E’ insomma importante che rinunciate al vostro rude primitivismo: le donne, mettetevelo bene in testa, a differenza di voi sono esseri delicati e sensibili. Basta però imparare il trucco e sostituire al brutale “scopiamo?”, un meno indigesto “ti amo”. Un po’ di tatto, e che cavolo!;

– galateo e buona educazione: le buone maniere sono sempre un comodo viatico verso l’amore. Semplici regole come cedere il passo o versare il vino in tavola non mancano a tutt’oggi di suscitare apprezzamenti e una sincera ammirazione. Fate attenzione però a non tradire mai la vostra vera natura animale, basterà che una sola volta apostrofiate la signorina che vi vende le rose con tali imprecazioni: “fuori dalle balle prima che ti prenda a calci”, per vanificare gli sforzi compiuti. Sarà chiaro infatti che avrete soltanto recitato e che in fondo non siete altro che un essere schifoso e ripugnante;

– progetti e amenità varie: mentire è una buona condizione dello spirito. Soprattutto se nelle menzogne si è tanto abili da includere l’oggetto del desiderio. Perciò sparatele grosse: matrimonio, figli, mutuo e non fatevi prendere dagli scrupoli. Avete infatti come unico comandamento il vostro piacere e la sua soddisfazione, e voi siete solo dei luridi individui che stanno studiando il modo per peggiorarsi.

4) Istruirsi non è obbligatorio. Sappiate però che il potere (e con esso il fascino) cresce in proporzione a quello della conoscenza. Non c’è bisogno che vi pieghiate sui libri per anni interi, basta un piccolo sforzo. Non solo potrete continuare nelle vostre turpitudini, ma sarete addirittura apprezzati. La vostra ora di studio andrà pertanto così organizzata:

– dieci minuti di storia: accontentatevi degli eventi più importanti dell’umanità. E’ inutile sfoggiare nozioni di epoche noiose e lontane, è meglio concentrarsi sull’ultima guerra e con enfasi sui pericoli imminenti di un nuovo conflitto;

– dieci minuti di filosofia: è sempre di grande effetto citare questo o quel filosofo, questa o quella teoria. Gli autori consigliati sono: Platone (già il nome incute rispetto), Kant e Heidegger (tanto non dovete mica leggerli, basterà che diciate del primo che era un ossessivo abitudinario e dell’ultimo che era un ontologo;

– dieci minuti di letteratura: di Dante bastano i versi “Amor, che a nullo amato amar perdona” e “Amor condusse noi ad una morte”. L’impatto drammaturgico sulla vanità dell’altrui è garantito. Ottimo è anche Lorenzo il Magnifico e il Werter di Goethe (anzi proprio quest’ultimo andrà memorizzato e citato con un tono teatrale). La regola rimane però quella di non strafare;

– dieci minuti di scienza (la matematica non ha importanza, nessuno mai vi chiederà di risolvere un’equazione di ottavo grado): basterà che dimostriate di sapere che esistono gli atomi, e che non confondiate il fegato con l’osso dell’avambraccio;

– dieci minuti di psicologia: le donne soprattutto apprezzano particolarmente chi dà prova di poter leggerle nell’animo. E’ voi leggetele. Piuttosto che di Freud, servitevi però di Jung, Adler e (se lo capite) Lacan: la reazione, vedrete, sarà sconvolgente;

– dieci minuti di teologia: sono indispensabili. E’ l’unico modo per convincere la vostra dubbiosa e religiosa preda che anche a Dio piace il sesso (vedi il Cantico dei Cantici).

5) Prodigarsi per guadagnare molto denaro è un’ottima cosa. Anche coloro che si dicono indifferenti in fondo lo adorano, anzi sono proprio questi i peggiori, quelli che non possono farne a meno. Leciti o illeciti che siano tutti i mezzi sono buoni. Non importa se dovrete rovinare un amico o se vi renderete responsabili di orribili delitti: l’importante è raggiungere lo scopo. Solo questo conta. In fondo voi non desiderate altro che diventare un porco e col denaro potrete finalmente realizzarvi:

– acquistando molti libri e con essi stupire la più tenace nonteladò delle vittime;

– vestendovi con un minimo di decenza. Agghindati con abiti di lusso ben stirati e lavati riuscirete forse a nascondere che in realtà siete repellenti;

– accumulando altro denaro e poi con questo altro ancora, riuscirete sempre più con le vostre squisite doti umane ad affascinare l’ingenuo e disinteressato oggetto dei vostri sogni;

6) imparare come si comportano gli individui civili è oltremodo necessario. Ma voi siete esseri vomitevoli e volete naturalmente continuare a rimanerlo. Non vi sarà richiesto di imparare l’intera arte del galateo, basterà che assumiate nei vostri quadrupedi comportamenti quelle basilari regole di decenza che vi consentiranno di stare al tavolo con le persone normali senza suscitare in esse un viscerale e più che giustificato disprezzo. A questo scopo dovrete in pubblico fare attenzione a:

– non tagliarvi le unghie al cospetto di chicchessia, e giammai quelle dei piedi. Le convenzioni sociali sono spesso esasperanti e questa forse le supera tutte in fatto di formalità. Pazienza, l’amena e gradevolissima pratica potrete comunque sempre esercitarla in privato;

– non cavarvi il cerume dalle orecchie o estrarre dal vostro organo olfattivo le severe considerazioni che elucubrate sul mondo. Quanto all’oggetto della ricerca (se proprio non siete riusciti a contenere il fisiologico bisogno), che altri chiamano chissà perché pallina, non andrà appiccicato sul bavero del prossimo, e meno che mai introdotto nuovamente per il canale nutritivo con il pur umanitario scopo di non disperdere parti tanto importanti del vostro Io;

– non sputare, né ruminare in faccia dell’altrui, scatarrando minacciosamente a destra e a sinistra il materiale purulento che vi ammorba i polmoni, dando così l’errata e preconcetta impressione al vostro prossimo di non essere poi tanto gradito;

– non togliervi in luogo affollato lo scarpone da montagna, ravanando poi nel pedalino per estrarre dai digitali interstizi il bendidio che madre natura ha posto in essi con sudata attività. 

– a tavola con l’altrui, non intestardirsi mai nella propria bocca inserendo con caparbietà la mano fino al polsino (non tanto per la di voi bocca, quanto per l’altrui persona), estraendone curiosi rimasugli di pasto;

– non offrire mai ad alcuno il proprio stuzzicadenti usato, benché nettato e ripulito con scienza certosina;

– non dare mai pubblica prova del singolare meteorismo di cui andate giustamente fieri, e della flatulenza che caratterizza da sempre il vostro simpatico carattere: non tutti sono in grado di comprendere siffatte piacevoli manifestazioni dell’Io;

– evitate di vomitare in pubblico le sette pizze divorate la sera prima e ancora pressoché intatte, raccogliendole magari in un sacchetto così da rigustarle nella solitudine del vostro primitivo abitat. Dovete rendervi conto che vivete nell’era del consumo, e pochi davvero sono in grado di apprezzare il puntiglio di una tale economica attività.

Se avrete messo in pratica le semplici regole di questa prima lezione (i perfezionisti la arricchiscano con la seconda, gli altri passino direttamente alla terza) siete a buon punto per diventare quello che desiderate. Ricordatevi che imparare ad essere ripugnanti è un’arte, e come tutte le arti richiede dedizione e sacrificio: continuate e si apriranno anche a voi le porte degli inferi (o se preferite quelle del paradiso).

Seguono:

LECTIO SECONDA (dell’arte dell’approccio e della sensuale ricercatezza estetica)

LECTIO TERZA (dell’ineguagliabile arte della menzogna)

LECTIO QUARTA (dell’amplesso – l’arte di fare l’amore)

LECTIO QUINTA (dell’arte dell’abbandono)

Tratto da Lezioni di sesso (il sesso in cinque lezioni)

L’AMORE NEL MULINO BIANCO

La pubblicità è una forma di comunicazione persuasiva; attira, corteggia, stimola l’azione e il comportamento. Il messaggio pubblicitario, breve ma ripetitivo, riproposto all’inverosimile lusinga, lambisce il desiderio, non aiuta però a conoscere. Ha una lingua elementare e emotiva, perché se il prodotto è di largo consumo deve arrivare a chiunque. Una valvola mitralica non necessita di essere pubblicizzata. Il tecnico la compra sulla base di informazioni che dettagliano l’oggetto per quello che è. Non sempre il prodotto è buono, è vero, ma a quel punto ci sono le leggi e una valvola difettosa manda il paziente al Creatore, ma il chirurgo diritto in tribunale. Tra ciò che si dice dell’oggetto e l’oggetto deve esserci una corrispondenza o quantomeno l’articolo è tenuto a rispettare i requisiti minimi di sicurezza e funzionalità. Questo per dire che ci sono prodotti che non richiedono la pubblicità perché la qualità e una buona gestione del mercato li fa vendere e altri invece, la maggioranza delle cose, in cui la qualità risulta marginale per la vendita. Ma è cosa nota, un pessimo prodotto si vende comunque, basta saperlo raccontare. Ci sono cose inutili, di cui non abbiamo bisogno, spesso dannose che vendono moltissimo. Altre più modeste nella comunicazione ma con caratteristiche superiori rimangono sullo scaffale del supermercato. La discriminante che stabilisce il successo di un prodotto è proprio la pubblicità, una buona campagna di marketing non racconta l’oggetto, lo rende desiderabile finché crea il bisogno e spesso anche una reale dipendenza. Quante volte avete sentito dire: mio figlio mangia solo i biscotti del Mulino Bianco? Ecco, non è vero; o meglio la mamma fa in modo che lo diventi. Lasciato il bambino in una foresta solo con i biscotti all’olio di palma, li mangia eccome e magari anche la confezione e la commessa che glieli ha venduti. La cui commestibilità peraltro (parlo della commessa) non è mai stata veramente provata.

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Analizziamo come esempio lo spot di Gavino Sanna: il Mulino Bianco ha acquisito credibilità, racconta una storia (il mulino, il prato, le spighe di grano) e la famiglia pur vivendo isolata, in un’abitazione medievale, in mezzo al nulla è felice perché ha tutto ciò di cui ha bisogno, i biscotti che benché riportino l’avvertenza sulla confezione “non contiene olio di palma”, sono stati  (il più delle volte) maneggiati con lardi idrogenati, edulcoranti e altro ancora; che abbiano inquinato la Salerno-Reggio nel trasporto dal mulino a casa vostra, che il grano provenga da Chernobyl passa come un peccato veniale. Le mamme sanno che l’olio di palma fa male e i pubblicitari lo ricordano loro ogni volta che possono. Non ho mai veramente capito perché non ci sia allora la scritta “non contiene uranio o acido arsenioso”. Vabbè. La pubblicità ha istruito le persone prima ancora delle università e conosciamo i danni che provoca l’olio esorcizzato con una competenza pari se non superiore a quella di un medico internista. Ma il Mulino Bianco è un marchio e un marchio dà fiducia e poi l’ha detto la televisione. Abbiamo votato un pubblicitario per vent’anni, non stiamo parlando del nulla. La pubblicità non veicola solo il consumo, in realtà fa qualcosa di più radicale, racconta l’attualità, non guarda al futuro ma al presente. Le interessano i soldi, quelli che abbiamo ora non quelli improbabili di domani. E’ così racconta storie reali più del reale stesso. Guardando Ernesto Calindri che beve il Cynar al tavolo in una strada trafficata, si capisce subito che siamo negli anni ’50 o ’60, oggi se va bene gli automobilisti ti stirano, dopo ovviamente averti fregato il digestivo. Oppure il povero Franco Cerri che ha vissuto un decennio nella lavatrice per convincerci che stare a mollo nel Bio Presto è meglio che tuffarsi nel mare dei Caraibi; oggi sarebbe un comportamento antisindacale. O ancora il gentiluomo che con una flessione sicula dice alla moglie: “Io ce l’ho profumato”, insorgerebbero le donne del mondo civile. Che dicesi civile proprio perché se anche ce l’hai profumato, non puoi comunque dirlo a nessuno e meno che mai a un esponente del sesso femminile. Per non dire di quella signora che confessava alla nipotina che Gennarino (pur gran lavoratore) non aveva il pesce come Santuzzo suo. Qua si configura proprio il reato di molestia a un minore, e non mi pare poco. Una pubblicità del genere sarebbe oggi improponibile. E’ però inutile dilungarsi, ma tanto ci sarebbe da dire, a cominciare dalla famiglia Boccasana. chiudo questo scritto con alcune immagini promozionali, normali una volta e assolutamente inconcepibili nel nostro tempo. Per inciso, mi piacciono più di quelle attuali; hanno dell’ironia e un nobile artigianato della parola che Oliviero Toscani se lo sogna. La pasta Barilla “ditalini” non scioccava nessuno, veniva richiesta con tanta naturalezza quanto ingenuità. Come quel condomino in uno spot degli anni ’90 che sentita la vicina ricciolina e desiderata gridare  con rabbia: “Esco e vado col primo che incontro”, si fermava davanti alla porta dicendole con un sorriso alla Pozzetto/Johnny Depp: “Buonaseraaaa”. Qualunque mora dai capelli increspati e con un Diavolo per boccolo oggi gli risponderebbe: e tu, che cazzo vuoi?

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Il mio preferito rimane comunque lui

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il video alla pagina

Un mio maldestro tentativo di spot pubblicitario (booktrailer)

Renato Pozzetto, i libri, l’omosessualità

LE OMBRE DELLA PERVERSIONE

La parola perversione viene dal latino perversum e richiama a uno stravolgimento non tanto delle regole ma del senso comune o del comune sentire. La società si dà delle norme, anche nel campo sessuale e l’individuo si adegua. L’adeguamento è immediato prima ancora che mediato dalla legge che pure vigila coi suoi apparati medici piuttosto che con quelli giuridici. E tuttavia come si dice fatta la legge trovato l’inganno, perché il piacere è anarchico e dove ci sono le regole il desiderio esplode o implode a seconda dell’educazione che il singolo ha avuto. Quando implode abbiamo tecnicamente una perversione; se il fenomeno diventa sociale il rischio concreto è la rivoluzione. L’apparato medico dello Stato si mette all’opera e diagnostica una perversione di massa. Come ha fatto Massimo Recalcati rinvenendo una nevrosi tra coloro che hanno votato no a una consultazione popolare (19 milioni di degenerati). La politica perversa diagnostica la perversione nel dissenso e tutto finisce a tarallucci e vino. Le cose però cambiano, i costumi pure, l’omosessualità non è più una deviazione neanche per il DSM e quelli che erano atti fuorvianti dalle regole vengono assorbiti dalle regole stesse. Tra le stranezze attuali nel campo sessuale appunto le seguenti, con la speranza e il timore che prima o poi vengano percepite come qualcosa di normale. Anzi di naturale, che suona meglio. L’industria del sesso non da oggi ha dato una risposta a tali bisogni e l’intimo, quella che una volta era l’intimità ha finito per riempire gli scaffali dei supermercati. E non solo. Come si può vedere nel The Sex Machines Museum nella città vecchia di Praga. (E che ho raccolto in dettaglio in Consigli, amenità e facezie sopra l’esercizio del meretricio e dei lupanari.)

Insomma sfogliando l’elenco che segue e la serie di oggetti e libri acquistabili in internet si tratta di normali stranezze o di vere e proprie perversioni?

Formicofilia: il desiderio di essere ricoperto di insetti nelle parti intime. Mysofilia: l’attrazione sessuale verso persone o oggetti sporchi. Infantilismo: il desiderio sessuale nato dal bisogno di indossare pannolini e di essere trattato come un neonato. Acrofilia: eccitazione sessuale in situazioni in cui ci si trova a grandi altezze. Acusticofilia: eccitazione sessuale che deriva dall’ascolto di determinati suoni come mugolii,sospiri, canzoni, frasi o ancora una certa lingua. Agalmatofilia: attrazione sessuale per statue, bambole, manichini e altri oggetti simili. Agorafilia: attrazione per l’atto sessuale consumato in spazi aperti. Altocalcifilia: il feticismo di chi trae piacere dall’osservare o indossare scarpe dai tacchi alti. Coprolalia: devianza che porta un soggetto ad utilizzare continuamente, in modo compulsivo un linguaggio osceno e volgare. Dendrofilia: attrazione sessuale per gli alberi tale da volersi congiungere con essi. Dorafilia: feticismo a causa del quale si prova attrazione e piacere sessuale nel contatto con indumenti in pelle animale e pellicce. Macrofilia: è il desiderio di fare sesso con un gigante. Sitofilia: è il desiderio sessuale che nasce dall’unione del cibo e il sesso. Spectrofilia: è il desiderio sessuale di fare sesso con un fantasma. Parliamo di Botulinonia quando salami, salsicce e wurstel vengono usati come surrogati sessuali. Tripsolagnia: piacere che deriva da un semplice massaggio alla testa. Agonofilia: eccitazione sessuale che deriva dalla lotta o dall’osservazione di persone che combattono come nel wrestling. Amartofilia: eccitazione sessuale derivata dalla convinzione che le azioni che si stanno compiendo siano fonte di peccato e di perdizione. Anisonogamia: attrazione sessuale verso partner con grande differenza d’età, molto più anziani o molto più giovani. In ambito femminile viene definita gerontofilia l’attrazione per partner maschili significativamente più datati. Chelidolagnia: provare piacere sessuale disprezzando il partner. Aggiungerei all’elenco anche l’attrazione per Barbara D’Urso. quella davvero mi sembra una perversione. Ma tant’è…

 

 

LIBRI CURIOSI (che ho comprato in Rete)

1) Extreme Ironing – Stiratura estrema
di Phil Shaw

2) Pets with Tourette’s – Animali domestici con la sindrome di Tourette

di Mark Leigh

3) Learning to Play With a Lion’s Testicles – Imparare a giocare con i testicoli di un leone
di Melissa Haynes

4) 5 Very Good Reasons to Punch a Dolphin in the Mouth – 5 ottime ragioni per dare un pugno in bocca a un delfino
di Matthew Inman

5) How to Raise Your I.Q. by Eating Gifted Children – Come aumentare il tuo Q.I. mangiando bambini intelligenti
di Lewis B. Frumkes

6) Chi me l’ha fatta in testa?
Edito da Salani

7) Chi ha mangiato la mia fetta di pizza? Giuro su Dio che se le hai mangiate tutte sparo alla tua stupida faccia
di J. Hunter

8)  La posizione del missionario: Madre Teresa in teoria e pratica

9)Giochi che puoi fare con la tua …. L’autore forse però intendeva “pussy” nel senso di gatto

10) Tutto quel che so sulle donne l’ho imparato dal mio trattore

11) Immagini con cui non dovresti masturbarti

12) Fai in casa i tuoi sex toys

13) Il libro tascabile delle erezioni

14) Guida per principianti al sesso nella vita dopo la morte

15) Bare decorate da costruire da soli

16) Castrazione: vantaggi e svantaggi

17) Mangiare le persone è sbagliato

18) Come avere successo negli affari senza un pene

19) Cazzi e canguri (pochissimi i canguri). Aldo Busi

Mi permetto di aggiungere all’elenco due miei testi

20) Diventare gay in dieci lezioni (de rerum contronatura)

21) Non desiderare la donna d’altri. E chi dovrei desiderare, la mia? Ma l’hai vista bene?

 

lib 1lib 2lib 3lib 4lib 5lib 6lib 7lib 8lib 9lib 10lib 11lib 12lib 13DIVENTARE GAY IN DIECI LEZIONI - giancarlo buonofiglio

STRANEZZE VARIE acquistabili in internet

– Kit completo per uccidere i vampiri; 4500 dollari. La confezione contiene: una boccia di acqua santa, un paletto di avorio, il Nuovo Testamento e altro ancora

– Un fan di Britney ha visto la diva gettare a terra una gomma masticata e non ha perso tempo: l’ha raccolta, e l’ha messa all’asta su eBay. La reliquia gli ha fruttato 263 dollari

– Anima in vendita su Ebay. Prezzo 2000 dollari

– Il 22 Novembre 1963 a Dallas, Lee Harvey Oswald sparava da una finestra al Presidente degli Stati Uniti John Kennedy. La finestra da cui partì il colpo è stata smontata dall’edificio e rivenduta a 3 milioni di dollari

– Toast alla Francese lasciato da Justin Timberlake
La popstar si trovava in un hotel di New York e prima di un’intervista avanzò dalla colazione un po’ di toast alla Francese. Le due fette erano mezze mordicchiate, qualcuno le ha raccolte e rivendute a 36mila dollari

– NIENTE: un prodotto per chi ha già tutto

– Carne di unicorno

– Corno per trasformare il vostro gatto in un unicorno

– Cucce di lusso per cani: costano 200.000 euro

– Borsetta autobloccante, per impedirvi di spendere troppo

– “Kissenger”, accessorio per smartphone per baciare a distanza

– Lattine di aria inquinata, per i Cinesi che sentono la mancanza di Pechino

– Col “profumo di culo” due imprenditori si sono arricchiti

– Occhiali che simulano le allucinazioni da LSD, senza assumere tuttavia la droga

– Slip con finto pene contro i tentativi di violenze sessuali

– Preservativi per cani e gatti

– Finte mutande sporche per nascondere i soldi in viaggio

– Abito da sposa fatto con i documenti del divorzio

– Armature per criceti in vendita su eBay

 

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IL SORRISO DELL’AMORE

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Gli innamorati si avvicinano con la parola e il discorso d’amore non è mai vuoto in quanto nella parola scorre il desiderio; tuttavia c’è un altro fenomeno sempre presente nella scena amorosa, la risata. Lacan ha affrontato marginalmente la questione (rileggendo Marx, in relazione all’umorismo del capitalista, collocava il riso tra plusvalore e plusgodere, definendolo con il neologismo Marxlust. La risata come maschera o distrazione rimanda al significato del potere attraverso il meccanismo che preserva la vita privata a detrimento di quella pubblica; provoca un cortocircuito nel senso, un’assenza di significato come rimando al reale) perché le sue intenzioni primarie sono dirette ad ordinare uno scenario che confermi la presenza piuttosto che l’assenza come fondo sostanziale. Il riso non è il motto di spirito di Freud e non serve solo per una scarica pulsionale; nasce e si risolve piuttosto nella manque-à-être, rimane nelle fenditure del significato dando accesso non tanto all’Altro grande, ma risolvendo l’ordine nella mancanza. Che questa assenza nel discorso sia significativa si vede dal piacere che muove a soddisfare un bisogno primario. Il riso porta oltre il campo della relazione in quanto trabocca dal discorso e richiama all’assenza di un fondamento nella parola. Come una traccia che segna in profondità il linguaggio. Bataille ha inquadrato il problema sul piano antropologico. Descrive la risata come una forma embrionale di sacrificio, qualcosa di sacro in cui le forze distruttrici della dépense sono in azione. Ridendo di qualcuno lo dissacriamo, lo strappiamo all’ordine abituale, lo svuotiamo di senso per consegnarlo al nulla. Lo prendiamo in giro, girandogli appunto intorno senza centrare la verità. La relazione amorosa non è un luogo nel quale trovare la verità, non si tratta di ordinare i termini nella presenza (o nell’identità), pur spostata nel simbolico o nell’immaginario, ma nel vuoto dell’essere e nella privazione di un’identità. L’amore disturba, disorganizza, scioglie e non lega l’Io e l’altro col linguaggio dell’Altro; si presenta piuttosto nel sopraggiungere di un elemento perturbante e disorientante. La risata sacrifica l’altro, non lo conferma: “Il riso comune … è indubbiamente la forma insolente di un simile imbroglio; non è chi ride a essere colpito dal riso, ma uno dei suoi simili quantunque senza eccesso di crudeltà. Le forze che lavorano alla nostra distruzione trovano in noi complicità così felici – e talvolta così violente – che non ci è possibile allontanarci da esse semplicemente perché lì ci porta l’interesse … Certamente questa parola, sacrificio, significa che alcuni uomini, per loro volontà, fanno entrare alcuni beni in una regione pericolosa, in cui infieriscono forze distruttrici. Così sacrifichiamo colui di cui ridiamo, abbandonandolo senz’angoscia alcuna a una decadenza che ci sembra lieve” (Bataille). Non sempre “dove si parla si gode” (Lacan, Sem.XX). Il piacere amplia e dilata la scena amorosa, la prolunga per conservarla nel tempo. Per Lacan il campo della parola è il campo possibile di ogni relazione, del simbolico e dipende da ciò che accade nel linguaggio. Il campo del godimento è quello della pulsione, oltresimbolico, eterogeneo a quello della parola. La materia della pulsione non è quella della parola; è fatta di un composto simbolico, mentre la pulsione ha una natura erogena. Il problema della psicoanalisi consiste nel verificare in che modo la funzione simbolica della parola possa modificare l’economia della pulsione. Con una certa autocritica Lacan dice che là dove prima pensava si comunicasse e si muovesse il senso, in realtà si trova il godimento. Il linguaggio è invaso dal godimento: “quando si parla qualcosa gode”. Lacan imbastardisce il rapporto tra la parola e la pulsione come se la pulsione interferisse con la funzione della parola. Non solo si parla per essere ascoltati; la parola necessita di essere riconosciuta e a un tempo fa anche da veicolo a quello strano godimento che è il godimento della parola stessa, il piacere del parlare. E tuttavia la lingua langue, mentre costruisce un flusso di fonemi rimanda a un venir meno, si indebolisce nell’incedere delle parole; non è solo un pieno di voce ma è composta anche da silenzi, pause, modulazioni, assenze. Quando langue non si verifica una stasi nel desiderio che continua comunque a defluire. Tra gli innamorati in particolare, prima si distorce, poi si carica di nonsense, i neologismi si contraggono in monosillabi incomprensibili, infine interviene la risata e in essa il sacrificio di un ordine nella lingua. Non è un fenomeno marginale, il riso che subentra alla lingua serve a riempire connotandolo di un senso il vuoto delle parole. E così quella che era la dépense, ciò che non serve a nulla si presenta come la “parte maledetta per eccellenza” (potlach), qualcosa di sostanziale che serve a dare continuità al discorso. Per quanto l’uomo neghi la natura, essa ricompare nelle deiezioni, in un gesto che non è solo negazione dialettica, perché nella risata i termini non sono superati come nell’Aufhebung hegeliana. Non si tratta di un superamento, ma di una trasformazione. La “parte maledetta” consegna l’altro ad una natura sconosciuta all’indagine concettuale, il piacere è subordinato e consegue. Il riso, se è di difficile integrazione nella teoria psicoanalitica (se non come motto di spirito), lo è ancora di più nell’indagine filosofica. Pone di fronte all’estrema corruzione del linguaggio e del pensiero, va al di là dell’inconscio, trascina nel luogo in cui si apre una ferita che non può rimarginarsi. Apre uno spazio sconosciuto in cui si respira qualcosa di nuovo, il desiderio non dell’Altro, ma di un oltre. La risata è il momento in cui la conoscenza si arresta di fronte all’esperienza di ciò che è essenziale e che Nietzsche ha raccontato come il grido angosciato di una soggettività felice. Bataille ha maturato la consapevolezza di un’incapacità nel dire l’impossibile, l’estremo, connotando positivamente lo svuotamento dell’Io. La “parte maledetta” rivela che nella natura sia presente un eccesso di energia non canalizzabile. Sempre secondo Bataille l’uomo è dotato di un’energia eccedente; questa “parte maledetta” deve defluire attraverso la nutrizione, la riproduzione, la morte. La risata consente un primo e attuale sacrificio dell’eccedenza, non come appagamento della libido ma in quanto usura e straniamento dall’Io, che è una radicale inesorabile erosione della vita. A un tempo si rivela però anche come una specie di riassorbimento, qualcosa che nasce da quanto c’è di indigesto nel linguaggio, rendendolo assimilabile. E’ una voce che parla dall’infinito prima che dall’inconscio. Più che Freud o Lacan è stato Nietzsche a dare una disincantata spiegazione della risata, in quanto terapia contro la veste restrittiva della moralità logica; una retrocessione innocua dalla ragione così come scorre nel discorso. L’amore -ed è questo il punto- irrompe come una dolce morte che traccia ridendo qualcosa di infinito.

Frammenti di un Monologo Amoroso

(L’amore tra l’immaginario e il reale)